Marx. Dialectical Studies
Friday, 11 July 2025
Questioni correnti (da facebook)
Gli "amici" di instagram mi propongono massicciamente interviste del giornalista inglese Pierce Morgan, in genere celebre per le sue posizioni assai moderate, accompagnate da un atteggiamento aggressivo che mira a mettere in difficoltà - in genere riuscendoci - l'interlocutore.
Ciecamente pro-Israel per anni, negli ultimi mesi prende letteralmente a pesci in faccia i rappresentanti del governo genocidario. Lo fa in una maniera così spietata e senza possibilità di appello che è un piacere ascoltarlo, perché ammutolisce gli interlocutori mettendoli di fronte alla loro ipocrisia (loro che si illudevano di trovare il solito lecchino).
In realtà anche questo rischia (se non lo è intenzionalmente) di risolversi in propaganda. Il godimento nel vedere questi loschi figuri messi alla berlina non sortisce alcun effetto pratico, se non quello di dare uno sfogo innocuo alla rabbia degli indignati.
Infatti, i personaggi da intervistare e prendere a pesci in faccia dovrebbero essere i vari governanti occidentali che non solo fanno finta di niente, ma avallano, se non addirittura lucrano, sul massacro. Loro potrebbero essere spinti a fare qualcosa (embargo, cessazione delle forniture e milla altre cose). E il pubblico potrebbe essere spinto (ma non lo è) a fare pressione in questo senso.
Alla fine è un anestetico per chi è arrabbiato e anche una autogiustificazione a cose fatte ("noi ci siamo opposti, dicendolo direttamente al governo israeliano", mentre il governo nostro è pappa e ciccia con il loro).
Nelle correnti relazioni internazionali (solo nelle correnti?) il primo principio che appare evidente è: io sono più forte, appoggiato dai più forti, e faccio quello che credo.
Tiro in ballo poi un qualcosa denominato diritto internazionale che, nel concreto, significa: se tu vuoi fare lo stesso in autonomia o in reazione a quello che ho fatto io, denuncio la tua condotta come illegale, immorale, ecc. (en passant: il diritto internazionale riconoscerebbe in verità il diritto a reagire, anche violentemente, in caso di occupazione/aggressione).
Se ne deduce che il diritto internazionale ha senso solo se esistono forze che lo facciano rispettare e ciò sussiste solo se tra i soggetti che possono agire con interessi contrapposti si ha una proporzionalità di forze, situazione da sempre altamente instabile ma saltata con la fine della guerra fredda.
Se qualcuno che ha la forza di farlo (esiste?) non si mette dalla parte delle vittime, nessuno fermerà il massacro in corso.
Ci si può chiedere: qual è la differenza? Sempre i soliti noti hanno fatto cadere governi, organizzato colpi di stato, ucciso militanti avversi interni ed esterni. Che c’è di nuovo?
Forse che adesso ci mettono la faccia, violano palesemente qualsiasi diritto (umano, sociale, internazionale) rivendicandone la legittimità solo in virtù della propria forza. E i vassalli scondinzolano, nella speranza, effimera, di non essere i prossimi nella lista.
Se la forza declinante non accetta di negoziare il proprio tramonto con qualche privilegio, l’alternativa è fare a botte. Per adesso stanno optando per la seconda.
Mi sento di nuovo di spezzare una lancia in favore della distinzione tra i principi di libertà, uguaglianza, ecc. nati in Occidente (pur tra mille contraddizioni) e l’uso strumentale che ne viene fatto per legittimare il contrario di quei principi, vale a dire l’imperialismo (e addirittura il colonialismo vecchio stile).
Ciò che stanno facendo i difensori del bene e i mostri genocidari viola quei diritti. In base a quei diritti è legittimo lottare contro questi figuri, anche usando la violenza.
La difesa di quel poco o tanto di buono che contraddittoriamente il modo di produzione capitalistico ha prodotto a livello di cultura e scienza (non il fantomatico “Occidente”) sta oggi nella resistenza e nella lotta contro le pretese forze “occidentali”, ovvero nella lotta contro il capitale.
Suggerisco di smettere di parlare di Occidente, di giardini, e non, ma di riprendere concetti come capitalismo, imperialismo. E anche di evitare di dire genericamente per es. “America” o "Russia", ecc., ma di parlare per es. di governo statunitense, capitalisti statunitensi, lobbies russe, ecc. Le contraddizioni - strutturali e politiche - sono intrinseche al modo di produzione capitalistico tanto internamente quanto esternamente.
Il governo dello Stato più potente al mondo ha emanato delle sanzioni contro *una singola persona privata*. Non so se è mai successo in precedenza, ma Francesca Albanese può comunque appendersi al petto la medaglia più prestigiosa che una persona che fa il suo mestiere possa sognare.
Il governo in questione invece autocertifica nuovamente, se ce ne fosse stato bisogno, di essere un pericoloso manipolo di peracottari, gli omini del bar alla guida del mondo.
Il salto di qualità della situazione attuale è che tutti i governi schierati col noto stato genocidario sono correi in base allo Statuto di Roma; quindi, più o meno tutti i capi di governo “occidentali” e diverse istituzioni economico-finanziarie collegate dovrebbero rispondere di crimini di guerra se non addirittura di genocidio e di pulizia etnica di fronte alla Corte penale internazionale.
Siccome essa non ha forze autonome ma dipende dalle forze di chi l’ha creata firmando il trattato, i capi di governo dei paesi interessati dovrebbero arrestare e processare se stessi…
Questo è paradossalmente l’ultimo evidenza “progressista” dell’occidente capitalisticamente avanzato: aver creato le istituzioni che legalmente sanciscono l’incapacità di rispettare i principi universali da esso stesso proclamati.
Se li si è già ampiamente negati più volte, adesso li si nega incuranti dell’evidenza giuridica che li si sta negando. È la legittimazione della legge del più forte.
Chi obbiettasse che è così da sempre e che non fa grande differenza che la legge lo sancisca o meno, sottovaluterebbe a mio parere l’importanza sostanziale degli statuti giuridici che ovviamente di per sé non garantiscono il proprio rispetto, ma che sono un gradino importante verso la realizzazione sostanziale dei principi formali che dichiarano. Non avere nemmeno quelli è un ulteriore passo verso la barbarie.
Capitalismo – Observaciones a propósito de los recientes debates sobre el eurocentrismo, el “Occidente global”, “jardines y selvas”. [Roberto Fineschi]
Capitalismo – Observaciones a propósito de los recientes debates sobre el eurocentrismo, el “Occidente global”, “jardines y selvas”. [Roberto Fineschi]

Roustabouts (detalle). Joe Jones, 1934
Marx. Dialectical Studies, 24-5-2024
Traducción de Federico Rivera
Correspondencia de Prensa, 30-5-2024
Observaciones al pie de los recientes debates sobre el eurocentrismo, el «Occidente global», «Jardines y selvas» (tomando algunos pasajes de un artículo de Political Orientations and Historical Materialism).
¿Eurocentrismo? ¿Anticapitalismo?
1. En lo mucho que se habla del llamado eurocentrismo reina, en mi opinión, bastante confusión en las definiciones. Sobre todo, cuando se refiere a Marx.
Si por este término se entiende considerar la historia del universo-mundo según las perspectivas y necesidades europeas, huelga decir que se trata de un prejuicio a erradicar. Sin embargo, si se entra en más detalles, la cuestión se vuelve mucho más resbaladiza y, en algunos casos, francamente reaccionaria.
La historia del mundo se ha vuelto eurocéntrica con el desarrollo del modo de producción capitalista, en el sentido de que ha impuesto dominación, reglas y formas de desarrollo a una dinámica que antes tenía varios elementos independientes no unidos en un sistema salvo por contactos marginales, mientras que el capitalismo se ha convertido en la variable dominante que ha funcionalizado el mundo entero a sí mismo. En este sentido, el eurocentrismo no es un mero prejuicio intelectual, sino un proceso real de dominación y explotación vinculado al modo de producción capitalista.
Sin embargo, el modo de producción capitalista ha sido desde el principio un proceso contradictorio que ha producido simultáneamente contenidos potencialmente positivos pervertidos en forma reaccionaria por su propia dialéctica interna. Así, junto a la explotación, también produce libertad potencial, incluyendo la productividad del trabajo, el conocimiento racional y científico, la dignidad universal del ser humano, etc. Estar en contra de estos aspectos no es simplemente insensato, es reaccionario.
Ahora bien, en el antieurocentrismo genérico (y lo mismo en el anticapitalismo genérico) no se suele hacer esta distinción fundamental entre contenido material y forma social, por lo que se acaba queriendo tirar la casa por la ventana, es decir, no solo los aspectos perversos de la forma capitalista, sino también el potencial emancipador que su contenido hace posible. Se cae, en definitiva, en el burdo anticapitalismo romántico que impregna tantas posiciones, incluso en la izquierda, en las que se invoca o bien el primitivismo, o bien un «otro» que no tiene nada que ver con el capitalismo tout court (como si pudiera existir).
El mismo genericismo se aplica a diversos discursos sobre Marx que no serían eurocéntricos. Depende de lo que se quiera decir. Si se quiere decir, por ejemplo, que la cultura nacida con la Ilustración y florecida con el idealismo alemán, etc. es superior a otras culturas que existían en ese momento en la geografía y la historia humanas (hay, por tanto, una escala de mérito y juicio), no hay duda sobre el eurocentrismo de Marx (como pro-emancipación y pro-progreso). Si se quiere decir que el mundo debe plegarse a la valorización del capital occidental, ciertamente Marx no era eurocéntrico. Si no se especifica lo que se quiere decir se hace un gran lío tanto con Marx como con la realidad.
2. Esto es fundamental en la práctica y la interpretación políticas. Por ejemplo, valorizar el universalismo occidental y las instituciones representativas -que incluyen, por ejemplo La igualdad de derechos entre hombres y mujeres, las elecciones y las libertades burguesas en general- de manera instrumental para imponer el capitalismo, o mejor aún el control imperial, es claramente un uso ideológico del progresismo ilustrado que obviamente no tiene nada que ver con la generalización real de esos derechos, sino que simplemente se utiliza como excusa para imponer violentamente la dependencia del sistema económico que ha producido esos derechos en Occidente; o el racismo a nivel local aprovechando la «incivilidad» de los inmigrantes.
Aquí, sin embargo, hay que tener mucho cuidado de no provocar el cortocircuito por el que uno no se opone al uso instrumental de esos valores, sino a los valores mismos. Uno se encuentra así defendiendo comportamientos sociales tradicionalistas, en algunos casos bárbaros, que nunca serían tolerados aquí en Europa si los practicaran los europeos, ya que se identifican inmediatamente con las fuerzas más reaccionarias; sin embargo, serían aceptados si los practicaran los no europeos, porque se consideran propios de otras culturas. Mirando a lo concreto sin dejarse deslumbrar por fraseologías abstractas, desgraciadamente los bellos ideales de la «tolerancia», una vez que se llega a enfrentarse a opciones precisas, solo pueden dar paso a decisiones autoexcluyentes, como la de estar o no a favor de la igualdad de derechos entre hombres y mujeres. Del mismo modo que en el pasado luchamos por el fin del patriarcado machista católico y consideramos un éxito su superación (parcial, por desgracia), no entendemos por qué deberíamos aceptar, por ejemplo, el de matriz islámica o cualquier otro. La igualdad de derechos entre hombres y mujeres es un principio que nació contradictoriamente en el capitalismo con la Ilustración, como la dignidad universal del ser humano.
¿Queremos estar en contra? Los nazis y los fascistas ya lo han intentado, pero no sé si son perspectivas deseables. En definitiva, este tipo de multiculturalismo abstracto corre el riesgo de convertirse en el caballo de Troya de una regresión cultural que se acepta porque, de nuevo, se considera anticapitalista en la medida en que se opone al «Occidente imperialista»; mezcla en el mismo caldero -y por tanto malinterpreta- la justa lucha contra la explotación capitalista y la absurda lucha contra la cultura progresista que el propio capitalismo, contradictoriamente, ha producido. Acaba acoplándose al identitarismo local que, frente a las tradiciones ajenas, defiende la propia espada en mano. Esta actitud común antiuniversalista conduce al fascismo.
3. El mencionado es uno de los muchos temas del multiculturalismo abstracto, el relativismo absoluto de los valores, etc.; esta actitud, que se presenta ostensiblemente como progresista, o «de izquierdas», se convierte en realidad en una ideología reaccionaria siempre que *excluye a priori* la posibilidad de cambiar tradiciones y orientaciones una vez que se aportan argumentos buenos y razonables para hacerlo. Si, en definitiva, el multiculturalismo, que en sí mismo es obviamente algo bueno, se convierte en la excusa para no cambiar por el mero hecho de pertenecer a una determinada tradición de un determinado comportamiento, porque está «intrínsecamente» ligado a un determinado contexto cultural e histórico, se cae a pesar de todo en el identitarismo, que es de nuevo la antesala del fascismo.
De hecho, las distintas «identidades», si se consideran legitimadas para pretender no cambiar en virtud de sí mismas, no pueden dialogar para encontrar ninguna síntesis y la prevalencia de una u otra se delega en última instancia en la fuerza. En contraposición, frente al «relativismo ético», se genera consenso para la promoción de «nuestra» tradición, que no tendría otra legitimidad que la de ser históricamente exitosa en esta parte del mundo. El intento de hacer prevalecer esta tradición frente al «ataque extranjero» se legitima, obviamente, por el mero hecho de existir aquí desde hace mucho tiempo, no por una argumentación racional o una convicción demostrativa. En resumen, se trata de la imposición de una de estas posiciones tradicionales en virtud de su, por ahora, dominio. Ni que decir tiene que el contenido de esta tradición «autóctona» rechaza, como es el caso, el universalismo racionalista y se dirige en realidad a «nuestra» tradición, que es la tradición preburguesa, es decir, dirigida contra los aspectos superestructurales progresivos del modo de producción capitalista, pero no contra el capitalismo en sí. Es, de nuevo, el trasfondo del fascismo.
4. Para concluir, las metáforas de lucha como el «Occidente global», o el «jardín», etc. corren el riesgo de prestarse involuntariamente a esta forma de pensar tan errónea. Al trasladar la contradicción a una dinámica interior/exterior, se corre el riesgo, por un lado, de ocultar el carácter de la contradicción incluso dentro del propio Occidente y del jardín; por otro lado, de considerar este «Occidente» y este «jardín» como un monolito cohesionado e identificarlo como el sujeto contra el que hay que luchar, mientras que en su interior no solo existen las contradicciones antes mencionadas, sino también potencialidades transformadoras positivas a las que no tiene sentido renunciar. En definitiva, se corre el riesgo de quedar involuntariamente hegemonizado por la ideología del capital.
El sujeto de la devastación mundial no es Occidente ni el jardín, sino la dinámica de la reproducción en forma capitalista; el objetivo es la transformación de ese sistema de reproducción social, y el adversario de clase son quienes gestionan ese proceso y quienes se oponen a su cambio.
Tuesday, 1 July 2025
I libri alla radio, "Nel labirinto - Italo Calvino filosofo" di Roberto Fineschi" by Radio Grad
Intervista sul mio libretto calviniano! I libri alla radio, "Nel labirinto - Italo Calvino filosofo" di Roberto Fineschi" by Radio Grad
Sunday, 22 June 2025
Esame di Stato amore mio
Esame di Stato amore mio
I
Mi ritrovo in questa stanza
col volto di ragazzo, e adolescente,
e ora uomo. Ma intorno a me non muta
il silenzio e il biancore sopra i muri
e l'acque; annotta da millenni
un medesimo mondo. Ma è mutato
il cuore; e dopo poche notti è stinta
tutta quella luce che dal cielo
riarde la campagna, e mille lune
non son bastate a illudermi di un tempo
che veramente fosse mio. Un breve arco
segna in cielo la luna. Volgo il capo
e la vedo discesa, e ferma, come
inesistente nella stanca luce.
E cosi la rispecchia la campagna
scura e serena. Credo tutto esausto
di quel perfetto inganno: ed ecco pare
farsi nuova la luna, e – all'improvviso –
cantare quieti i grilli il canto antico.
Pier Paolo Pasolini, Appendice I a «Dal diario» (1943-1944), in Tutte le poesie, tomo I, a cura di Walter Siti, Milano, Mondadori, 2009.
È questa la poesia di Pasolini scelta dagli esperti del Ministero come prima traccia per l’Esame di Stato dell’anno corrente. Non è certo tra le sue più famose e non è sicuramente rappresentativa della sua poetica matura. Forse era meglio scegliere altro?
Alcuni obiettano che sarebbe stato semplice buon senso tenere conto di quanto segue:
1) pochissime classi, un’esigua minoranza, arrivano a trattare Pasolini;
2) se ci arrivano, certo non considerano le poesie giovanili inedite;
3) i manuali stessi ignorano in genere questa fase, neppure contemplata nella pagine dedicate all’illustre intellettuale (anche i testi universitari sono in genere parchi in proposito).
La sintesi dei tre punti è: perché proporre qualcosa che in genere non si fa?
È questa una linea di ragionamento che si presta a una contro-obiezione immediata e in fondo legittima: lo studente deve aver maturato le “competenze” per analizzare qualsiasi tipo di poesia, quindi non è rilevante che essa sia famosa, celebrata e via dicendo, basta che sia un testo poetico.
È un’obiezione però che, espressa in questi termini, risulta debole; si potrebbe infatti replicare: perché allora non mettiamo una poesia che ha scritto mio zio Gino o una preparata ad hoc da un sottosegretario del Ministero? In base a quanto assunto non farebbe differenza. La scelta invece di un “classico” è legata al suo status e quindi anche il livello del testo selezionato deve tenerne conto. Qui credo stia il vero problema.
Non intendo dire che la poesia non andasse selezionata perché è “brutta” (non si tratta di emettere sentenze di tal genere). È piuttosto decisiva la rilevanza che lo stesso Pasolini e la critica qualificata le hanno attribuito per sancirne lo status di classico e quindi l’eleggibilità a testo per l’Esame di Stato. Credo si possa serenamente affermare che questo status non c’è.
Mettendo da parte la versificazione in dialetto, lo stesso poeta ha scelto dalla sua vasta produzione poetica degli anni Quaranta che cosa dare alle stampe: la raccolta L’usignolo della Chiesa Cattolica raccoglie le poesie da Pasolini ritenute più significative del periodo 1943-1949. Il testo in questione non è contemplato.
L’obiezione adesso è: perché si tratta di componimenti di carattere diaristico, allotri rispetto al tema della raccolta. Giusto. Vediamo però allora che cosa Pasolini intendesse fare di questi componimenti a carattere diaristico.
Come spiegano dottamente i curatori dei volume dei Meridiani contenenti tutte le poesie, nel 1953 Pasolini ipotizza di pubblicare questi testi giovanili con l’editore Salvatore Sciascia (omonimo ma non parente, per quanto amico, del più celebre Leonardo). In una lettera del 5 novembre spiega la struttura dell’opera completa: oltre all’Usignolo, ipotizza un Diario I. ‘43-’47, un Diario II ‘48-’49, 53 e Lingua.
L’editore accetta un progetto in scala ridotta che porterà alla pubblicazione nel 1954 del volume dal titolo Dal diario (1945-47). Dovendo scegliere, Pasolini scarta gli scritti precedenti il 1945… cui appartiene il testo scelto dal ministero.
Dai vari incartamenti superstiti nel lascito, i curatori del Meridiano sono riusciti a ricostruire il progetto anche di Diario I di cui avrebbe fatto parte la nostra poesia rimasta però inedita. Anche nell’edizione di Tutte le poesie è un testo pubblicato come appendice a una raccolta già di per sé considerata minore.
Si tratta, per farla breve, di un testo, a voler essere generosi, “minore”. È ovviamente di grande interesse per gli specialisti per comprendere l’evoluzione della poetica pasoliniana in una fase delicata del suo sviluppo intellettuale. Certamente, a giudicare dall’autovalutazione del poeta, non una poesia indispensabile, non un suo capolavoro, non un classico.
Per questa ragione, forse si poteva scegliere altro.
II
Lo studente poteva ovviamente scardinare questo impianto e incardinare questo astratto schematismo naturalistico e religioseggiante in un contesto di storia, classi, conflitti concreti. Certo, non è ciò che suggeriva il tema.
La stragrande maggioranza dei candidati ha svolto il tema sul rispetto, quello che più si prestava allo schematismo dei buoni sentimenti e delle attitudini cui ahimè non riusciamo soggettivamente a star dietro. Il rischio, nella maggioranza dei casi, è quello della carrellata di luoghi comuni che finiscono per ripetere il contenuto già presente nella traccia in modo più o meno fedele e linguisticamente appropriato.
Se da un lato gli studenti studiano storia, letteratura, scienza, tutte discipline che nella loro pratica hanno intrinseca la storicità, l’idea di sviluppo, di costruzione processuale, a livello di autocoscienza sono incapsulati in una concezione personalistica (prodotto feticistico necessario della società mercantile) che non consente loro nemmeno di collegare a livello epidermico quello che studiano con quello che vivono.
Le tracce, più che proporre un’uscita da questi schemi, li incoraggiavano andando a solleticare il moralista che si nasconde nel fondo del cuore di molti.
Sunday, 15 June 2025
Da ideologia a ideologemi
È questo un sintomo di ulteriore decadimento della civiltà nostrana, dove ormai non si producono più nemmeno ideologie, vale a dire sistemi di pensiero con una qualche organicità che diventano visioni del mondo operative, sistemi di valori e di comportamento, religioni nel senso della tradizione gramsciana, ma meri ideologemi, contenuti singoli ad hoc che possono essere l’uno l’opposto dell’altro dalla mattina alla sera. È la pura manipolazione, il puro affastellamento di immagini e notizie che devono passare in virtù della mera insistenza con cui le si propone, senza la necessità di convincimento. È la distruzione della Cultura in senso forte, di un sistema regolativo di principi che reggono una società che dir si voglia democratica. Dalle ideologie agli ideologemi, i singoli contenuti di volta in volta mutevoli in funzione dello scopo della giornata.
Anche qui non si tratta di piangere i bei tempi andati in cui lo scontro politico era anche sviluppo culturale, ma di prendere atto di come la dinamica attuale del capitalismo, che chiamo crepuscolare, tenda a instaurare meccanismi di puro dominio senza direzione, forza senza egemonia, dove anche il modo di concepire la realtà viene inculcato a forza senza mediazione e convincimento (ovvero violentemente).
Queste trasformazioni ovviamente pongono quesiti sulla tenuta di sistema: può reggersi un regime sulla mera forza? Se sì, per quanto tempo? Con che prospettive di sviluppo, che sono garanzia della sua stessa sopravvivenza? Si può andare avanti a lungo a bastonate e chiacchiere? Nemmeno il fascismo ha fatto così, ha dovuto a un certo punto normalizzare. Insomma, il modello America latina funziona se c’è un centro che non funzione in quel modo. Ma se tutto il sistema prende quella piega? Domande aperte.
I valori occidentali
È ingenuità diffusa credere che tutto ciò sarebbe “naturale” e che il perverso mondo moderno starebbe negando o “alienando” l’essere umano originariamente pacificato. Tutti questi bei principi, ben lungi dall’essere naturali, sono invece risultato di complessi e contraddittori processi storici che hanno portato a essi come conquiste sociali. In “origine” gli esseri umani si mangiavano tra di sé. Lo stesso anti-eurocentrismo è un concetto quanto mai… europeo, nato e possibile solo dalla tradizione che si è sviluppata a partire dall’Europa illuminista.
Detto questo, è bene sottolineare che quanto stanno facendo adesso i sedicenti difensori dei valori occidentali è la negazione dei valori occidentali, o almeno di quei valori progressisti di cui si dichiarano paladini. Nelle guerre in corso è negata in particolare l’universalità dell’essere umano e la vigenza del diritto come criterio regolatore dei rapporti interpersonali e interstatuali. Sbandierare i valori occidentali per negarli è quanto stanno facendo le sedicenti forze del bene. Da una parte è quindi un’assurdità combattere contro i valori occidentali, significa solo abboccare all’amo che hanno teso.
D’altra parte però è altrettanto assurdo non vedere che questa negazione di fatto non è un mero capriccio o uso strumentale soggettivo di essi da parte di alcuni capi di governo rispetto ad altri. In parte lo è, beninteso, ma le cause strutturali che mettono in moto questi meccanismi sono ancorate alla dinamica di (difficile) valorizzazione delle forze capitalistiche ad oggi egemoni di fronte all’emergere di meccanismi che hanno messo in crisi il sistema di dipendenza economica finora prevalente. Insomma, il modo di produzione capitalistico non è in grado, per la sua intrinseca crisi di valorizzazione, di universalizzare effettivamente quei principi universali.
Salvare lo stato di diritto borghese è un obiettivo minimo, ma non ci si può limitare a una formalistica rivendicazione di legalità. Bisogna intervenire nei processi organizzativi e produttivi rilanciando la questione del controllo pubblico della produzione (o almeno dei suoi gangli fondamentali) e del suo coordinamento internazionale secondo regole convenute.
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