Thursday, 9 July 2020

Controcorrente? Ideologia ed egemonia del capitale (su Le origini della civiltà. Una controstoria di J. C. Scott) di Roberto Fineschi

Le origini della civiltà, James C. Scott. Giulio Einaudi Editore ...

Controcorrente? 

Ideologia ed egemonia del capitale 

di

Roberto Fineschi


Le origini della civiltà. Una controstoria è la traduzione poco efficace del titolo del recente libro di James C. Scott, Against the grain. A deep history of the earliest states. Mi spiegano che “against the grain”, oltre a significare letteralmente “contro il grano”, significa metaforicamente “controcorrente”; in inglese il gioco di parole è molto efficace, perché il libro, criticando il grano (e i cereali in genere) come coltura e cibo tipici delle prime formazioni statali, attacca l’idea di Stato in generale e va controcorrente rispetto alla tradizionale ricezione dell’origine della formazione statale in Mesopotamia. È un libro molto istruttivo per vari aspetti e mostra come l’ideologia più conservatrice americana vada a braccetto con varie forme di anarchismo, essendo queste posizioni alla fine accomunate dall’idea che il problema sia lo Stato oppressore dell’individuo. Ma procediamo con ordine.

Le novità archeologiche e documentarie sulla civiltà mesopotamica degli ultimi 20-30 anni hanno scosso le fondamenta di quello che la maggioranza di noi ha studiato a scuola: vita associata stanziale senza agricoltura in genere, stanzialità millenaria senza agricoltura programmata, insediamento in una Mesopotamia lussureggiante e nient’affatto arida, nascita dello Stato a valle di processi che già prevedevano agricoltura organizzata, irrigazione, ecc. ecc. Invece di essere causa, lo Stato viene alla fine come extrema ratio per risolvere problemi sopraggiunti. O essendo - questa la tesi di fondo dell’autore - addirittura esso stesso il problema sopraggiunto. In realtà leggendo altre pubblicazioni assai più documentate emerge un quadro a dir poco sconcertante sulla capacità contabile, organizzativa, gestionale degli stati mesopotamici, basata su misurazioni addirittura della giornata lavorativa “tipo” con sistemi di equivalenze che permettono di parlare di una pratica amministrativa da parte dello Stato legata a un’idea astratta di valore di scambio, ma questo magari sarà oggetto di altri approfondimenti. 

Torniamo al libro; esso parte da questi risultati che assume da altre ricerche già svolte in un lungo lasso di tempo e, a suo dire, “unisce i puntini”. In realtà lo fa con alle spalle un apparato teorico/ideologico liberale assai ingombrante, enorme direi, del quale non ha alcuna contezza e che ovviamente considera “naturale”. Siamo di nuovo di fronte alla naturalizzazione dell’individuo borghese - che ovviamente diventa l’essere umano astratto in generale - che, identico a sé in ogni tempo e luogo, non si co-definisce con le strutture sociali nelle quali, co-sistemicamente, si sviluppa… no, è già bell’e fatto, pronto nella sua autonomia ontologica a interagire col mondo esterno e con gli altri, altrettanto già bell’e fatti. Quindi lo Stato è una sopraffazione esterna; ma anche il lavoratore e le sue trasformazioni fisiche, in quanto diventa agricoltore e agisce in un modo determinato, non sono lo sviluppo costitutivo di se stesso come elemento della complessa processualità storico-sociale di cui sono parte coloro che lavorano, ma “alterazioni” di quella meravigliosa cosa già confezionata, pronta e data una volta per tutte, che è l’essere umano in generale.

Questo è alla fine, come sempre, una cosa molto vicina a Locke. Non rendersene conto può condurre dritti dritti all’anima cristiana, all’uomo esistenziale alienato dal capitalismo o dalla tecnica e ad altre forme di egemonia borghese tutte basate sulla sostanzialità dell’individuo. È proprio quello che Marx chiarisce attraverso il feticismo della merce e della persona, ma non quello interpretato al contrario come se la teoria del feticismo fosse una teoria dell’alienazione, bensì proprio come spiegazione, attraverso quella teoria, dei fondamenti ideologici borghesi della “alienazione” dello “uomo in generale”, presupposto delle “inversioni” capitalistiche o, nella versione borghese, del dominio opprimente del potere, del capitale, della tecnica o di altri. È dunque molto utile ed importante che un approccio “americano” (libro pubblicato dalla Yale University, scritto tra Harvard ed altre accademie che non hanno bisogno di presentazione) parta dagli stessi presupposti perché mostra chiaramente quanto sono simili. 


Vediamo solo alcune delle più emblematiche sparate liberal-naturali del nostro: lo Stato non è solo esterno ed oppressore, ma si caratterizza come “esattore delle tasse”. Qui viene naturalmente da sorridere se non proprio da ridere; come sempre si parte dalla realtà e poi la si addobba ideologicamente: il fatto che la conformazione storico-sociale della produzione e riproduzione della specie umana in quella forma determinata si sia costituita sulla coltivazione dei cereali per vari motivi che non sto a riassumere si trasforma nella “imposizione” di questo processo da parte dello Stato sugli Individui e nella tassazione da parte di esso. A questo punto salta fuori dal cilindro, ovviamente, una necessaria ed immancabile “classe dominante” che nessuno ha definito o giustificato, ma che è elemento indispensabile perché il gioco stia in piedi. Questo Stato esattore è ovviamente lo stesso in qualunque tempo e luogo... Si tratta di un altro presupposto implicito che però basta esplicitare per rendersi conto del suo carattere ideologico estremo.

Un’altra delle illusioni più grosse è quella di credere che si possano spiegare le dinamiche strutturali risalendo alla loro origine, più o meno fantomatica. Qui si confonde la genealogia storica dei processi con il loro carattere strutturale-sistematico. Per intenderci: come l’accumulazione originaria non è quella capitalistica e non spiega quella capitalistica una volta che essa si sviluppa sistemicamente come categoria del modo di produzione capitalistico, altrettanto poco la spiegazione di come gli Stati sono sorti in Mesopotamia spiega come gli Stati funzionino non solo in Mesopotamia, ma nei vari modi di produzione in cui si hanno Stati. Ma dato che si sono cancellati i processi storici e si è ridotto tutto a Individui e Stato, ci si illude di poter individuare un momento cronologico preciso in cui l’equilibrio naturale di questi individui già esistenti sia stato perturbato dall’opprimente stato tassatore... Criticando la instaurazione dello Stato in un certo momento si è risolto il problema per tutti gli Stati a venire.

Si potrebbe andare avanti, ma già il quadro è chiaro: cancellare il processo storico che si articola in conformazioni sistemiche plurali e strutturate (funzioni e conflitto di classi come forme di movimento di un sistema) ci riporta agli individui sostanziali ed a ciò che sta fuori di loro come “altro” già “dato”. Ci riporta, sempre e di nuovo, a Locke, che lo si interpreti scientemente nella prospettiva liberale o che si cada preda della sua egemonia con una teoria dell’individuo trasfigurata in un essenzialismo dell’uomo in generale


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