Thursday 28 May 2020

"Schiarimenti" sul mio aritcolo "Alle origini della Filosofia della prassi. Letture italiane delle Tesi su Feuerbach", in Marx in Italia a cura di C. Tuozzolo

Vorrei spiegare meglio il senso del mio saggio dal titolo Alle origini della "Filosofia della prassi". Letture italiane delle Tesi su Feuerbach, apparso in Marx in Italia a cura di C. Tuozzolo.

Il contesto complessivo del volume dal punto di vista del curatore, se capisco bene anche dalla presentazione di oggi durante il seminario on-line, mi pare sviluppi, in un mio riassunto estremamente sommario, la seguente logica:

1.1) La filosofia della prassi è un'interpretazione interessata di Marx da parte di Gentile e come tale passa in Gramsci;
1.2) Il marxismo italiano senza Capitale del PCI di ispirazione gramsciana viene in realtà da Gentile; Gentile travisa Marx e il marxismo italiano di conseguenza fa lo stesso; 
1.3) Croce, liberale, invece studia Il capitale e quindi è più solido, ergo: 
1.4) la via di uscita è mettere insieme Marx col liberalismo.

Si tratta ovviamente di una schematizzazione estremamente sommaria che non fa giustizia alla complessità dell'argomentazione, ma a me serve per spiegare dove mi colloco io. 

Un'altra variante riemergente con punti di contatto con la precedente è:

2.1) La filosofia della prassi è un'interpretazione interessata di Marx da parte di Gentile e come tale passa in Gramsci;
2.2) dunque fascismo e comunismo sono contigui nel bene (anticapitalismo) e/o nel male (totalitarismo), a seconda delle prospettive interpretative.
2.3) Per l'oggi, se ne deduce un'utilità di Marx/Gentile/Gramsci in chiave anti-capitalistica.

Entrambi questi approcci potrebbero usare il mio saggio per portare acqua al proprio mulino, quindi intendo chiarire meglio, sempre sommariamente, perché invece questo non sia il mio punto di vista e perché non ritengo legittimo questo eventuale uso.

Nel saggio cerco di mostrare filologicamente che quanto si intende con Filosofia della prassi non viene da Labriola - per quanto egli inventi l'espressione che, si badi bene, non è di Marx - ma da Gentile. Mostro poi come Gramsci assorba questo concetto da Gentile e non da Labriola. Infine, cerco di argomentare come la Filosofia della prassi nei termini tradizionali sia un'interpretazione inadeguata del pensiero di Marx. Un lettore frettoloso potrebbe pensare che ciò sia coerente con le posizioni sopra espresse, in particolare 1.1, e 2.1 da cui a cascata di dedurrebbe tutto il resto; invece credo di no, per i seguenti motivi:

A) Sostenere che la Filosofia della prassi nei suoi termini tradizionali sia un'interpretazione di Gentile e che Gramsci la riprenda da lui, non significa affatto dire che Gramsci e Gentile sono la stessa cosa. Ed infatti non lo sono affatto, perché Gramsci cerca di digerire la Filosofia della prassi dentro, per parlare alla spiccia, il materialismo storico. Anche se Gramsci non è esegeta del Capitale, ha in mente lotta di classe, rapporti di produzione e tendenzialità epocali, ecc. Insomma, mentre Gentile riduce tutto alla Filosofia della prassi, Gramsci cerca di inquadrarla come, sempre semplificando, una teoria della sovrastruttura da pensare insieme alla struttura. Si può discutere se egli riesca o meno in questo suo tentativo e se vi sia coerente fino alla fine, ecc. ecc., ma non è Gentile.
B) Di conseguenza, se non è del tutto sbagliato che il PCI abbia sviluppato un marxismo senza Capitale, non bisogna scordare che, considerando le circostanze storiche in cui quel conflitto si è sviluppato, si propose un piano di "riforme di struttura", che già erano iniziate con il fascismo e che continuavano nel dopoguerra. I processi reali erano già maturi o in via di maturazione. Si può discutere all'infinito sui limiti di tutto ciò, ma non credo si possa dire che non ci fosse una considerazione delle dinamiche epocali della "struttura" del capitalismo (probabilmente insufficiente e sempre più nell'ultima fase, ma non assente).
C) Per quanto quindi il fascismo possa essere considerato una rivoluzione passiva, esso non è il comunismo, non solo di fatto, ma neanche nell'interpretazione di Gramsci, se non altro per la questione nodale della lotta di classe, un punto strutturale/sovrastrutturale per eccellenza (non solo sovrastrutturale).
Quindi, A, B, C credo mostrino che non c'è alcuna deduzione automatica da 1.1 e 2.1 a 1.2 e 2.2.

Vediamo 1.3 e 1.4. È vero che Croce studia Il capitale, ma la sua interpretazione è sbagliata, soprattutto nelle due questioni cruciali del cosiddetto Paragone ellittico e anche nella Critica della caduta tendenziale del saggio di profitto (argomento più delicato). Per riprendere un tema a me caro, Croce imposta in maniera sbagliata il tema cruciale dei livelli di astrazione (come ho cercato di dimostrare in Ripartire da Marx soprattutto per la questione del paragone ellittico).
Se filosoficamente Croce si pone su di un piano esplicitamente diverso rispetto a Marx, nel merito la sua interpretazione non è meno erronea di quella di Gentile. Sembra dunque a me estremamente problematica un'interpretazione liberale di Marx sulla scia di Croce. 

Infine 2.3. Ho cercato di mostrare con un po' più di precisione come si articoli il rossobrunismo in questa paginette alle quali mi permetto di rimandare: Orientamenti politici e materialismo storico. Solo omettendo la struttura si può giungere alle conclusioni rossobrune.

Quindi, se le due interpretazioni di cui sopra non sono affatto in linea con il mio pensiero e, secondo me, neanche con una corretta esegesi testuale, perché questo articolo?
Perché l'elemento gentiliano, che credo innegabile, non permette, come non ha permesso a Gramsci, una adeguata teorizzazione del nesso struttura-sovrastruttura. A mio modo di vedere bisogna prendere atto di questo limite e riprendere il lavoro ipotizzando correzioni/nuove teorizzazioni che tengano ben presente questo caveat.







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