Sobre Lenin y Hegel en castellano!
Wednesday, 2 July 2025
Tuesday, 1 July 2025
I libri alla radio, "Nel labirinto - Italo Calvino filosofo" di Roberto Fineschi" by Radio Grad
Intervista sul mio libretto calviniano! I libri alla radio, "Nel labirinto - Italo Calvino filosofo" di Roberto Fineschi" by Radio Grad
Sunday, 22 June 2025
Esame di Stato amore mio
Esame di Stato amore mio
I
Mi ritrovo in questa stanza
col volto di ragazzo, e adolescente,
e ora uomo. Ma intorno a me non muta
il silenzio e il biancore sopra i muri
e l'acque; annotta da millenni
un medesimo mondo. Ma è mutato
il cuore; e dopo poche notti è stinta
tutta quella luce che dal cielo
riarde la campagna, e mille lune
non son bastate a illudermi di un tempo
che veramente fosse mio. Un breve arco
segna in cielo la luna. Volgo il capo
e la vedo discesa, e ferma, come
inesistente nella stanca luce.
E cosi la rispecchia la campagna
scura e serena. Credo tutto esausto
di quel perfetto inganno: ed ecco pare
farsi nuova la luna, e – all'improvviso –
cantare quieti i grilli il canto antico.
Pier Paolo Pasolini, Appendice I a «Dal diario» (1943-1944), in Tutte le poesie, tomo I, a cura di Walter Siti, Milano, Mondadori, 2009.
È questa la poesia di Pasolini scelta dagli esperti del Ministero come prima traccia per l’Esame di Stato dell’anno corrente. Non è certo tra le sue più famose e non è sicuramente rappresentativa della sua poetica matura. Forse era meglio scegliere altro?
Alcuni obiettano che sarebbe stato semplice buon senso tenere conto di quanto segue:
1) pochissime classi, un’esigua minoranza, arrivano a trattare Pasolini;
2) se ci arrivano, certo non considerano le poesie giovanili inedite;
3) i manuali stessi ignorano in genere questa fase, neppure contemplata nella pagine dedicate all’illustre intellettuale (anche i testi universitari sono in genere parchi in proposito).
La sintesi dei tre punti è: perché proporre qualcosa che in genere non si fa?
È questa una linea di ragionamento che si presta a una contro-obiezione immediata e in fondo legittima: lo studente deve aver maturato le “competenze” per analizzare qualsiasi tipo di poesia, quindi non è rilevante che essa sia famosa, celebrata e via dicendo, basta che sia un testo poetico.
È un’obiezione però che, espressa in questi termini, risulta debole; si potrebbe infatti replicare: perché allora non mettiamo una poesia che ha scritto mio zio Gino o una preparata ad hoc da un sottosegretario del Ministero? In base a quanto assunto non farebbe differenza. La scelta invece di un “classico” è legata al suo status e quindi anche il livello del testo selezionato deve tenerne conto. Qui credo stia il vero problema.
Non intendo dire che la poesia non andasse selezionata perché è “brutta” (non si tratta di emettere sentenze di tal genere). È piuttosto decisiva la rilevanza che lo stesso Pasolini e la critica qualificata le hanno attribuito per sancirne lo status di classico e quindi l’eleggibilità a testo per l’Esame di Stato. Credo si possa serenamente affermare che questo status non c’è.
Mettendo da parte la versificazione in dialetto, lo stesso poeta ha scelto dalla sua vasta produzione poetica degli anni Quaranta che cosa dare alle stampe: la raccolta L’usignolo della Chiesa Cattolica raccoglie le poesie da Pasolini ritenute più significative del periodo 1943-1949. Il testo in questione non è contemplato.
L’obiezione adesso è: perché si tratta di componimenti di carattere diaristico, allotri rispetto al tema della raccolta. Giusto. Vediamo però allora che cosa Pasolini intendesse fare di questi componimenti a carattere diaristico.
Come spiegano dottamente i curatori dei volume dei Meridiani contenenti tutte le poesie, nel 1953 Pasolini ipotizza di pubblicare questi testi giovanili con l’editore Salvatore Sciascia (omonimo ma non parente, per quanto amico, del più celebre Leonardo). In una lettera del 5 novembre spiega la struttura dell’opera completa: oltre all’Usignolo, ipotizza un Diario I. ‘43-’47, un Diario II ‘48-’49, 53 e Lingua.
L’editore accetta un progetto in scala ridotta che porterà alla pubblicazione nel 1954 del volume dal titolo Dal diario (1945-47). Dovendo scegliere, Pasolini scarta gli scritti precedenti il 1945… cui appartiene il testo scelto dal ministero.
Dai vari incartamenti superstiti nel lascito, i curatori del Meridiano sono riusciti a ricostruire il progetto anche di Diario I di cui avrebbe fatto parte la nostra poesia rimasta però inedita. Anche nell’edizione di Tutte le poesie è un testo pubblicato come appendice a una raccolta già di per sé considerata minore.
Si tratta, per farla breve, di un testo, a voler essere generosi, “minore”. È ovviamente di grande interesse per gli specialisti per comprendere l’evoluzione della poetica pasoliniana in una fase delicata del suo sviluppo intellettuale. Certamente, a giudicare dall’autovalutazione del poeta, non una poesia indispensabile, non un suo capolavoro, non un classico.
Per questa ragione, forse si poteva scegliere altro.
II
Lo studente poteva ovviamente scardinare questo impianto e incardinare questo astratto schematismo naturalistico e religioseggiante in un contesto di storia, classi, conflitti concreti. Certo, non è ciò che suggeriva il tema.
La stragrande maggioranza dei candidati ha svolto il tema sul rispetto, quello che più si prestava allo schematismo dei buoni sentimenti e delle attitudini cui ahimè non riusciamo soggettivamente a star dietro. Il rischio, nella maggioranza dei casi, è quello della carrellata di luoghi comuni che finiscono per ripetere il contenuto già presente nella traccia in modo più o meno fedele e linguisticamente appropriato.
Se da un lato gli studenti studiano storia, letteratura, scienza, tutte discipline che nella loro pratica hanno intrinseca la storicità, l’idea di sviluppo, di costruzione processuale, a livello di autocoscienza sono incapsulati in una concezione personalistica (prodotto feticistico necessario della società mercantile) che non consente loro nemmeno di collegare a livello epidermico quello che studiano con quello che vivono.
Le tracce, più che proporre un’uscita da questi schemi, li incoraggiavano andando a solleticare il moralista che si nasconde nel fondo del cuore di molti.
Sunday, 15 June 2025
Da ideologia a ideologemi
È questo un sintomo di ulteriore decadimento della civiltà nostrana, dove ormai non si producono più nemmeno ideologie, vale a dire sistemi di pensiero con una qualche organicità che diventano visioni del mondo operative, sistemi di valori e di comportamento, religioni nel senso della tradizione gramsciana, ma meri ideologemi, contenuti singoli ad hoc che possono essere l’uno l’opposto dell’altro dalla mattina alla sera. È la pura manipolazione, il puro affastellamento di immagini e notizie che devono passare in virtù della mera insistenza con cui le si propone, senza la necessità di convincimento. È la distruzione della Cultura in senso forte, di un sistema regolativo di principi che reggono una società che dir si voglia democratica. Dalle ideologie agli ideologemi, i singoli contenuti di volta in volta mutevoli in funzione dello scopo della giornata.
Anche qui non si tratta di piangere i bei tempi andati in cui lo scontro politico era anche sviluppo culturale, ma di prendere atto di come la dinamica attuale del capitalismo, che chiamo crepuscolare, tenda a instaurare meccanismi di puro dominio senza direzione, forza senza egemonia, dove anche il modo di concepire la realtà viene inculcato a forza senza mediazione e convincimento (ovvero violentemente).
Queste trasformazioni ovviamente pongono quesiti sulla tenuta di sistema: può reggersi un regime sulla mera forza? Se sì, per quanto tempo? Con che prospettive di sviluppo, che sono garanzia della sua stessa sopravvivenza? Si può andare avanti a lungo a bastonate e chiacchiere? Nemmeno il fascismo ha fatto così, ha dovuto a un certo punto normalizzare. Insomma, il modello America latina funziona se c’è un centro che non funzione in quel modo. Ma se tutto il sistema prende quella piega? Domande aperte.
I valori occidentali
È ingenuità diffusa credere che tutto ciò sarebbe “naturale” e che il perverso mondo moderno starebbe negando o “alienando” l’essere umano originariamente pacificato. Tutti questi bei principi, ben lungi dall’essere naturali, sono invece risultato di complessi e contraddittori processi storici che hanno portato a essi come conquiste sociali. In “origine” gli esseri umani si mangiavano tra di sé. Lo stesso anti-eurocentrismo è un concetto quanto mai… europeo, nato e possibile solo dalla tradizione che si è sviluppata a partire dall’Europa illuminista.
Detto questo, è bene sottolineare che quanto stanno facendo adesso i sedicenti difensori dei valori occidentali è la negazione dei valori occidentali, o almeno di quei valori progressisti di cui si dichiarano paladini. Nelle guerre in corso è negata in particolare l’universalità dell’essere umano e la vigenza del diritto come criterio regolatore dei rapporti interpersonali e interstatuali. Sbandierare i valori occidentali per negarli è quanto stanno facendo le sedicenti forze del bene. Da una parte è quindi un’assurdità combattere contro i valori occidentali, significa solo abboccare all’amo che hanno teso.
D’altra parte però è altrettanto assurdo non vedere che questa negazione di fatto non è un mero capriccio o uso strumentale soggettivo di essi da parte di alcuni capi di governo rispetto ad altri. In parte lo è, beninteso, ma le cause strutturali che mettono in moto questi meccanismi sono ancorate alla dinamica di (difficile) valorizzazione delle forze capitalistiche ad oggi egemoni di fronte all’emergere di meccanismi che hanno messo in crisi il sistema di dipendenza economica finora prevalente. Insomma, il modo di produzione capitalistico non è in grado, per la sua intrinseca crisi di valorizzazione, di universalizzare effettivamente quei principi universali.
Salvare lo stato di diritto borghese è un obiettivo minimo, ma non ci si può limitare a una formalistica rivendicazione di legalità. Bisogna intervenire nei processi organizzativi e produttivi rilanciando la questione del controllo pubblico della produzione (o almeno dei suoi gangli fondamentali) e del suo coordinamento internazionale secondo regole convenute.
Referendum
Con ben poca sorpresa, il quorum non è stato raggiunto. Che un mondo del lavoro superprecarizzato non voti contro la precarizzazione parrebbe difficile da immaginare. Invece non c'è da sorprendersi.
Di primo acchito, due gli elementi da prendere in considerazione:
1) una gran parte dell'elettorato è ormai politicamente analfabeta, non ha più idea delle cose per cui vota. Non nel senso che non conosce il merito del quesito, ma nel senso che non ha capacità di comprensione delle scelte politiche (chi ha a che fare con le nuove generazioni sa che, pur con lodevoli eccezioni, le cose in questo senso non andranno a migliorare);
2) questo analfabetismo di base era sicuramente minore prima, ma certo non assente; era mediato dalle organizzazioni di massa che, al di là del conoscimento individuale, davano un orientamento in cui l'elettorato progressista si riconosceva. Le leggi per la cui abrogazione si è votato *sono state fatte per lo più dal PD* con un sostanziale silenzio/assenso del sindacato promotore dei referendum.
Dunque, tenendo conto di chi non sa/capisce, di chi è mosso da sentimenti di protesta contro queste organizzazioni per il loro "tradimento", di chi è rimasto disorientato dal loro comportamento (si noti bene che diversi esponenti del PD hanno confermato di essere contrari all'abrogazione), di chi ormai pensa che sia inutile perché "tanto non cambia niente", il risultato non è poi così sorprendente e, ahimè, da molti a malincuore già previsto.
Si potrebbe quasi sospettare che si tratti di manovre interne volte a indebolire ulteriormente quel poco di sinistra che resta in questi schieramenti.
È l'esito di un lungo processo iniziato con le privatizzazione dei primi anni '90 di cui il PDS --> PD --> D ecc. è stato promotore e protagonista.
È l'onda lunga del governismo del PCI, della crisi e della fine dell'URSS, dello smarrimento pratico e ideologico di fronte alle sfide del capitalismo crepuscolare.
Lo si definisca come si preferisce, questo processo si declina bene con i programmi di neo-servitù che i nostri governanti ci stanno apparecchiando o, meglio, che stanno mettendo in esecuzione su mandato dei loro padroni.
Parecchi dei cacicchi che ora si beano perché hanno garantita una parte delle stecca, non vorrei però avessero più in là a dolersene.
Violenza e universalismo
Il massacro è in corso, in diretta da mesi. Non è il primo e non sarà, purtroppo, l’ultimo. Recentemente ce ne sono stati altri, compiuti anche dai soliti noti, dalle forze del bene e del diritto.
Non solo recentemente: i difensori del diritto hanno fondato i propri paesi sul genocidio in diverse parti del mondo, hanno trafficato in esseri umani facendo guerre per ottenere il monopolio di quei traffici, hanno messo in musei i “selvaggi” in casa propria alla pari degli altri animali dello zoo.
Chi è che non lo sa? Qual è la differenza? Perché questo caso ci indigna di più? Forse perché è indiretta streaming e non si può far finta di non sapere, di non vedere? Ma è davvero possibile fingere di non conoscere la sanguinaria storia di dominio e distruzione su cui è basata la nostra presunta civiltà? La verità è che a molti, moltissimi, questa cosa non desta alcun problema. Che finché non riguarda “noi” si può guardare questo scempio come un film in televisione. Un film triste ma che dalla televisione non esce. E se il “nostro” benessere non viene toccato… pazienza, con tristezza, ma pazienza.
La verità è che l’essere umano come concetto universale, come valore da difendere ovunque non è un dato, non è innato, ma il risultato di un processo di civilizzazione che si può interrompere, o addirittura far arretrare. E questo processo evolutivo non è solo individuale, non avviene solo nelle coscienze dei singoli, ma all’interno di una dinamica sociale che ha delle strutture e delle regole. Il riconoscimento formale dei diritti universali la borghesia capitalistica, per una fase e in determinate zone del mondo, lo ha promosso. Lo sviluppo capitalistico è però rapidamente e strutturalmente arrivato allo stadio in cui non riesce a espanderlo ulteriormente, anzi in cui è di nuovo preferibile ridurne la portata a élite selezionate. Queste élite hanno bisogno di un entourage più o meno largo. Le masse subalterne all’interno del mondo occidentale sono al bivio tra schierarsi per cambiare le regole del gioco oppure sacrificare il fratello più debole per entrare a far parte di quell’entourage. Il fascismo (diretto o mascherato) è la seconda scelta, è la speranza di essere ammessi, anche se sul gradino più basso, in quel circolo ristretto. Per gli altri, può dispiacere (e a qualcuno nemmeno dispiace).
C’è tuttavia anche chi quell’universalismo lo vuole rendere davvero tale, contro coloro che lo vogliono negare del tutto o affermare solo formalmente. Un universalismo reale deve trovare delle vie di uscita dal capitalismo e dai suoi meccanismi perversi che fanno di guerra, dominio e distruzione l’esito sempre più probabile delle perverse dinamiche di valorizzazione e dominio. Finché qualcuno così continuerà a esistere e lottare, la luce della speranza non è spenta. Tempi migliori verranno.
Wednesday, 11 June 2025
La doctrina social de la Iglesia. Roberto Fineschi
Tradotto a mia insaputa in castigliano :D :D
La doctrina social de la Iglesia
Sociedad 14 mayo, 2025 Roberto Fineschi

EL PAPA, LOS PAPAS Y LA DOCTRINA SOCIAL DE LA IGLESIA
La elección de un nuevo papa suscita inevitablemente un gran interés por el papel internacional que desempeña esta figura, en particular en Italia, aunque la tendencia reciente es elegir papas no italianos1. Es evidente que, aunque se compartan determinados principios fundamentales, se pueden adoptar posturas muy diferentes (digamos que los comunistas saben algo al respecto). En lo que respecta a la llamada doctrina social de la Iglesia, estos principios fundamentales están muy claros, expresados en numerosos documentos y desarrollados con coherencia a lo largo del siglo XX. Permiten un amplio abanico de «apoyos» posibles que pueden desplazar la labor pontificia más hacia la derecha o hacia la izquierda; sin embargo, ningún papa ha puesto nunca en duda las bases generales de ese sistema. Por lo tanto, si bien hay que saludar con el debido reconocimiento las posiciones más a la izquierda de unos frente a otros, tampoco hay que confundirse en las cuestiones de principio.
La segunda precisión es que lo que se intenta explicar se refiere a la posición oficial de la jerarquía eclesiástica y no concierne necesariamente a las mil almas populares del catolicismo social. Sin embargo, es bien sabido que las jerarquías controlan estrictamente la cara «oficial» de la Santa Iglesia Romana.
1) Las premisas: Pío IX2
En la encíclica Quanta cura (1864) y en el Silabario adjunto a ella, Pío IX no combate simplemente el Estado moderno, sino la modernidad como tal. He aquí un primer elemento que hay que tener muy presente: el contenido antiliberal de la crítica de la Iglesia católica es anterior a la llegada de la burguesía al poder y a la difusión mundial del capitalismo y, por lo tanto, es totalmente antimodernista, es decir, no pretende ir más allá del capitalismo, sino volver a un antes. Al hacerlo, Pío IX retoma a su predecesor Gregorio XVI, que consideraba una «locura» lo siguiente:
«La libertad de conciencia y de iniciativa es un derecho personal de todo hombre que debe ser proclamado y afirmado en toda sociedad constituida según el derecho; y que el derecho a una libertad absoluta reside en el ciudadano, que no debe ser limitado por ninguna autoridad, ni eclesiástica ni civil, ya que deben poder manifestar y declarar abierta y públicamente cualquier opinión suya, mediante la palabra, la prensa o cualquier otro medio». 3.
Según Pío IX, esto no es libertad de pensamiento, sino «libertad de perdición».
La crítica al individualismo solo aparentemente podría considerarse superponible a la realizada por los comunistas: de hecho, se ataca desde la derecha. Esto se ve claramente en el Silabario, donde los primeros artículos están dedicados a la desautorización de la capacidad de la razón para comprender la realidad, los dogmas de la CC, etc. (art. 3-5). Solo a través de Dios el hombre conoce verdaderamente, pero para los católicos romanos, a través de Dios significa a través del Papa. El pensamiento debe estar así sometido a la verdad revelada y no someter a prueba racional la fe (art. 10). La tercera sección está dedicada a sostener que solo la fe católica conduce a la salvación, las demás no, con una postura explícita contra los protestantes (art. 18). A continuación, se declara la necesaria subordinación del Estado de derecho a la CC (art. 20 y ss.). Sigue luego un tema muy querido por la CC actual: el control de la educación (art. 45 y ss.). Los artículos 67 y siguientes están dedicados a la nulidad del matrimonio civil frente al religioso según las sanciones del Concilio de Trento.
Cito directamente los últimos cuatro principios censurables para darles el sabor y el estilo de los nuestros; están dirigidos contra el reconocimiento legal de la libertad de culto4:
«77. Hoy en día ya no hay motivo para que la religión católica sea considerada la única religión del Estado, con exclusión de todas las demás formas de culto…
78. Por lo tanto, se ha decidido sabiamente por ley, en algunos países católicos, que las personas que vengan a residir en ellos puedan disfrutar de la práctica pública de su culto particular…
79. Además, es falso que la libertad civil de toda forma de culto y el pleno poder otorgado a todos para manifestar abierta y públicamente cualquier opinión y pensamiento conduzcan más fácilmente a la corrupción moral del pueblo y a propagar la plaga del indiferentismo…
80. El pontífice romano puede y debe reconciliarse y llegar a un acuerdo con el progreso, el liberalismo y la civilización moderna».
En resumen, Pío IX niega la libertad de pensamiento, de culto, de acción, la soberanía popular (ya que el Estado, que la encarna, debe responder ante la Iglesia, que es independiente de él) y sostiene la sumisión del pensamiento y la ciencia a la religión, etc. Me parece que esto basta para esbozar el perfil de los contenidos políticos de la posición antiliberal del papado.
2. El catecismo actual
Algunos podrían pensar que esta es la posición de la Iglesia de entonces, que hoy todo es diferente y que también ha cambiado la situación social. Sin embargo, evaluemos estas consideraciones a la luz de los dictados del Catecismo, redactado bajo la dirección del entonces cardenal Ratzinger. El artículo 872 dice:
«Entre todos los fieles, en virtud de su regeneración en Cristo, existe una verdadera igualdad en la dignidad y en el comportamiento, y por esta igualdad todos cooperan en la edificación del Cuerpo de Cristo según la condición y las tareas de cada uno».
Veamos también lo siguiente:
«Las mismas diferencias que el Señor ha querido establecer entre los miembros de su Cuerpo están al servicio de su unidad y de su misión».
Si, por una parte, todos son hijos de Dios y, por lo tanto, iguales, por otra, cada uno tiene una cualidad específica, también querida por Dios, que le asigna una función determinada.
Así, el art. 1936 afirma:
«Se observan diferencias relacionadas con la edad, las capacidades físicas, las aptitudes intelectuales o morales, los intercambios de los que cada uno ha podido beneficiarse, la distribución de las riquezas. Los talentos “no están distribuidos en igual medida”».
Aquí las diferencias físicas y sociales se sitúan en el mismo plano, todas ellas enmarcadas en el proyecto divino global, como se deduce también del art. 1937:
«Estas diferencias forman parte del plan de Dios… Las diferencias animan y a menudo obligan a las personas a la magnanimidad, a la benevolencia, al compartir».
Así, la desigualdad social, al igual que la física, es voluntad de Dios. El art. 1938 habla luego de «desigualdades injustas», que representan la superación del límite de las desigualdades justas.
El razonamiento expuesto implica que, por naturaleza (voluntad de Dios), no solo todos los hombres son efectivamente diferentes biológicamente, sino que esta diferencia se sitúa en el mismo plano que la estructuración social, cultural, caracterial, incluso la posesión de la riqueza. Así, la igualdad de los individuos, afirmada en virtud de su participación en el plan global de Dios (todos son hijos de Dios), no excluye que se les clasifique en una escala jerárquica según su naturaleza particular. Su dimensión social, al igual que el color de su piel, está divinamente establecida: hay «naturalmente» roles sociales más o menos importantes y, con la misma «naturalidad», personas más o menos aptas para desempeñarlos; es decir, desde un punto de vista conceptual, no se distingue lo que es natural de lo que es social5. Existe, por tanto, una jerarquía de funciones en cuya cúspide se encuentra evidentemente la eclesiástica (la más cercana a Dios) y en el nivel más bajo la menos espiritual (la material)6.
3. León XIII y la Rerum novarum
Ahora sabemos que existen diferencias «sociales» que son «naturales», por lo que no tiene sentido luchar por su eliminación; es más lógico que cooperen las fuerzas encargadas de ello. Sobre estos fundamentos se escribe la primera encíclica social, la famosísima Rerum novarum (1891) de León XIII. Esta se enfrenta al tema de la dinámica social una vez que el capitalismo ha creado algunas de sus condiciones fundamentales, es decir, la oposición conflictiva entre capitalistas y trabajadores asalariados. Por lo tanto, su articulación, en coherencia con el razonamiento expuesto, no está ligada a factores estructurales de la organización reproductiva, sino a la escala social-natural de las funciones, como lo estaban amo-esclavo, señor-siervo de la gleba. Las desigualdades justas son tales por voluntad de Dios o de la naturaleza, como se quiera, y no hay nada que hacer contra ellas. Sin embargo, lo que hay que hacer —y en esto la Iglesia se distingue claramente del liberalismo individualista radical— es tener en cuenta que todos son hijos de Dios; esto implica obligaciones morales de mutualismo interclasista: el empresario no debe ser un amo, sino un padre benevolente que vela por el bienestar de sus trabajadores y se preocupa por su progreso económico y moral. La propiedad privada debe tener una función pública, el beneficio no puede ser un fin en sí mismo, sino que debe coordinarse con el progreso social. Esto dio lugar a una difusa y próspera iniciativa empresarial católica, especialmente en el norte de Italia.
La perspectiva política de este enfoque era claramente antisocialista: el conflicto de clases no debía fomentarse, sino apaciguarse, el orden jerárquico de la sociedad era natural (obviamente con la Iglesia a la cabeza como guía moral de la empresa ilustrada). León XIII se posicionó expresamente contra el socialismo con la primera encíclica oficial de condena, la Quod apostolici muneris de 1878, varios años antes que la Rerum novarum, que ofrece la verdadera respuesta a la cuestión social7.
4. Pío XI, el salto de calidad
Si León XIII había sentado las bases de un espíritu empresarial organicista dirigido desde arriba y de carácter paternalista como respuesta al socialismo, un importante salto cualitativo se produjo con la Revolución Rusa, el advenimiento del fascismo y el agravamiento del conflicto de clases y interimperialista en el plano internacional. El papa que se enfrentará a este nuevo nivel de confrontación y, por tanto, a la formulación teórica correspondiente, es Pío XI. La condena oficial del comunismo como movimiento político y del materialismo histórico como doctrina filosófica por parte del papado sigue siendo su encíclica Divini Redemptoris de 19378. La primera parte de la encíclica está dedicada a la refutación del materialismo histórico y no se puede profundizar en ella porque ocuparía demasiado espacio; se puede afirmar brevemente que lo que se ataca es una versión parcial y conveniente. En la segunda parte, Pío XI hace algo que sus colegas rara vez hacen: además de condenar el comunismo, declara qué práctica político-organizativa se ajusta mejor a la orientación teórica desarrollada en las décadas anteriores. Por un lado, la condena del capitalismo y del mundo liberal sigue en pie, por lo que no puede representar una vía posible; pero entonces, ¿qué? La solidaridad, la misericordia, la colaboración mutua. Estas formulaciones abstractas no tienen en realidad ningún contenido, porque se adaptan a una miríada de configuraciones posibles, las más diversas entre sí, y ahí radica precisamente la superioridad de Pío XI: da una indicación extremadamente precisa. En primer lugar, sin falsas hipocresías, dice textualmente en el § 33:
«No es cierto que todos tengan los mismos derechos en la sociedad civil. No es cierto que no exista en ella una jerarquía social legítima».
Y él mismo remite a León XIII. Gracias al análisis del Catecismo sabemos por qué. Pero lo interesante es reiterar por qué se reivindica la desigualdad: porque los comunistas, perniciosamente, reivindican la igualdad desde su punto de vista:
«En las relaciones humanas con otros individuos, los comunistas aceptan el principio de la igualdad absoluta, rechazando toda jerarquía y autoridad constituida divinamente, incluida la autoridad de los padres».
Dado que la desigualdad es divina y los comunistas quieren eliminarla, Pío XI acepta que el Estado haga respetar el orden jerárquico natural-social (§ 33) creando un orden particular. Pero, ¿qué tipo de Estado? Pío XI no se esconde: el corporativismo. Veamos el § 32:
«Hemos indicado cómo se puede restaurar una prosperidad sólida de acuerdo con los verdaderos principios de un sistema corporativo sano, que respete la estructura jerárquica propia de la sociedad; y cómo todos los grupos ocupacionales deben fusionarse en una unidad armoniosa inspirada en el principio del bien común. Y la función genuina y principal de la autoridad civil consiste precisamente en la promoción eficaz de esta armonía y en la coordinación de todas las fuerzas sociales».
Y si alguien pensara que se refiere a un corporativismo hipotético, también en este caso se disipa toda duda. El § 54 dice:
«Si, por lo tanto, consideramos toda la estructura económica de la sociedad, como hemos destacado en nuestra encíclica Quadragesimo anno, el reino de la colaboración mutua entre la justicia y la caridad en las relaciones socioeconómicas solo puede alcanzarse gracias a un conjunto de organizaciones profesionales e interprofesionales, fundadas sobre una base cristiana sólida, que trabajen juntas para poner en práctica, en formas adaptadas a los diferentes lugares y circunstancias, lo que se ha llamado corporación».
Si recordamos que la encíclica es de 1937, «lo que se ha llamado corporación» tiene claras referencias históricas]. Es el mismo papa quien dijo que Mussolini era el «hombre de la Providencia».
Corriendo hacia hoy, o mejor, hacia ayer
Si el fascismo es la versión «dura» del corporativismo, lo que ocurre en Italia después de la Segunda Guerra Mundial, en la República Democrática, puede definirse como la versión «blanda». La organización industrial y productiva del país pasa del fascismo a la República con gran continuidad; el IRI no solo sigue siendo un gigante económico, sino que incluso amplía su ámbito de actuación. El Estado empresario gusta a los católicos, pero naturalmente también gusta a los comunistas, que con el plan de reformas estructurales quieren llevar el proceso gradualmente hasta sus últimas consecuencias. No se trata ciertamente de un Estado liberal puro: aunque sea a costa de sangrientas luchas, se arranca toda una serie de derechos a los trabajadores. Sin embargo, la presencia asistencialista del Estado y su uso paternalista y clientelista no contradicen el sistema teórico descrito anteriormente. El peligro comunista es el desarraigo del sistema dirigista-católico-paternalista, no la idea del mutualismo social; basta con que el mutualismo no conduzca al desmantelamiento del sistema. Por lo tanto, conceder derechos a medias es aceptable; sin embargo, el temor es que, a fuerza de ceder pedazos, al final se ceda todo el pastel, por lo que es mejor proceder con parsimonia y con un control extremo9.
Sería ingenuo e incorrecto concluir de lo anterior que todos los papas (y las orientaciones políticas del Vaticano) son iguales y que, por lo tanto, es indiferente quién sea el papa; sería un extremismo ingenuo que perdería de vista las muchas posiciones posibles, con grados muy diferentes de dramatismo social, que existen entre la versión dura y la versión blanda. Por lo tanto, si el horizonte de referencia general sigue siendo el mismo, hay una gran diferencia entre atacar o defender el imperialismo financiero, respaldar o oponerse a las guerras que se derivan de él, ser drástico o benevolente con quienes se encuentran en situaciones de indigencia o migración.
En su encíclica Fratelli tutti10, el papa Francisco adopta una posición clara contra la economía financiera y sus especulaciones, situándolas en la base de la actual crisis mundial (§§ 12, 52, 53, 75, 109, 144). Son sus efectos perversos los que determinan las relaciones desequilibradas con los países más pobres y, por lo tanto, su explotación (§§ 122, 125, 126), así como la causa de la cultura globalista vacía y homogeneizadora (§ 100) y del individualismo paradójico que la refleja (§§ 12, 105, 144). Llega a sostener que el problema de fondo es el mercado, que es una mera ilusión pensar que puede autorregularse (§§ 33, 109), posición que se define duramente como «dogma neoliberal» (§ 168). Se invocan instituciones que lo regulen a nivel mundial (§ 138), porque sin este tipo de regulación la libertad y la justicia siguen siendo palabras vacías (§§ 103, 108, 170-172). Afirma incluso que la propiedad no es sagrada, sino un derecho secundario (§ 120) y debe tener una función social (§ 118).
Sin embargo, también critica el populismo, estigmatizando la política de cierre hacia los migrantes (§ 39); condena la esclavitud a la que están condenados por el mismo sistema mencionado anteriormente (§§ 86, 130-132), trata de distinguir entre las reivindicaciones populares legítimas y el populismo (§§ 157 ss.), critica la pseudocomunicación vinculada al mundo de las redes sociales (§ 42) y el horror de la violencia y la agresividad que produce (§ 44).
Quienes han tenido la paciencia de llegar hasta aquí saben que en estas posiciones no hay nada innovador ni revolucionario; todo lo afirmado se inscribe más o menos con precisión en el marco reconstruido. Sin embargo, esto no debe llevar a errores de signo contrario: el primero es creer que el Papa ha sido un «comunista» o considerar el planteamiento teórico general que se deduce de sus posiciones como algo deseable. Por otra parte, sin embargo, sería igualmente absurdo no identificar los elementos de posible convergencia estratégica, la fructífera posibilidad de colaboración.
Esta es la cuestión: el llamado «rojo-marrón» no capta las diferencias y lo mezcla todo indistintamente en el «estar en contra». No captar las diferencias es un error garrafal, porque se acaba trabajando de todos modos para otro enemigo diferente del actual, pero enemigo al fin y al cabo. Esto no excluye que se pueda colaborar estratégicamente para determinados objetivos comunes, es decir, teniendo plena conciencia teórica y práctica del momento en que hay que detenerse y seguir llamando a las cosas por su nombre.
En cuanto al papa recién elegido, es obviamente imposible predecir lo que hará. Sin duda, seguirá moviéndose en el marco de referencia trazado en lo que respecta a las coordenadas generales, esperemos que inclinando la balanza hacia soluciones «suaves» de concertación global. La elección del nombre podría sugerir precisamente un vínculo con el León del siglo pasado y su intento «pacificador»11. En los tiempos que corren, sería una actitud apreciable.
Notas
1 A partir de Juan Pablo II (polaco), hemos tenido un papa alemán (Benedicto XVI, Ratzinger) y ahora uno estadounidense. Antes de Wojtila, el último papa no italiano había sido Adriano VI (1522-1523), cuyo nombre de pila era Adriaan Florensz, flamenco de Utrecht.
2 A continuación, retomo partes del texto de una contribución mía de hace unos 25 años, eliminando las partes más polémicas y beligerantes que la animaban en su momento para centrarme en las cuestiones de fondo.
3 El texto reproducido está traducido de la versión inglesa, por lo que es posible que haya pequeñas diferencias con respecto a la versión italiana comercializada. Lo mismo ocurre con las citas de encíclicas que siguen.
4 Se recuerda que el silabo no desarrolla críticas, sino que simplemente enumera y censura 80 conceptos presentados con las palabras de quienes los defienden.
5 Esto se ve también en Dante, Paradiso, VIII, vv. 115-126 y 138-148, pero también en XXVI, vv. 64-66; pero para la fuente filosófica, véase Tomás de Aquino, Summa Theologica, I. q. VI, 4 y II. II, q. XXVI.
6 Aquí es evidente el fundamento de este razonamiento en la teoría aristotélica de la esclavitud.
7 Pío X, sucesor de León XIII, retomará la crítica de la modernidad condenando sus «intrusiones» en el contexto católico con la igualmente famosa encíclica Pascendi domini gregis de 1907, dirigida precisamente contra el movimiento «modernista».
8 Juan Pablo II, en su encíclica social Fides et Ratio de 1998, en el § 54, hace referencia explícita a toda esta estratificación documental; la función de este párrafo es remitir a todos los documentos anteriores sobre temas filosóficos, siempre en aras de la continuidad y la condena.
9 Reitero, para evitar equívocos, que no se está hablando aquí del cristianismo social básico, sino solo de las perspectivas de la jerarquía.
10 También aquí retomo partes del texto desarrolladas en otro artículo escrito en su momento sobre esta encíclica.
11 Robert Francis Prevost es el primer papa agustino de la historia. A pesar de la referencia a San Agustín, los agustinos, al igual que los dominicos y los franciscanos, son una orden medieval, originalmente de naturaleza ermitaña mendicante, pero que progresivamente se convirtió también en conventual. Además del vínculo «ideológico», otra razón que explica la elección del nombre podría ser más prosaicamente que León XIII inició la canonización de algunas figuras de la orden, creó cardenales y apoyó su relanzamiento vocacional, devolviendo vitalidad al movimiento tras la profunda crisis que había vivido con las supresiones ilustradas en Europa y América Latina.
Fuente: Marx dialectical studies
Artículo seleccionado por Carlos Valmaseda para la página Miscelánea de Salvador López Arnal
Tuesday, 10 June 2025
Una lettura marxista della dottrina sociale della Chiesa nell’ultimo libro di Roberto Fineschi. Intervista all'autore di Ascanio Bernardeschi

Intervista all'autore di Ascanio Bernardeschi
L’intervista ad uno dei maggiori filosofi marxisti viventi sul suo recente lavoro Da Pio IX a Leone XIV. Prospettive marxiste sulla dottrina sociale della Chiesa, per aprire una riflessione critica sull’evoluzione del pensiero e del “magistero” cattolico.
L’elezione del nuovo papa ha innescato la gara fra i commentatori per qualificare questo nuovo pontificato. Riteniamo che saranno i fatti a poter dare un giudizio informato, anche se le premesse non ci paiono promettenti a partire proprio dalla decisione di assumere del nome di Leone come richiamo all’autore della Rerum Novarum. Se, infatti, questa scelta viene da molti, forse dai più, vista come un’attenzione alla questione sociale che con quell’enciclica la Chiesa affrontava per la prima volta, non deve sfuggirci, invece, il carattere antisocialista di quel documento che vedeva come un elemento di natura la proprietà privata dei mezzi di produzione e, di conseguenza, contro natura le aspirazioni socialistiche e si poneva l’obiettivo di arginare il montante movimento delle classi lavoratrici proponendo palliativi alla terribile condizione dei lavoratori.
Vorremmo parlarne con Roberto Fineschi, fra i maggiori filosofi marxisti viventi, il quale recentemente ha pubblicato un libro che definisce come “rimaneggiamento di articoli recenti e passati” ma che, in realtà, affronta abbastanza sistematicamente il tema dell’evoluzione della dottrina cattolica attraverso i vari papi, da Pio IX in poi, con una intera parte opportunamente dedicata al solo papa Ratzinger. In un’altra, la prima, affronta il tema della dottrina sociale della Chiesa.
Il tuo libro tratta dell’evoluzione della Chiesa a partire da Pio IX, quindi dall’opposizione della Chiesa al liberalismo nella sua fase progressista e alla modernità, per giungere a questo nuovo papa. Si è trattato secondo te di adeguamenti gattopardeschi ai tempi che cambiavano o c’è stato veramente, in alcuni papi, una spinta verso un cambiamento più profondo?
“Più che un cambiamento, direi che per la prima volta la Chiesa ha dovuto prendere una posizione ufficiale di fronte a evoluzioni strutturali della società che non potevano essere ignorate, vale a dire l’avvento del capitalismo e successivamente il passaggio alla sua fase imperialistica. Ci tengo a precisare che quando parlo di Chiesa intendo la gerarchia vaticana senza includere il più vasto mondo popolare del cattolicesimo.
Si tratta, nel complesso, di posizioni conservatrici e corporative. È da sottolineare che sin dall’inizio esse hanno carattere antiliberale, prima a livello teorico e di principio con Pio IX, poi in maniera più strutturata con Leone XIII che, contro il liberismo e il libero pensiero (e il neonato socialismo), propone una soluzione corporativa, con un organicismo patriarcale basato su proprietà privata, ma con funzione pubblica, mutualismo di classe e gerarchia sociale “benevola”. È, in sostanza, una versione aggiornata della teoria aristotelica della schiavitù, addolcita con la fratellanza cristiana: esiste una gerarchia sociale basata sulle caratteristiche naturali degli individui che, però, in quanto fratelli, si devono aiutare. La natura antiliberale della teoria sociale della Chiesa ha, dunque, radici profonde e premoderne. Tuttavia, non è la società feudale a essere riproposta, ma un capitalismo corporativo retto da un forte moralismo religioso.
Il passaggio storico del capitalismo alla fase imperialista e al fascismo come una delle sue forme politiche principali rappresenta la versione “hard” di questa concezione: invece che con il paternalismo la gerarchia, va mantenuta in linea privilegiata con la forza. Una società, invece, democratica a partecipazione statale retta da una imprenditoria illuminata dalla religione cattolica è la versione “soft” ed è il consociativismo democristiano del secondo dopoguerra.
C’è, poi, da aggiungere che tutte le encicliche “sociali” sono animate da un forte spirito antisocialista e anticomunista e affiancate da documenti paralleli di loro condanna. Sono animate anche da un forte spirito antiliberale; tuttavia, il liberalismo è preferibile al comunismo perché permette di utilizzare le sue stesse armi (la libertà di pensiero, di associazione) contro i regimi liberali, mentre il comunismo non glielo consentirebbe.
Detto questo, sarebbe ingenuo immaginare che con questo si voglia incoraggiare un atteggiamento da “mangiapreti”. Infatti, non è affatto indifferente quale posizione la Chiesa assuma, se soft o hard. C’è una bella differenza tra il fascismo e il consociativismo su base democratica e anche tra il libero mercato spietato e un sistema che, invece, preveda forme solidali e di partecipazione per quanto diretta dall’alto.
Dunque, in una certa misura e in certe circostanze, ci si può alleare strategicamente. Il problema è, invece, quando si va in confusione sui principi di fondo e si prende una teoria conservatrice, come è quella ufficiale cattolica, come un programma di emancipazione delle masse”.
Come è stato confezionato il tuo libro e, in particolare, cosa c’è di nuovo rispetto agli articoli a suo tempo pubblicati in varie riviste?
“Il libro raccoglie testi già scritti addirittura, in un caso, più di venti anni fa e testi relativamente recenti, ricomponendoli in maniera ragionata e cercando di dare un filo a una riflessione che viene da lontano. Si sforza, per esempio, di riannodare i nessi esposti nel punto precedente con il pontificato di Bergoglio che, in parte giustamente, tanti entusiasmi ha suscitato. La sua, infatti, è stata quasi la sola voce di capo di Stato contro le “trame atlantiche” che hanno portato alla guerra in Ucraina o a denunciare il massacro a Gaza. Di questo gli va dato merito. E ha cercato di rimettere al centro della discussione anche la questione del “Terzo Mondo” e della sua emancipazione necessaria. Riconosciuto questo, cerco di mostrare come, tuttavia, ciò non lo porti fuori dalle coordinate sopra tracciate e che, quindi, si debba stare attenti ai “paradigmi teorici” di riferimento per non sbandare pericolosamente.
Sempre per questa ragione, riprendo un articolo in cui mostro le possibili connessioni tra un cattolicesimo dai forti connotati esistenziali come quello di Ratzinger con alcuni dei filoni più diffusi del pensiero conservatore contemporaneo, in particolare la filosofia di Heidegger, per spiegare come certe ideologie trovino tra sé importanti punti di contatto che vanno a formare un fronte non necessariamente unico ma sicuramente omogeneo e persuasivo, soprattutto in una situazione di forte disorientamento ideale e programmatico della “sinistra”, penetrando in particolare grazie alla centralità concessa alla figura ideologica fondamentale delle strutture sociali borghesi, vale a dire l’“individuo-persona” e il suo preteso carattere sostanziale e a-storico.
Sempre in questa direzione va l’ultimo saggio che commenta il pensiero di un prete del popolo come padre Balducci e la sua riflessione sull’emancipazione degli ultimi. In questo caso, l’appeal è anche più “democratico” per la sua vicinanza agli emarginati storici e geografici; essa, tuttavia, si basa su presupposti ideologici che sono “paradigmaticamente” alternativi a quelli marxisti.
Il senso complessivo di questo libro, dunque, non è sviluppare una contrapposizione fine a se stessa con alcune varianti del pensiero cattolico, ma mettere i puntini sulle i, in modo da stabilire i giusti confini e le possibilità di collaborazione costruttiva con posizioni altre, senza tuttavia dover cedere in toto ai loro presupposti teorici; ciò non significherebbe altro che rinunciare completamente alla propria identità teorica e politica e quindi, nella sostanza, aver già perso divenendo strumento di strategie altrui”
Passando dal libro all’attualità, l’elezione di Prevost è stata presentata come un compromesso volto a ricompattare una Chiesa profondamente e clamorosamente divisa. Secondo te, quale potrebbe essere il segno di questo nuovo papato?
“Non so rispondere a questa domanda. Sicuramente all’interno della Chiesa ci sono schieramenti in forte conflitto tra di sé e la figura di Bergoglio, in questo senso, è stata divisiva, suscitando forti malumori tra le file più conservatrici, soprattutto negli Stati Uniti. L’elezione di un papa statunitense, di un ordine forte soprattutto negli Stati Uniti, ma con una vocazione terzomondista sembra, insomma, la classica soluzione di compromesso. Detto questo, solo i fatti ci daranno delle indicazioni più chiare sul suo orientamento. La scelta del nome potrebbe alludere a un interesse particolare alla questione sociale. Tuttavia, non c’è da aspettarsi molto di più di un orientamento corporativo conciliante; con il neoliberismo imperante esso a qualcuno sembra rivoluzionario. Sicuramente sarebbe migliorativo, ma bisogna di nuovo stare attenti a non confondersi”.
Francesco I, pur con gli inevitabili limiti di un papa, aveva promosso alcune caute aperture in fatto di diritti civili e si voleva rappresentare, perfino a partire da alcuni elementi esteriori quale la scelta del nome e la croce in ferro in sostituzione di quella in oro, come esponente della Chiesa dei poveri. Vedi in Leone XIV un possibile restauratore, nei limiti imposti da una società ormai mondanizzata, delle tradizioni e dell’ortodossia religiosa?
“Anche qui non bisogna sognare a occhi aperti. Le istituzioni della Chiesa cattolica sono quello che sono da molti secoli. Si tratta di un organo di potere abituato ad avere controllo diretto o forte influenza politica, diminuiti nella modernità suo malgrado con l’affermarsi degli Stati nazionali prima e con la loro laicizzazione poi. In una certa fase considerata nemica, la Chiesa è successivamente tornata a essere utile alleato una volta che un più grande pericolo comune ha spinto vecchie e nuove forze della conservazione a unirsi strategicamente. Sempre riferendosi alle istituzioni di vertice, è questo il contesto e l’orizzonte politico in cui si sono sempre mosse e si muovono, e non c’è alcuna traccia di apertura a questo riguardo. Le aperture, talvolta in verità solo apparenti, su singoli punti non scardinano l’intelaiatura. E, del resto, i cattolici possono additare ai protestanti i “bei” risultati – dal punto di vista religioso, detto sarcasticamente – ai quali hanno portato le loro aperture, vale a dire a una secolarizzazione radicale della società. È questo l’argomento forte dei conservatori: solo l’ancoraggio alla tradizione o addirittura una sua radicalizzazione è ciò che permette la sopravvivenza dello spirito religioso, nel cristianesimo come nelle grandi religioni a grande diffusione. L’organigramma della Chiesa cattolica è, del resto, un mastodonte che funziona in virtù della sua forte verticalità, difficile immaginarlo diversamente. Spero, ovviamente, di essere contraddetto dai fatti”.
Se Giovanni Paolo II svolse un ruolo non trascurabile nell’abbattimento del campo socialista europeo e nel contrasto ai movimenti antimperialisti dell’America Latina sostenuti dai teologi della liberazione, in che misura ritieni che, ancora oggi, le idee dei papi e i rispettivi cambiamenti di indirizzo possano veramente incidere nelle decisioni politiche alla luce della progressiva laicizzazione delle società, perfino di quella italiana pur segnata dal macigno del Concordato?
“La laicizzazione e il prevalere dell’individualismo estremo creano un vuoto nell’animo che, a un certo punto, con qualcosa va riempito. Questa è la carta che tutte le religioni nel mondo occidentale hanno da giocare. Rispondono a un bisogno di socialità prodotto dal sistema di riproduzione in termini rinnovati e, facendolo, hanno un forte potere di penetrazione. Ciò, ovviamente, nei limiti e nei termini dettati dal “capitalismo crepuscolare”, ma sicuramente con un potere di influenza non marginale.
Del resto, la Chiesa cattolica ha qualcosa che spesso manca ad altri soggetti politici, vale a dire una presenza capillare sul territorio grazie a parrocchie, conventi, monasteri, oratori, cooperative, imprese, giornali, ecc. Sono le famose casematte di gramsciana memoria. Ovviamente, non sono tutte conservatrici nel senso in cui lo è la gerarchia vaticana, ma creano una larga rete che garantisce la vitalità del cattolicesimo, spesso con effetti positivi niente affatto trascurabili nell’accoglienza, nell’aiuto solidaristico agli ultimi e via dicendo. Anche in questo caso non vorrei passare da mangiapreti, il discorso è diverso: il cristianesimo e il cattolicesimo hanno forti elementi solidaristici e sociali con i quali si può proficuamente collaborare per migliorare il mondo; hanno anzi in questo momento sicuramente una presa sociale assai più forte, efficace e praticamente utile di quanto non ce l’abbiano tutti i movimenti di sinistra messi insieme. Costituiscono uno dei pochi residui di resistenza al pensiero unico neoliberista per il senso di umanità e comunità che li anima. Su questo, di nuovo, si può collaborare. Questo, però, non è il comunismo; né come modello teorico, né come realtà organizzativa. Una verità da tre soldi, ma che forse va ricordata”.
Nella parte finale che dedichi a due importanti personaggi del cattolicesimo italiano, David Lazzaretti ed Ernesto Balducci, il cui pensiero e la cui azione analizzi in chiave marxiana, concludi con alcune riflessioni che scaturiscono dalla presa d’atto che con l’attuale fase del capitalismo, che tu chiami “crepuscolare”, la loro attualità viene meno. Sono riflessioni importanti per chi voglia “abolire lo stato di cose presenti”, anche se si attestano, per il momento, a un elevato livello di astrazione e, quindi, non vanno molto oltre l’evocazione dell’opportunità di passare da questo livello, attraverso opportune mediazioni, a uno più vicino alle necessità dell’azione politica. Il Movimento per la Rinascita Comunista condivide il bisogno di questo approfondimento e si sente impegnata in questa direzione. Hai consigli da darci in proposito?
“In realtà, già l’analisi delle posizioni di questi autori e di quelli che, a mio parere, sono i loro limiti pone qualche elemento, vale a dire indica delle strade da non seguire, come un generico mutualismo (il caso di Lazzaretti) o l’idea di un progresso per negazione della modernità, seppur promuovendo un solidarismo “originario” (Balducci). Entrambe le soluzioni scartano l’analisi della contraddittoria dialettica di progresso e suoi limiti in seno allo sviluppo del modo di produzione capitalistico stesso.
Per passare al pratico… non si può rinunciare al teorico, nel senso che, senza una prospettiva trasformativa che individui un obiettivo di lotta (come sarà questa società comunista? Come emerge da quella esistente?) e senza un’individuazione di raccordi di classe tra le diverse figure potenzialmente antagoniste al capitalismo, anche un movimento politico fa poca strada e si pone solo sulla difensiva. “Lo stato presente delle cose” più che “abolito” va “superato” (aufheben è il verbo tedesco) e per far questo bisogna chiarirsi su quel è l’obiettivo di lotta (abolizione dello Stato, della proprietà privata, ecc. sono slogan e risultati di trasformazioni, ma non concrete forme di movimento della società). In sostanza, non ho consigli da dare (mi dispiace), ma ho un programma di lavoro che parte dal cercare di capire che cosa non ha funzionato in ciò che invece avrebbe dovuto essere la panacea di tutti i mali, vale a dire la gestione razionale dell’economia secondo un piano. Lottare provvisoriamente per forme ibride di economia mista credo possa essere una rivendicazione iniziale ragionevole di cui gli effetti positivi – seppure nei suoi limiti storici – sono già stati apprezzati”.
Il tuo programma di lavoro ci pare importante e lo seguiremo attentamente mentre seguiremo gli sviluppi delle forme ibride di economia, già operanti, di diverse parti del mondo
Una lettura marxista della dottrina sociale della Chiesa nell’ultimo libro di Roberto Fineschi
Saturday, 10 May 2025
Papa, papi e dottrina sociale della chiesa di Roberto Fineschi
Papa, papi e dottrina sociale della chiesa
1) Le premesse: Pio IX2
2. Il catechismo odierno
3. Leone XIII e la Rerum novarum
4. Pio XI, il salto di qualità
Correndo all’oggi, anzi a ieri
Sobre Lenin y Hegel en castellano!

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