Wednesday, 17 July 2024

La città "visibili"



Le città “visibili”



"A Cloe, grande città, le persone che passano per le vie non si conoscono. Al vedersi immaginano mille cose uno dell’altro, gli incontri che potrebbero avvenire tra loro, le conversazioni, le sorprese, le carezze, i morsi. Ma nessuno saluta nessuno, gli sguardi s’incrociano per un secondo e poi si sfuggono, cercano altri sguardi, non si fermano. Passa una ragazza che fa girare un parasole appoggiato alla spalla, e anche un poco il tondo delle anche.
Passa una donna nerovestita che dimostra tutti i suoi anni, con gli occhi inquieti sotto il velo e le labbra tremanti. Passa un gigante tatuato; un uomo giovane coi capelli bianchi; una nana; due gemelle vestite di corallo..."

 

Sono stato a Cloe? Se essa è una metafora del bazar umano nel mondo della mercificazione universale, ci viviamo tutti ogni giorno. Si potrebbe forse ipotizzare che, nient’affatto invisibile, è una città ben visibile nei grandi magazzini, nei mall, dove non si vive ma si compra, o meglio si vive comprando. Sono questi però luoghi della città, non la città stessa. Il passo in più è farne una “città”.
Ce ne saranno probabilmente varie nel mondo, ma io l’ho scoperta a mezz’ora da Firenze, all’outlet di Barberino (mi dicono che ce ne sono di simili e che sono io che vivo in un altro pianeta). Un villaggio, con tanto di torrente che l’attraversa, con ponti, piazze, simil-chiese, basato su modelli stilizzati di architettura toscano-rinascimentale. Quasi duecento negozi (quasi esclusivamente abbigliamento) “ambientati” in palazzi nobili, loggiati brunelleschiani, casolari di campagna con piccionaia, fortezze con torri e bastioni e via dicendo. I visitatori, i più vari, vi camminano come farebbero in via Tornabuoni o Montenapoleone o Condotti… guardano le vetrine, entrano, comprano, prendono il gelato con la sensazione di essere in un luogo genericamente “storico”, “bello” (parole probabilmente prive di un senso specifico). Non so se sono felici, ma sono soddisfatti. La combo funziona. Leggo statistiche online che circa il 30% dei visitatori è straniero.



L’idea pare sia venuta nei primi anni del nuovo millennio all’allora sindaco di Barberino (due mandati, primo lista civica poi centrosinistra) che ha recentemente scritto un libro sull’ideazione e realizzazione dell’impresa; laureato in storia rinascimentale, in concerto con varie istituzioni ha commissionato il progetto allo studio Spadolini. Non è venuto male: il luogo è carino, piacevole, ben curato. Anche l’idea è geniale: Barberino è un’uscita sull’A1 tra Firenze e Bologna; ci passa praticamente chiunque da nord si sposti a sud e viceversa. Fermarsi è quasi più facile che non farlo. L’uovo di Colombo.
Io credo che l’idea si possa sviluppare con generale vantaggio, in particolare in relazione al turismo di massa che attanaglia varie città d’arte con conseguenze nefaste di cui ho già scritto altrove (https://www.sinistrainrete.info/.../26086-roberto...). La premessa è che il turista generico non va a Venezia, Firenze, Roma, Napoli, ma in un luogo immaginario che egli sa essere bello, storico, interessante, ecc. In che senso propriamente sia queste cose è spesso piuttosto vago: sono destinazioni cult che prima o poi vanno visitate, punti ideali di una mappa in cui va messa la bandierina del “visto”.

Parte della progettazione del viaggio è poi naturalmente fare shopping, mangiare cibo locale, ecc. I centri storici delle città d’arte sono già diventati questa cosa: negozi di vestiti, ristoranti, bar, alberghi, in una cornice “bella”, “storica”, “famosa”. La cornice è solo il mito che fa da sfondo alle altre cose.
Posto ciò, mi chiedo: ma perché invece di fare l’outlet simil-rinascimentale non si costruisce, in scala ridotta ovviamente, un centro storico-outlet fuori dalle città? Invece della simil-chiesa, il Duomo di Firenze (facciata e cupola in scala, ma realistici), Palazzo Vecchio e Piazza della Signoria, ecc., una mini-galleria degli Uffizi con belle riproduzioni di tutti i dipinti più noti, ecc., poi il David e via dicendo. Una sorta di “Italia in miniatura” dove ci sono i negozi.

Tutte le riproduzioni sia degli edifici che delle opere dovrebbero essere “ufficiali”, vale a dire certificate formalmente da comune, sovrintendenza, cosicché il mito dell’ “autentico” resta garantito. Se i centri storici sono diventati delle disneyland turistiche, perché non costruirle davvero?

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