«Dialettica», in un volume curato per Quodlibet da Alberto Burgio la storia controversa di una parola chiave della filosofia moderna. Dalla versione hegeliana come logica dei nessi oggettivi della ragione alla contemporanea riproposizione come indagine «processuale» della realtà
«Dialettica» è stato un concetto chiave nel coflitto ideologico del XX secolo. Abusato sino a non molti anni fa, soprattutto come aggettivo, il termine si incontra ormai di rado, persino in quegli studi che si occupano dei filosofi che hanno attribuito la qualifica di «dialettico» al proprio pensiero: Hegel e Marx, in primo luogo. Il volume Dialettica. Tradizioni, problemi, sviluppi (Quodlibet, pp. 331, euro 26), curato da Alberto Burgio, non sembra tuttavia addentrarsi, se non per accenni, in un bilancio ideologico-politico. In quattordici saggi affidati ad altrettanti studiosi fa, piuttosto, la storia di questo concetto, da Platone a oggi, illustrando i molti contesti che ha attraversato. Non in modo neutrale, però: l'obiettivo della ricostruzione è, come si legge nel lavoro introduttivo di Burgio, attestare la legittimità della dialettica, o almeno dei suoi usi concreti, nel sapere attuale.
Le radici di un concetto
Ad un primo gruppo di saggi più strettamente storiografici, che affrontano i diversi significati di «dialettica» da Platone, attraverso Medioevo e Rinascimento, sino a Spinoza e a Kant, seguono alcuni studi che, pur in un contesto di ricostruzione storica, indagano i ritorni e le possibilità più recenti della dialettica: nella filosofia ma anche nelle scienze. Burgio osserva, a ragione, che è su Hegel che si gioca la questione del significato attuale di cosa sia «dialettica», e su questo anche i più accesi critici della dialettica - e di Hegel stesso - sarebbero d'accordo, ma vari interventi disegnano anche una moltiplicazione semantica del concetto, in cui il segno hegeliano viene modificato e ricomposto.
Nel saggio di Ferdinando Vidoni, ad esempio (Sulla presenza della dialettica nell'epistemologia recente), si osserva come «dialettica» debba essere anche la procedura di assenso collettivo alla quale vengono sottoposte le leggi della scienza. Anche la dialettica come forma logica che rispecchierebbe la struttura profonda della natura, in particolare di quella vivente, nella illustrazione di Felice Cimatti (Biologia e dialettica nell'animale umano) va oltre le originarie tesi di Engels, esplicitamente richiamate, sfociando in filosofie della mente nelle quali dire «dialettica» significa indicare forme complesse di interazione, tendenzialmente consapevole, tra linguaggio e comportamento. Hegel quindi, ma anche oltre Hegel, soprattutto nel saggio finale di André Tosel (Teleologia, dialettica, biforcazione. Quale dialettica oggi), nel quale la dialettica «non è una logica generale della storia e della natura, ma una metodologia del trattamento delle questioni che implicano il riferimento al sapere scientifico e non, alla politica e alle categorie logiche». Vale a dire che la dialettica acquista un ruolo critico, non un ruolo di ricostruzione logica dei nessi oggettivi, come invece pensava Engels: Tosel parla, non a caso, di «metadialettica».
La rivoluzione kantiana
In tutto ciò, le ricostruzioni di carattere più propriamente storico non giocano un ruolo marginale. Non solo perché in alcuni casi sono anche illustrazioni esemplari, per quanto sintetiche, di temi spesso trattati in modo schematico (Giuseppe Cambiano, Le dialettiche di Platone), oppure difficili e poco noti (Filippo Mignini, Spinoza: retorica, matematica dialettica), ma anche perché, nel loro insieme, disegnano la vasta costellazione di significati e di valori teorici che la dialettica ha assunto nella storia dell'occidente, e che proprio la filosofia hegeliana ha tentato di rielaborare. Inclusa la posizione di Kant, che per primo colloca la dialettica non più propriamente nelle forme del discorso, o nel ruolo tecnico-argomentativo che aveva avuto nel pensiero medievale (Giancarlo Garfagnini, Dialettica etica e politica tra XII e XIV secolo) e nella prima modernità (Francesco Serrato, Le dialettiche nel dibattito filosofico olandese del primo Seicento), ma nella natura delle cose, e precisamente nella natura inevitabilmente «dialettica», produttrice di tesi contraddittorie, della ragione (Carla De Pascale, La rivoluzione kantiana della dialettica).
Sul terreno, più tradizionale, del marxismo italiano (Fabio Frosini, Dialettica e immanenza da Labriola a Gramsci) e di pensatori europei marxisti - ognuno a suo modo, peraltro (Guido Oldrini, Lukács e i dilemmi della dialettica marxista; Nicolas Tertulian, La ragione dialettica secondo Sartre) -, si dispongono invece concetti della dialettica che radicalizzano in direzioni diverse, e disomogenee, la filosofia hegeliana.
Per Hegel, in effetti, non si dà una definizione formalizzata di «dialettica», e così per rispondere seriamente alla vecchia domanda «che cosa è la dialettica hegeliana?» non si può fare altro, a rigore, che indicare il sistema: l'insieme delle categorie e i loro nessi. O si possono scegliere alcuni nodi, di maggiore rilievo, per illustrarli in relazione ai profili più generali del sistema: nel saggio di Silvia Rodeschini (Dialettica e sistema nel pensiero di Hegel) è la categoria di coscienza, così com'è presentata in primo luogo nella Fenomenologia dello spirito, a fungere da guida. Secondo interpretazioni sostenute soprattutto da studi tedeschi recenti, questo è uno Hegel in cui tutto torna: logica e ontologia si corrispondono (e quindi danno luogo a una forma di pensiero «dialettica») grazie a un soggetto capace di ricostituire dentro di sé la totalità dell'esperienza e dischiudere così l'orizzonte di ciò che Hegel chiama «assoluto».
A questo Hegel segue però un Marx che gli avrebbe attribuito, criticamente, la posizione secondo cui «il reale verrebbe effettivamente prodotto, non riprodotto nel pensiero» (Roberto Fineschi, Attualità e praticabilità di una teoria dialettica del «Capitale«). Dunque è proprio l'assoluto hegeliano a essere il problema, per Marx, mentre ciò che si sarebbe dovuto separare da esso e salvare come autentico e solo metodo scientifico era «l'automovimento dei concetti» che Hegel aveva scoperto.
La totalità svelata
«Dialettica», secondo le coordinate complessive del volume, non è perciò il nome di un metodo logico speciale, alternativo o parallelo alla logica formale. Si potrebbe piuttosto definire così una posizione di pensiero che tiene conto della totalità delle relazioni concrete e quindi concepisce la realtà in modo processuale. Ciò non dovrebbe implicare, peraltro, che la logica specifica dei processi sia necessariamente «dialettica». Altrimenti, si tornerebbe al sogno di una chiave universale che dia accesso, grazie alla sola sua forma, ai segreti del mondo.
Le radici di un concetto
Ad un primo gruppo di saggi più strettamente storiografici, che affrontano i diversi significati di «dialettica» da Platone, attraverso Medioevo e Rinascimento, sino a Spinoza e a Kant, seguono alcuni studi che, pur in un contesto di ricostruzione storica, indagano i ritorni e le possibilità più recenti della dialettica: nella filosofia ma anche nelle scienze. Burgio osserva, a ragione, che è su Hegel che si gioca la questione del significato attuale di cosa sia «dialettica», e su questo anche i più accesi critici della dialettica - e di Hegel stesso - sarebbero d'accordo, ma vari interventi disegnano anche una moltiplicazione semantica del concetto, in cui il segno hegeliano viene modificato e ricomposto.
Nel saggio di Ferdinando Vidoni, ad esempio (Sulla presenza della dialettica nell'epistemologia recente), si osserva come «dialettica» debba essere anche la procedura di assenso collettivo alla quale vengono sottoposte le leggi della scienza. Anche la dialettica come forma logica che rispecchierebbe la struttura profonda della natura, in particolare di quella vivente, nella illustrazione di Felice Cimatti (Biologia e dialettica nell'animale umano) va oltre le originarie tesi di Engels, esplicitamente richiamate, sfociando in filosofie della mente nelle quali dire «dialettica» significa indicare forme complesse di interazione, tendenzialmente consapevole, tra linguaggio e comportamento. Hegel quindi, ma anche oltre Hegel, soprattutto nel saggio finale di André Tosel (Teleologia, dialettica, biforcazione. Quale dialettica oggi), nel quale la dialettica «non è una logica generale della storia e della natura, ma una metodologia del trattamento delle questioni che implicano il riferimento al sapere scientifico e non, alla politica e alle categorie logiche». Vale a dire che la dialettica acquista un ruolo critico, non un ruolo di ricostruzione logica dei nessi oggettivi, come invece pensava Engels: Tosel parla, non a caso, di «metadialettica».
La rivoluzione kantiana
In tutto ciò, le ricostruzioni di carattere più propriamente storico non giocano un ruolo marginale. Non solo perché in alcuni casi sono anche illustrazioni esemplari, per quanto sintetiche, di temi spesso trattati in modo schematico (Giuseppe Cambiano, Le dialettiche di Platone), oppure difficili e poco noti (Filippo Mignini, Spinoza: retorica, matematica dialettica), ma anche perché, nel loro insieme, disegnano la vasta costellazione di significati e di valori teorici che la dialettica ha assunto nella storia dell'occidente, e che proprio la filosofia hegeliana ha tentato di rielaborare. Inclusa la posizione di Kant, che per primo colloca la dialettica non più propriamente nelle forme del discorso, o nel ruolo tecnico-argomentativo che aveva avuto nel pensiero medievale (Giancarlo Garfagnini, Dialettica etica e politica tra XII e XIV secolo) e nella prima modernità (Francesco Serrato, Le dialettiche nel dibattito filosofico olandese del primo Seicento), ma nella natura delle cose, e precisamente nella natura inevitabilmente «dialettica», produttrice di tesi contraddittorie, della ragione (Carla De Pascale, La rivoluzione kantiana della dialettica).
Sul terreno, più tradizionale, del marxismo italiano (Fabio Frosini, Dialettica e immanenza da Labriola a Gramsci) e di pensatori europei marxisti - ognuno a suo modo, peraltro (Guido Oldrini, Lukács e i dilemmi della dialettica marxista; Nicolas Tertulian, La ragione dialettica secondo Sartre) -, si dispongono invece concetti della dialettica che radicalizzano in direzioni diverse, e disomogenee, la filosofia hegeliana.
Per Hegel, in effetti, non si dà una definizione formalizzata di «dialettica», e così per rispondere seriamente alla vecchia domanda «che cosa è la dialettica hegeliana?» non si può fare altro, a rigore, che indicare il sistema: l'insieme delle categorie e i loro nessi. O si possono scegliere alcuni nodi, di maggiore rilievo, per illustrarli in relazione ai profili più generali del sistema: nel saggio di Silvia Rodeschini (Dialettica e sistema nel pensiero di Hegel) è la categoria di coscienza, così com'è presentata in primo luogo nella Fenomenologia dello spirito, a fungere da guida. Secondo interpretazioni sostenute soprattutto da studi tedeschi recenti, questo è uno Hegel in cui tutto torna: logica e ontologia si corrispondono (e quindi danno luogo a una forma di pensiero «dialettica») grazie a un soggetto capace di ricostituire dentro di sé la totalità dell'esperienza e dischiudere così l'orizzonte di ciò che Hegel chiama «assoluto».
A questo Hegel segue però un Marx che gli avrebbe attribuito, criticamente, la posizione secondo cui «il reale verrebbe effettivamente prodotto, non riprodotto nel pensiero» (Roberto Fineschi, Attualità e praticabilità di una teoria dialettica del «Capitale«). Dunque è proprio l'assoluto hegeliano a essere il problema, per Marx, mentre ciò che si sarebbe dovuto separare da esso e salvare come autentico e solo metodo scientifico era «l'automovimento dei concetti» che Hegel aveva scoperto.
La totalità svelata
«Dialettica», secondo le coordinate complessive del volume, non è perciò il nome di un metodo logico speciale, alternativo o parallelo alla logica formale. Si potrebbe piuttosto definire così una posizione di pensiero che tiene conto della totalità delle relazioni concrete e quindi concepisce la realtà in modo processuale. Ciò non dovrebbe implicare, peraltro, che la logica specifica dei processi sia necessariamente «dialettica». Altrimenti, si tornerebbe al sogno di una chiave universale che dia accesso, grazie alla sola sua forma, ai segreti del mondo.
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