Monday, 18 October 2010

Recensione di Backhaus, Dialettica della forma di valore

Back from the Future. Il ritorno del feticismo nell’analisi marxiana



Il quotidiano Liberazione ha recentemente pubblicato una recensione di Ezio Modugno dedicata all’edizione italiana degli scritti di Georg Backhaus a cura di Riccardo Bellofiore e Tommaso Redolfi Riva. Questa  proposta al pubblico italiano va di pari passo con la ristampa in originale proprio nel febbraio di quest’anno  di un testo fondamentale di Backhaus, che è stato di uno degli autori di punta della corrente della Neue Marx Lektüre, ovvero la  Dialektik der Wertform.
Non avendo sottomano l’edizione italiana ma il testo della prima edizione della Dialektik der Wertform del 1997, e avendo letto la recensione di Ezio Modugno, si possono comunque sviluppare alcune considerazioni utili a comprendere l’importanza del lascito di Backhaus per la teoria marxiana in generale. E qui il giudizio immediatamente si dispiega: il contributo di Backhaus si rivela fondamentale per la teoria marxiana, sia in termini diretti che di recezione. Cominciamo quindi partendo da Backhaus, e dalla sua straordinariamente importante lettura della funzione del feticismo in Marx, per costruire un contesto d’analisi.

borsanewyork1) La recensione di Modugno sottolinea due aspetti centrali, che producono prospettive per la ricerca teorica e il lavoro politico, presenti nel lavoro di Backhaus. Il primo riguarda il fatto che l’analisi marxiana del valore non è puramente quantitativa ma anche qualitativa. E’ incredibile come oggi si debbano ancora sottolineare queste ovvietà, e fa bene Modugno a farlo, ma ha valore strategico ricordare che l’analisi del capitale di Marx non si ferma solo alla determinazione quantitativa del valore. E non solo perché, come afferma proprio Backhaus, “altrimenti il marxismo sarebbe una dottrina economica tra le tante” (il testo che qui citiamo è la Dialektik prima edizione del 1997, casa editrice ça ira, Friburgo) una delle modalità possibili di rappresentazione quantitativa dell’estrazione di ricchezza. Ma anche perché è l’aspetto qualitativo dell’analisi marxiana di Backhaus a rivelare modalità teoriche e politiche inesplorate forse ben oltre le intenzioni dei curatori dell’edizione italiana e del recensore. Che sono rivolte principalmente al nesso del rapporto tra analisi qualitativa e formazione del valore in una visione critica dell’economia che ci restituisce il capitalismo sia produttivo che finanziario come elemento unitario di destabilizzazione permanente dei rapporti sociali. Intendiamoci, registrando in questa recezione di Backhaus la rilettura dell’equiparazione tra teoria del valore e teoria del denaro, non c’è molto da eccepire. Denaro e valore, finanza e produzione ci vengono infatti restituiti, nel recupero delle categorie qualitative del marxismo, come momenti diversi ma all’interno dello stesso rapporto sociale capitalistico. Non astrattamente, come notte in cui tutte le vacche sono nere, ma come categorie criticamente e politicamente produttive nell’aggressione all’alta complessità concreta presente nell’articolazione dei rapporti sociali.

Ma è l’altro punto strategico dell’opera di Backhaus, accennato anche da Modugno, che vale proprio la pena di approfondire. Questo secondo punto, ed è nota di merito del recensore averlo evidenziato, riguarda il rapporto stretto in Backhaus tra analisi qualitativa del rapporto sociale di produzione, feticismo, teoria del valore e teoria del denaro. Non che la questione del feticismo sia certo nuova ma tramite il testo di Backhaus, e la sua letteratura secondaria, questa dimensione assume una coloratura inedita. Rivelandosi come tematica centrale per la comprensione e la critica del capitalismo contemporaneo. Uscendo probabilmente, anche se in termini produttivi, dallo stesso impianto teorico del recensore e dei curatori italiani.

cocacola_clip_image0382) Usciamo adesso da un linguaggio minimale ed addentriamoci nell’analisi qualitativa di Marx così come emerge in Backhaus. Che definisce un’urgenza teorica, e politica, che si riassume nella necessità secondo Backhaus di “mostrare il carattere di feticcio della merce e del suo segreto”. Si potrebbe discutere molto del verbo utilizzato da Backhaus  in questa frase (entwickeln) che può indicare un atteggiamento teorico maggiormente incline al costruzionismo, nella sua possibile traduzione di “produrre”, oppure all’oggettivismo vecchia maniera a seconda dei significati che assume la traduzione quando si usa “mostrare”. Ma l’emergenza teorica è un’altra: far capire che il pensiero categoriale non quantitativo di Marx è quello fenomenologicamente adatto a comprendere una dimensione di segreto della merce che altrimenti il pensiero quantitativo non riuscirebbe ad afferrare. Accadeva all’epoca di Marx e accade anche oggi anche se in forme mutate. Il carattere di feticcio della merce assume così, come è possibile riformulando il Luckacs di ieri e la rilettura lacaniana di Zizek di oggi, il carattere della norma complessiva che rende possibile la forma generale del rapporto sociale di produzione. Il rapporto di scambio presente nel capitalismo (da non confondere però con il rapporto di scambio tout court) assume così i contenuti dello scambio calcolante, aggredito da categorie quantitative, e la forma del rapporto feticistico. Che non è quindi un fenomeno particolare, legato ad affetti individuali o al terreno delle perversioni (semmai queste sono un fenomeno di risulta di un più generale rapporto sociale), ma la norma che regola la generalità dei rapporti sociali che rendono vigente lo scambio economico in senso capitalistico. Come ogni norma il feticismo trova resistenze, reinterpretazioni, opposizioni ma soprattutto fa valere il fatto di essere un fenomeno regolativo che è in vigore, una tecnologia centrale e dispiegata del dominio capitalistico. La merce, leggendo Backhaus, si trova così ad essere tale perché su di lei come oggetto si applicano contemporaneamente due logiche universali del capitalismo nella determinazione della produzione di valore: quella della razionalizzazione legata al calcolo e quella della valorizzazione magica legata al feticcio. La traduzione inglese del Capitale di Marx che ci fa leggere testualmente la merce come “averyqueerthing” è forse qui la rappresentazione più efficace dell’effetto di questa convergenza di applicazione di due logiche universali su un fenomeno merce che si rivela così sia razionale che misterico. Marx aggiungeva così che, in apparenza, la merce è facile da capire ma in realtà svela un sottofondo di significati legati a sottigliezze metafisiche e di distinzioni teologiche. Che, aggiungiamo noi, ci arrivano come il portato contemporaneo di rapporti sociali governati tramite la seduzione e il potere e giocati sul mistero, cristallizzati nella loro forma astratta da ciò che è rimasto della metafisica e della teologia. E proprio perché hanno passato la modernità, viaggiando sul vettore potente della forma merce, finiscono per condizionare il nucleo intimo e forte del rapporto sociale di produzione.

In questo modo il capitalismo cessa di essere visto come un fenomeno puramente razionale, non lo è mai stato, ma viene colto finalmente per come è nella sua capacità di valorizzazione delle dinamiche oscure e profonde, del piano antropologico del rapporto sociale. Di cui il feticismo è la norma generale che presiede ai comportamenti e garantisce il dominio concreto, sulla società, della legge astratta del valore dettata dal calcolo economico. Ma anche così il feticismo potrebbe essere interpretato come un fenomeno sovrastrutturale, di garanzia esterna a ciò che avviene all’interno della produzione, invece è proprio il segreto della merce come feticcio a dettare la propria legge all’interno del processo di produzione di valore. Backhaus ci fa così comprendere quanto le leggi del capitalismo basino la loro legittimità sociale su fenomeni più profondi ed oscuri del semplice calcolo economico, che pure viene applicato sistematicamente su scala globale, e come queste si facciano valere nel cuore della sfera della produzione di valore.

bocca3) Per focalizzare questo fenomeno del feticismo, che finisce poi per spiegarci molto di più di ciò che avviene nella già strategica sfera del valore, mettiamo tra parentesi il dibattito sulla vecchia categoria di reificazione, come prodotto sociale finito del feticismo, usata da Luckacs e riletta anche recentemente da Honneth. Cerchiamo piuttosto di vedere il rapporto diretto tra feticismo, teoria del valore e del denaro nella sfera della produzione. Ci rivolgiamo così a Stephan Grigat che nel ’98 ha recensito la Dialektik di Backhaus su Utopie-Kreativ (N°94) e che nel 2007 ha pubblicato, sempre per la casa editrice ça ira, Fetisch und Freiheit. Testo che ad un occhio italiano contiene un sottotitolo piuttosto bizzarro (tradotto letteralmente “Sulla recezione della critica marxiana, l’emancipazione dallo stato e dal capitale e la critica all’antisemitismo”), che magari vuol contenere troppi argomenti nello stesso lavoro, ma che aiuta a comprendere una questione chiave. E per comprenderla i punti importanti da fissare, della recezione di Backhaus da parte di Grigat, sono almeno due. Il primo è comprensibile fin dalla recensione del ’98 alla Dialektik sul “carattere di feticcio delle categorie economiche di merce, denaro e capitale” (Grigat su Utopie-Kreativ N°94). E qui l’immissione dell’analisi qualitativa marxiana nella formazione del processo di valore si rivolge direttamente alla natura delle categorie del dominio. Che si rivelano non solo categorie economiche del calcolo ma anche determinate dal carattere antropologicamente stringente del feticismo. La loro forza sta nell’essere equilibrio tra i due momenti, interpreti del fenomeno della convergenza tra forze del calcolo economico e forze antropologiche del feticismo nel momento della formazione del valore. In questo modo la stessa logica del processo di produzione, che è concretamente regolato da queste categorie, non è dettata solamente dal calcolo ma sostenuta anche dal sostrato antropologico del feticismo. Che entra così direttamente nella sfera della produzione, non più elemento sovrastrutturale ma addirittura come sostrato epistemologico che sostiene categorie e logica della produzione di valore e della valorizzazione di denaro. Perché la produzione di  valore, in Backhaus, è tale perché esiste una organizzazione economica del lavoro che valorizza quanto più possibile sia la dimensione di calcolo che il carattere feticistico del bene (e i due elementi devono restare in equilibrio).  Il secondo punto, comprensibile in  Fetisch und Freiheit, è la determinazione storica della logica, comune al feticismo come al denaro e al valore, che muove questo processo di valorizzazione. Che pesca direttamente dai processi di significazione della dimensione del segreto evidenziata da Marx. Secondo Grigat infatti il feticismo, nelle società pre-capitalistiche, è la rappresentazione di quanto è segreto, incompreso e misterico nel concetto di abbondanza. C’è sempre un qualcosa di non compreso, di eccedente, di segreto nell’idea dell’abbondanza nelle società pre-capitalistiche. Una eccedenza ed un segreto che toccano, come evidenziato da Marx anche per la merce, la dimensione metafisica e quella teologica. D’altronde, in questo contesto, l’abbondanza è un dono divino legato al mistero della grazia proveniente dall’alto.

Il feticcio e il feticismo rappresentano quindi il valore esperienziale, misterico ed emozionale di questa dimensione stampata su un oggetto ma socialmente prodotta. Naturalmente al possessore del feticcio tocca parte di questo potere misterico attribuito all’oggetto. Nelle società capitalistiche, continua Grigat, il feticismo valorizza il segreto e il potere presenti nel concetto di abbondanza legati però non più ad un oggetto ma ad una merce trasformata come tale dal processo di lavoro. Segreto e mistero sono inquadrati non più in una dimensione religiosa ma chiamati a sorreggere il valore delle categorie astratte di denaro e di merce. Il cui residuo metafisico e teologico, e il potere misterico che contengono, è del tutto sottomesso dalla logica del capitale. Potenza di un processo di secolarizzazione che non è solo dominio della dimensione mezzi-fini: la merce è quindi sia qualcosa di razionale e calcolante che determinata dalle leggi di riproduzione del feticcio che affondano nel tema del misterico legato alla rielaborazione dei miti dell’abbondanza. E tutto questo avviene non al di fuori ma dentro la sfera della produzione di valore.

L’analisi quantitativa, il processo quantitativo di estrazione di valore, è quindi solo uno dei due elementi di costituzione di categorie e di processo di valorizzazione del capitale, di trasformazione della cosa in merce tramite lo sfruttamento e il disciplinamento della forza lavoro. L’analisi qualitativa, come emerge da Backhaus grazie anche a Grigat, finisce per dispiegarci completamente il sostrato antropologico della logica del capitale. Completando così il significato della dimensione categoriale della logica della produzione, in equilibrio tra calcolo economico e necessità feticistica.

In questo modo, con questi due punti, si dispiega pienamente la questione chiave da comprendere in  Backhaus, grazie alla recezione di Grigat. Quella del feticismo inteso come presente direttamente all’interno della logica di produzione del valore, e non come semplice valorizzazione sovrastrutturale del capitale, presente nella merce e nella formazione di significato delle categorie astratte che rendono possibile il valore. Il rapporto sociale unitario e complesso che “produce” il denaro e la merce non è quindi tale solo grazie ad una logica economica ma grazie anche alla valorizzazione feticistica.

A questo punto la valorizzazione del feticismo assume un ruolo non solo di stabilizzazione sociale, di governo del desiderio, ma anche uno più direttamente produttivo. Resta però da capire cosa accade al di fuori della sfera produttiva. Ovvero nel principale dispositivo globale di valorizzazione del feticismo: i media generalisti. Che si dispongono come una tecnologia di valorizzazione del potere feticistico ad alta complessità organizzativa.

P_LadyGaga4) Tenendo presenti sullo sfondo le figure di Lucacks e di Honneth, come il lascito complessivo della scuola di Francoforte, riusciamo così a comprendere la presenza del feticismo non solo come forza sociale che legittima il capitale, agendo al di fuori della sfera produttiva, ma anche come dispositivo antropologico che agisce direttamente nella formazione delle categorie economiche e nella determinazione della forma e dell’organizzazione del valore. E alla luce di questa acquisizione, se una delle funzioni dell’industria culturale è la diffusione del feticismo, quali sono le caratteristiche dell’industria culturale in generale e dei media in particolare rispetto al fenomeno della messa a valore di denaro e merce?

Si impone così una lettura dei media generalisti che li faccia uscire dall’ottica puramente francofortese, come esclusivo strumento di reificazione dei rapporti sociali e di legittimazione della società capitalistica, restituendoli in un contesto dove la loro valorizzazione del feticismo ha effetti non tanto genericamente sociali ma nel supporto categorie e modalità di valorizzazione del denaro e della merce che entrano direttamente nella sfera della produzione di valore.

Un testo, che sta sulla linea di confine tra una lettura classicamente francofortese del feticismo e una più vicina alle acquisizioni di Backhaus, che affronta i media come terreno di analisi dal punto di vista marxista è sicuramente Marxism and Media Studies di Mike Wayne (Pluto Press, 2003). Wayne, autore di un lavoro su cinema e studi marxisti e curatore di un recente e interessante volume TelevisionNews, Politics and Young People. Generation Disconnetted? (Palgrave Macmillan, 2009, sulla recezione dell’informazione politica nelle giovani generazioni), focalizza infatti la propria analisi proprio sul rapporto tra media e feticismo da un’ottica openlymarxist. L’introduzione (“dal piccolo schermo alla grande immagine”) si muove proprio far rimarcare come l’immagine sia l’elemento principale di valorizzazione del feticismo contemporaneo che si rivolge non solo verso il soggetto ma anche verso l’oggetto merce. Per Wayne questa iconicità matura delle società contemporanee rappresenta la specificità del suo neofrancofortismo che così vede “la penetrazione del capitale in ogni nostra interazione” (cfr. Introduction). In questo modo però la penetrazione del capitalismo, tramite il dispositivo antropologico del feticismo, non va intesa però solamente sul piano delle relazioni sociali, ma anche in quello dell’evoluzione delle relazioni produttive. I media generalisti, nel momento in cui sviluppano il potenziale feticistico della società, non si pongono quindi solo come dispositivi regolatori della norma dei rapporti sociali ma anche come consapevoli tecnologie di valorizzazione dei concetti di denaro e merce che presiedono direttamente la produzione. Il potenziale “sovrastrutturale” dei media si fa tanto più strutturale nel momento in cui questo regola l’evoluzione dei dispositivi di comunicazione sul piano dei contenuti come su quello dei processi produttivi.

Wayne infatti afferma che i media generalisti promuovono un commodityfetishism che si dispiega sul piano delle relazioni ad alta complessità sociale entrando a contatto con la “consapevolezza, l’identità e la fantasia” grazie alla capacità di valorizzazione iconica dell’immagine “e della sua forma di apparenza”. E si tratta di una dimensione puramente pragmatica, e proprio per questo diffusa, piuttosto che un corpo di teorie. I media generalisti in Wayne sono in grado di promuovere un commodityfetishism diffuso che “piuttosto che una ideologia” è un dispositivo “in grado di spiegare” perché il piano di sedimentazione del feticismo è “socialmente efficace” (si veda il capitolo 8 del testo citato). Wayne, che si mantiene su un terreno d’analisi sovrastrutturale, francofortese più incline a vedere il dominio che la resistenza, arriva però oltre la dimensione del sociale, sfiorando quella del dispositivo antropologico. Parla anche infatti di capacità, nel commodityfetishism prodotto e veicolato dai media generalisti, di questo fenomeno di insinuarsi sul “piano stesso di immanenza” di tutti i rapporti sociali e quindi anche dei dispositivi di produzione. A quel punto è aperta la strada per collegare questa dimensione del feticismo medialmente diffuso con la valorizzazione delle categorie astratte di denaro e merce, e della logica come della logistica della comunicazione che presiedono oggi alla produzione. L’operazione di determinazione della Wertform di Backhaus trova così un risvolto fenomenico anche solo sul piano della comprensione delle categorie che determinano il feticismo come fenomeno direttamente interno alla  produzione di valore. Il che non va oltre la loro funzione storica, solo che il marxismo comincia a riscoprire il fenomeno adesso, dopo la Parigi di Benjamin e la comunicazione come decorazione e promozione della merce che ristrutturava la forma urbanistica della metropoli del XIX secolo. Oggi la comunicazione iconica e digitale ha  capacità di determinare, in modo direttamente produttivo, la valorizzazione dei concetti astratti di merce e di produzione fino a plasmare il piano della produzione materiale e del valore simbolico della forma merce. E non si tratta certo di una novità. Il feticismo comprensibile dal mondo digitale, che determina direttamente la produzione di valore, è prodotto che affonda le proprie radici all’origine stessa della nascita del capitalismo. Lo abbiamo capito da Backhaus, lo abbiamo capito da Marx. Con pochi passaggi si arriva a comprenderlo nelle nostre società ad alta complessità di piattaforme comunicative.

Ma questo piano di immanenza, individuato da Wayne, quando esce dalla sfera della produzione ci spiega anche un fenomeno che, ad occhi marxiani, risulta incomprensibile da almeno un trentennio. Quello che genericamente viene definito come “la scomparsa delle classi”. Un vero paradosso: il capitale si radicalizza nei dispositivi di sfruttamento (produttivo e finanziario), le differenze sociali si fanno materialmente più evidenti (basta leggere le statistiche sulla ripartizione del potere di acquisto nel mondo occidentale) ma la capacità di autorappresentazione (e quindi di autodifesa) delle classi scompare a favore di rappresentazioni collettive instabili, perverse, inafferrabili e polimorfe. E’ accaduto, e questo è uno dei motivi teorici che muove la ricerca di Wayne sui giovani,  che il commodity fetishim valorizzato e promosso dai media generalisti non solo è intervenuto nella coltivazione della sfera materiale del rapporto sociale di produzione (ovvero il capitalismo) ma anche come agente attivo nella mutazione e nella ristrutturazione del suo dispositivo sociologico. Avere il lavoro senza la cultura operaia, ridurre gli aggregati di classe a rappresentazione di pura forza lavoro, dreamcome true. E questa funzione ormai storica dei media generalisti del resto è comprensibile se come strategia immanente si ha la conservazione e lo sviluppo del feticismo delle società contemporanee. Riproduzione e sviluppo del feticismo, nella sua funzione strutturale che sovrastrutturale, e mutazione della capacità di autorappresentazione delle classi. A differenza delle società disciplinari, fordiste dove il processo di dressage del soggetto definiva una sua identità permanente (corrispondente alla perpetuità della collazione nella divisione del lavoro) nelle società contemporanee, dell’egemonia della comunicazione generalista digitale, è proprio la scomposizione continua dell’identità del soggetto garanzia di stabilizzazione politica, allevamento al consumo e collocazione adeguata alle continue ristrutturazioni della complessità produttiva.

Decisamente i media generalisti hanno una funzione ben diversa dal semplice intrattenimento. Backhaus aiuta, passando per i sentieri della letteratura secondaria sul feticismo, a farci capire anche questo.

CONCLUSIONI

grecia4Questa rilettura di Backhaus batte sicuramente un sentiero differente rispetto a quello aperto, con rigore teorico, da una recensione come quella di Modugno. Ma non quello di una lettura mediologica da contrapporre a quella produttivista nell’analisi della Wertform che fuoriesce dal testo di Backhaus. Al contrario, a partire dall’analisi categoriale di Backhaus, si tratta di stabilire inediti e robusti tratti di unitarietà tra le due dimensioni. Nell’interrogativo sulla necessità della comprensione dell’intreccio tra tradizionali e inedite forme di resistenza entro questa dimensione unitaria.

Come Marx si interrogava sul lato oscuro, misterico della merce, riconducendola alla santa alleanza con la razionalità calcolante capitalistica, qui ci interroghiamo (grazie alle categorie aperte da Backhaus) sul fatto che il feticismo non è soltanto un ruolo nei processi di imitazione sociale, un terreno ad esclusivo interesse di discipline critiche lontane dall’analisi della segreta officina dove si produce ricchezza.

Piuttosto ci interroga sul ruolo direttamente produttivo assunto dal feticismo e, di conseguenza, dai media generalisti che lo promuovono. Attualmente infatti i media generalisti sono produttori del “centro” delle società capitalistiche contemporanee, incontrano resistenza ma non forme astratte e politiche di reazione. Applicando Backhaus oltre il suo contesto “patristico” si comprende, alla fine della sua interpretazione, come i media generalisti siano comprensibili non solo come fenomeni sovrastrutturali ma anche come fenomeni di struttura che concorrono alla formazione della dimensione produttiva, dello stesso rapporto sociale di produzione. Non solo promuovendo le logiche astratte del calcolo, e le loro mutazioni, ma anche valorizzando la dimensione direttamente feticistica del sociale e della produzione.

I dispositivi mediali generalisti del feticismo capitalistico convergono quindi là dove si dispiega la logica calcolante e con questa si ibridano efficacemente nella formazione del valore merce e del valore denaro. Eppure attualmente il marxismo, visto nel suo complesso, rispetto ai media generalisti sembra avere lo stesso atteggiamento dei predicatori puritani di fine ‘700 rispetto alla società industriale.  Nello specifico si parla dei predicatori ispirati dalla dottrina di giustizia sociale di Gerald Winstanley, formatasi un secolo e mezzo prima all’epoca della rivoluzione inglese, che si scagliavano contro macchine mostruose e gigantesche animati da un impetuoso spirito di giustizia ma anche di nessuna comprensione del fenomeno. Solo con il marxismo, e la formazione di una compiuta classe operaia, la dottrina di giustizia sociale ha incontrato un efficace dispositivo filosofico politico.

Attualmente, di fronte a questi fenomeni, avere in mano una corretta patristica marxiana o un confuso corpo dottrinario fa più o meno lo stesso. Di fronte ad una società dove i media sono cresciuti in questo modo, e con queste funzioni, la scienza sociale critica di un secolo e mezzo fa ha spesso la stessa forza teorica e politica della morale puritana agli albori della società industriale.

La rilettura e l’applicazione di Backhaus permettono di comprendere come il marxismo sia uno strumento efficace di lettura di una logica di produzione che dalla fabbrica, con i decenni, si è diffusa sul piano della comunicazione oggi digitale. E come quest’ultima, a sua volta, sia così cresciuta da entrare direttamente nel determinare logica e logistica della produzione, forma del valore merce e del valore denaro. Il feticismo, a partire dall’analisi marxiana, è il medium fenomenico e teorico che tiene assieme tutte queste fasi. Questo sul piano dell’analisi qualitativa, oggi ritrovato. Perciò possiamo affermare che più che welcome back, Marx! (come se Marx fosse un ritorno di qualcosa che ha comunque caratteri vintage) o Marx back to the Future! (come se Marx avesse bisogno di essere spedito nel futuro per essere efficace) dobbiamo dire welcome back from the Future, Marx! Perché Il Capitale è sempre qualcosa che torna dal futuro come strumento teorico e politico per i processi di liberazione. Di questo, come strumento di analisi di fenomeni ritenuti erroneamente “sovrastrutturali” o, secondo altri punti di vista, inessenziali dal punto di vista del “soggetto”, ne abbiamo sicuramente bisogno.

Recensione per Senza Soste di nique la police

24 agosto 2010

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