Sunday 27 March 2022

Diario di guerra. Riflessioni sull'Ucraina guardando alla bigger picture.

Copio qui per comodità una serie di post messi su facebook a partire dal 6 di marzo sul tema della guerra in Ucraina, cercando di collocarla nel più ampio quadro solo all'interno del quale acquista a mio parere un senso compiuto.


March 6 at 12:07 PM
In un momento così tragico, al netto della retorica diritto-umanista, le domande interessanti secondo me sono le seguenti.
Dato che era evidente che continuando a forzare la mano la Russia sarebbe intervenuta (ed era evidente che si stava organizzando per intervenire), perché Zelensky lo ha fatto? E dunque: in che misura le sue scelte sono state concordate con la Nato?
Una possibilità è che lo abbia fatto di sua iniziativa immaginando che poi lo avrebbero protetto. Questa sì sarebbe stata una vera pazzia. Considerando il tipo non lo si può escludere al 100%, ma, ripeto, sarebbe vera follia.
Una seconda possibilità è che gli sia stata promessa una qualche forma concreta di protezione. Se così fosse, con quale strategia? Un impegno diretto significherebbe guerra mondiale e Biden ha chiarito che non si sarebbe mosso direttamente. Ma una guerra combattuta attraverso intermediari ucraini ha scarse possibilità contro l’esercito russo. Dunque era calcolato sin dall’inizio che gli ucraini erano mera carne da macello?
Se così fosse, dunque, sulla pelle degli ucraini, a che cosa si mira?
- Un obiettivo era indebolire politicamente l’Unione Europea e riportarla nei suoi ranghi e questo lo si è ottenuto facile facile (ma ce n’era bisogno?).
- Impantanare la Russia in una sporca guerra per indebolirla?
- Creare una frattura insanabile tra potenziali partner economici in possibile crescita anti-USA (UE e Russia)?
- Seguire la tattica adottata nelle ultime campagne, vale a dire destabilizzare un’area per renderla non competitiva per un lungo periodo?
Tutte ipotesi ovviamente. Un effetto collaterale prevedibile però è avvicinare Russia e Cina (e altri potenziali partner emergenti che stanno stretti nel corrente ordine mondiale). L’avranno sicuramente messo in conto. Quindi?




March 7 at 6:45 PM
Se lo dice anche il prof. John Mearsheimer



YOUTUBE.COM
Putin's Invasion of Ukraine Salon | Ray McGovern, John Mearsheimer
Prof. John Mearsheimer, political scientist, University of ChicagoRay McGovern, former C.I.A





March 13 at 9:22 AM ·
Bisogna prendere atto che a migliaia di persone che manifestano per la pace non crei alcun problema che durante l'evento parli chi è oggettivamente responsabile in grandissima misura della piega che hanno preso gli eventi, sia per la gestione interna della crisi profonda che divide l'Ucraina, sia per averla collegata a questa folle escalation internazionale. Non solo, come suo solito continua a spingere sull'acceleratore invocando la no fly zone che sarebbe l'anticamera della guerra globale. Gridare "pace" e appoggiare Zelensky significa gridare "guerra".
Quali siano i veri obbiettivi in tutto ciò dell'amministrazione a stelle e strisce è ancora difficile dirlo. Pare però già evidente che a essere danneggiate sono l'Europa e le fiorenti relazioni economiche con la Russia. Si vuole tirar su un nuovo muro invalicabile? Rimettere al loro posto le esuberanti ambizioni tedesche (e in subordine francesi)? Far capire agli europei che la loro appartenenza a un mondo pacificato è sempre sub judice e revocabile, se necessario?
Sarà interessante capire come le cancellerie di questi paesi, al di là delle roboanti affermazioni, cercheranno di ricomporre la faccenda, ma quello che è sicuro è che a pagare il prezzo più alto saranno le classi subalterne in tutte le nazioni coinvolte, senza bandiera.




March 15 at 6:37 PM ·
A questo link, notizia delle 17:57, Zelensky prende atto che la NATO non interverrà... e pare dire: "però me lo avevate promesso"...
Si ride per non piangere. E piangono in tanti a causa di questi folli a cui sta bene scatenare una possibile guerra mondiale senza neppure rendersi conto, se non troppo tardi, che sono burattini nelle mani di altri. Altri che poi li lasciano a farsi macellare da un nemico 1000 volte più forte.



ILFATTOQUOTIDIANO.IT
Guerra Russia-Ucraina, la diretta - Putin a Michel: "Kiev non è seria nei negoziati". Zelensky: "Non entreremo nella Nato, ammettiamolo". Uccisi




March 16 at 8:11 PM ·
Vassallaggio in ultima istanza
A proposito di mondo libero, credo si possa ricordare, in occasione dell'anniversario della morte, la tragica vicenda di Aldo Moro.
Senza voler entrare nel merito di nulla, basti ricordare che nella task force governativa la quasi totalità dei membri apparteneva alla P2 e una buona parte è risultata pure a libro paga della CIA, soprattutto i capi dei servizi segreti. Ingerenze?
Ovvio, si dirà, c'era la guerra fredda, bisognava salvare il paese dalla minaccia comunista, quindi quelle erano le regole del gioco da seguire nel grande conflitto internazionale.
Giustissimo. Se però si accetta che quelle sono le regole del gioco della Realpolitik, allora bisogna sbandierare con minore veemenza la bandiera della libertà e dell'autodeterminazione... e accettare l'idea del vassallaggio, diciamo, in ultima istanza.
Il vassallaggio in ultima istanza è probabilmente migliore del puro dominio (ma esiste un puro dominio senza egemonia?). Ampliare i margini tra ultima istanza e dominio diretto è senz'altro un qualcosa che in occidente consideriamo acquisito e credo sicuramente un progresso. Però non ci inganniamo sulla natura delle cose e sulla revocabilità di questi margini al bisogno e che di vassallaggio comunque si tratta.




March 18 at 7:19 AM
"In fact we started our assistance to Ukraine before this war began"
Be', se lo dice lo stesso Biden che ha ragione Putin, bisogna rassegnarsi...
Con tutti questi armamenti a pioggia che non vanno solo all'esercito ma ai "civili", la strategia che si delinea pare quella del "pantano" e di una pace difficile anche se si trovasse l'accordo con il governo e l'esercito ufficiale. Dare ai russi un nuovo Afghanistan (anche per fagliela pagare per aver vinto in Siria).
A vantaggio delle mire geo-strategiche dei soliti noti. A vantaggio dei produttori di armi (uno delle lobby più influenti). A svantaggio dei legami Russia-Europa, a svantaggio della Cina che non ha nulla da guadagnare da tanta instabilità e si trova costretta a prendere una posizione. A svantaggio della popolazione inerme in Ucraina, degli statunitensi poveri (circa un terzo della popolazione, intorno a 100 milioni di persone) cui forse tutti quei soldi gioverebbero di più, a svantaggio nostro sia per il rischio di escalation, sia perché questo massacro lo stiamo finanziando anche noi.
Che pelo sullo stomaco bisogna avere per usare parole come libertà, uguaglianza, democrazia e investire sempre di nuovo milioni di dollari per provocare una situazione che, lo si sa benissimo, porterà morte, guerra e devastazione?
I sempre più difficili processi di valorizzazione del capitalismo crepuscolare.



YOUTUBE.COM
Biden pledges additional 800 million dollar aid to Ukraine
President Joe Biden responds to Ukrainian President Volodymyr Zelensky's remarks to Con







March 20 at 8:06 AM ·
Fare la pace o fare la guerra?
Per fare la pace bisogna ovviamente volerlo; e lo devono volere tutti i soggetti in campo. La domanda è dunque se essi vogliano effettivamente fare la pace. A questo punto bisogna ulteriormente chiedersi chi sono gli attori in campo.
Per rispondere è necessario da subito mettere da parte tutta la retorica diritto-umanista: parlare della questione accettando questo terreno di confronto significa da subito omettere le cause reali, gli obiettivi reali, le strategie reali. Del resto tutti i soggetti in causa hanno dato ampia dimostrazione in un passato recente e remoto di quanto stiano loro a cuore i diritti umani e l’autodeterminazione dei popoli: sono tutti delle belve sanguinarie.
Ma chi sono? Stati Uniti da una parte, Russia dall’altra. Chi sono coinvolti? Cina e Stati Europei ricchi.
Qual è l’oggetto del contendere? Prima ancora della concretezza geopolitica, lo sfondo su cui tutto ciò accade è la difficile valorizzazione del capitale tipica del capitalismo crepuscolare.
Grandi Stati Europei, Russia e soprattutto Cina stanno da anni sviluppando delle importanti convergenze di sviluppo economico. Il grande progetto della via della seta prospetta all’orizzonte un’integrazione di sistema che va dalla Spagna alla Cina e passa anche dall’Africa dove gli interessi cinesi sono crescenti. I cinesi non arrivano con i carri armati, ma con una montagna di investimenti, coi soldi, insomma: comprano per produrre ricchezza. La loro è un’egemonia strutturale che si insinua con una rete capillare possibile solo grazie al sistema di investimento che include la collaborazione tra grande capitale pubblico e privato che agiscono in maniera coordinata. Per questo riescono a mettere in piedi investimenti che il capitalismo “disordinato” occidentale non può realizzare. In questa lotta *l’oggetto del contendere è l’Europa occidentale*, sia come mercato di assorbimento, sia come sistema produttivo.
Gli Stati europei, al di là dei loro timidi, miopi e maldestri tentativi di organizzarsi in proprio, sono stati vassalli degli US. Questa condizione di vassallaggio è stata garantita sia manu militari con la vittoria della II guerra mondiale e tutte le trame della guerra fredda, sia per via economica con ricchi investimenti, la linfa su cui si è costruito il loro benessere. Alcuni di questi stati ora mordono il freno, anche perché il benessere (ma in realtà il benessere è solo riflesso della valorizzazione del capitale) non pare più così garantito e si cercano nuove strade che includono vantaggiosi rapporti (già esistenti e in via di ulteriore sviluppo) con Cina e Russia. Gli Stati Uniti, con un’economia in difficoltà, non possono permettere che ciò accada, ma non riescono a vincere sul piano economico. La valorizzazione del grande capitale a stelle e strisce (non degli “americani”: molti “americani” sia negli Stati Uniti che nel resto del continente non hanno nulla da guadagnare dalla politica dei loro amministratori) è incline a percorrere vie non strettamente economiche. Per esempio, per far sì che si consumino i propri prodotti, si può agire in modo che i prodotti degli altri non riescano ad arrivare per la distruzione delle reti commerciali, oppure semplicemente per costrizione: dovete comprare i nostri anche se non vi converrebbe. D’altro canto si può creare consenso affinché avvenga un consumo forzoso di beni particolari (armamenti) comprati dallo Stato; creare dunque una domanda altrimenti inesistente e cospicua per uno dei settori trainanti dell’economia nazionale (la vecchia corsa agli armamenti). Questo anche a svantaggio dei ceti popolari nazionali di cui ovviamente all’amministrazione centrale interessa il giusto.
Insomma, staccare l’Europa ricca dall’Asia e tenerla, a suo svantaggio, dentro il meccanismo di valorizzazione del capitale a stelle e strisce. Secondo me è questa la posta in gioco. Se è questa, si capisce bene la politica NATO (che significa classi dirigenti degli Stati Uniti) di allargamento a est sviluppata da decenni e la creazione della trappola ben congegnata che, tenendo conto delle mire di Putin, non poteva non scattare. L’obiettivo è insomma *tirare su un nuovo muro*, che divida l’Europa non solo dalla Russia, ma anche dalla Cina.
Se tutto questo ha un senso, la guerra c’è perché fa parte di un piano strategico a stelle e strisce. Loro vorranno fare la pace (non certo Zelensky che è solo uno strumento; e per l’amministrazione a stelle e strisce gli ucraini solo carne da cannone) solo quando questo obiettivo sarà consolidato. Quindi vogliono che il pantano raggiunga un livello di fangosità a ciò idoneo e che, allo stesso tempo, le industrie militari e del gas lucrino abbastanza. Divide et impera.
Il capitalismo crepuscolare mette in campo meccanismi di accumulazione “irrazionali” dal punto di vista del vantaggio economico, nel senso che certi capitali egemoni si valorizzano ponendo condizioni coercitive allo sviluppo del sistema di produzione e consumo affinché si valorizzino loro a discapito di altri che invece si valorizzerebbero senza quelle condizioni “artificiali”. È una sorta di neocolonialismo di rapina. Ci si può chiedere quanto possa stare in piedi nel lungo periodo, ma i fantomatici “decisori” ragionano in base alla possibilità di sopravvivenza di se stessi, non del sistema. Che loro non siano necessari al sistema (venir meno dopo un’eventuale sconfitta con i competitors) o che il sistema non esista (venir meno perché non si gioca più), messa in questi termini è per loro la stessa cosa: verrebbero meno.
La speranza è che il buon senso, nel senso dello stabilire in maniera non violenta nuove regole globali del processo di valorizzazione, prevalga. A questo fine gli US devono accettare che non ci sono più solo loro e che sono in declino e gli altri devono accettare di pagare un bel dazio affinché stiano buoni.




March 21 at 7:34 PM ·
Poiché imperversa una propaganda senza pudore, a uso di chi in buona fede - e pure animato da buone intenzioni - ne cade vittima, volevo rimarcare alcuni concetti credo di buon senso:
1) Criticare, anche aspramente, Zelensky e la Nato non significa pensare che Putin abbia ragione.
2) Se le politiche di Zelensky e della Nato sono concausa della situazione attuale (e pare difficile negare che sia così), appoggiare Zelensky significa gettare benzina sul fuoco, ovvero volere la guerra. Ciò però non significa che si debba fare quello che vuole Putin e nemmeno che la sua Russia sia un modello di civiltà a cui si ispira chi critica Zelensky e la Nato.
3) Se si vuole la pace, la strada da percorrere è quella diplomatica che non taccia delle *reciproche* responsabilità e che cerchi di sanare sia l'aspro dissidio interno all'Ucraina (non tutti sono con i nazionalisti o addirittura con i neonazisti, anzi il paese sembra politicamente molto diviso), sia il suo riverbero internazionale.
4) Che l'escalation della guerra possa portare a un conflitto mondiale è un pericolo purtroppo tutt'altro che astratto. Quindi non è tanto difendere Putin, ma evitare la distruzione del pianeta (degli Ucraini, dei Russi, degli Italiani, ecc.). La speranza è che con un po' di buon senso si cominci a ponderare le scelte, soprattutto tra l'opinione pubblica che può mettere pressione ai "decisori".




March 22 at 10:00 AM ·
Rimaniamo razionali
Se non ha alcun senso ridurre tutta la cultura statunitense al razzismo e al dispotismo del capitale, nessuno ne ha ridurre la cultura russa alla politica del suo presidente attuale.
Giusto come promemoria, qualche nome a caso che credo tutti considerino parte del patrimonio culturale *mondiale*:
Dostoevskij, Tolstoj, Gogol’ (ucraino universalmente considerato uno dei più grandi scrittori russi), Majakovskij, Nabokov, Kandinskij,
Malevich, Ejzenshtejn, Tarjovsky, Tchaikovsky, Stravinsky, Borodin,
Rachmaninov, Shostakovich, Prokofev, Pavlov, Vygotskij, Lurija, Nureev e molti altri ancora.




March 24 at 8:20 PM ·
Fare la pace significa non fare la guerra
Pare che alcuni abbiano difficoltà nel cogliere il nesso tra volere la pace e non fare la guerra: vuoi la pace se e solo se non fai la guerra.
Ne segue che se fai la guerra, non vuoi la pace.
Se dunque Zelensky fa la guerra (e vuole continuare a farla) e si appoggia Zelensky, non si vuole la pace (anche se si sventola la bandiera della pace).
Diciamo dunque serenamente che chi appoggia militarmente in maniera diretta o indiretta Zelensky non vuole la pace ma vuole vincere la guerra. Che l’Italia nella *guerra* si schiera dalla parte dell’Ucraina zelenskiana e combatte a suo fianco contro la Russia.
L’Italia per Costituzione però non solo non contempla, ma *ripudia* la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Se la Costituzione ripudia la guerra e l’Italia fa la guerra, il governo ripudia la Costituzione.
Come vuole la stragrande maggioranza degli italiani (nonostante una campagna mediatica con pochi precedenti, con tanto di democratiche rimozioni o ridicolizzazioni di chi non si mostri entusiasta per la guerra), il governo deve muoversi per una soluzione diplomatica.




March 26 at 15h ·
Tra l’incudine e il martello
Ho cercato di argomentare altrove quali siano, a mio parere, i veri motori della guerra corrente (scontro interimperialistico tra forze concorrenti, con l’attore principale economicamente in via di declino ma militarmente più forte. La povera Ucraina nel mezzo) (https://www.facebook.com/roberto.fineschi/posts/5218200028200733?__cft__[0]=AZWGfDdCXQgPFLLOjLpOTe_Y80pVHqFjc7DxTuIrs7U36_M7r336HSylBrH0bGtGlstIY8TIHmjuBX1Rk8DyXuqMk61oktdYK9lncXsBtUM1JeDsZidgRJrcPyfu9ujMhmI&__tn__=%2CO%2CP-R) .
L’Europa e l’Italia che ruolo possono giocare? Questi paesi hanno convenienza e tessere relazioni con Cina e Russia e già lo stanno facendo. Questa guerra è, tra le altre cose, sicuramente un richiamo all’ordine, soprattutto alla Germania, l’unico dei paesi europei in grado dire la sua sul grande tavolo mondiale. Se questo richiamo all’ordine danneggia le economie europee, le condizioni sono tali per cui per esse sganciarsi dagli US non è possibile, sia per motivi militari, sia perché legarsi ad altri nuovi padroni è un’incognita. Sì, perché la decisione è a quale padrone in ultima istanza sottostare. Fatti tutti i conti per ora si preferisce il vecchio.
L’incapacità di trasformarsi in un soggetto politico effettivo rende i singoli paesi europei marginali nelle trattative internazionali e la politica neomercantilistica tedesca, che ha prosciugato gli altri paesi senza pietà, sicuramente non ha creato consenso affinché la Germania possa giocare un ruolo di leadership effettivamente unitaria. Speravano che spolpando gli altri poi avrebbero potuto sedere autonomamente al tavolo dei grandi. Questa doccia fredda li riporta alla dura realtà del vassallaggio.
Insomma, l’amministrazione a stelle e strisce, che ha congegnato il tutto affinché le cose prendessero questa piega, almeno per adesso sembra ottenere diversi risultati a sé utilissimi: 1) Russia in un pantano, 2) Europa (Germania) punita per la sua esuberanza, 3) progetto della Via della Seta reso molto complesso nel suo terminale europeo (nuovo muro tra est e ovest), 4) commesse militari e gas alle stelle per super profitti delle grandi corporation.
Pare che il ragionamento sia di giocare la partita fino a quando la si può gestire da una posizione militare di forza. Bisognerà vedere fino a che punto vorranno spingersi per costringere i vari dissidenti a piegarsi. Sono però sempre di più quelli, alcuni alleati storici, che iniziano a percepire che forse il vento sta cambiando.
Per salvaguardare la pace mondiale forse ci si potrebbe sedere intorno a un tavolo e fare le buone vecchie spartizioni; ciò lascerebbe il mondo la merda che è, ma almeno eviterebbe la guerra mondiale. Date le circostanze attuali questo pare a me l’obiettivo minimo da auspicarsi.
Gli “staterelloni” europei (soprattutto Germania e Francia) forse potrebbero avere un ruolo se si muovessero in questa direzione, partendo dalla de-escalation della guerra.




April 3 at 6:40 PM ·
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Dominio senza direzione? Europa a un bivio?
Seppur fornendo rigenerati articoli di seconda mano (residuati bellici della Repubblica Democratica Tedesca), la Germania ha deciso di armare l’esercito di Zelenski. Il paese che forse economicamente ne aveva più motivo ha dunque deciso di rinunciare a fungere da paciere. In cambio le è stato garantita una possibilità di riarmo ancora più ampia?
Il Regno Unito spinge Zelenski a non cercare la pace, ma continuare la guerra per negoziare da rapporti di forza migliori.
Gli Stati Uniti stanno d’altra parte facendo pressioni a quei paesi che non si sono allineati minacciando rappresaglie se acquisteranno dalla Russia le eccedenze dovute alle sanzioni.
Sempre più evidente dunque la volontà Nato di portare avanti una guerra a bassa intensità in cui la Russia si impantani a lungo. Con conseguenze economiche rilevanti e grande drenaggio (furto) di ricchezza dai portafogli europei direzione US (anche varie imprese locali hanno ovviamente il loro tornaconto, come armamenti e fornitori e mediatori di energia).
Dati i rapporti di forza, i paesi occidentali, tuttora militarmente semi-occupati, non possono probabilmente fare altrimenti, anche se ci rimettono. Ma può essere un’operazione a contropartita zero? Pura forza? Se così fosse, inizierebbe qui una nuova fase in cui gli alleati hanno solo paura senza prospettive generali di vantaggio. Solo dominio e niente direzione? Diventerebbe una dinamica potenzialmente pericolosa e instabile.
Ad aumentare l’instabilità verranno le elezioni. Nonostante il bombardamento mediatico a reti unificate, una larga parte tacitata dell’opinione pubblica è tuttora contro la spedizioni di armi e in favore delle trattative; sarà interessante vedere che cosa succederà dopo diverse bollette del gas a mille euro, dopo la sospensione o chiusura di attività per insostenibilità economica (il vecchio conto della serva: costa più di quello che rende). Già ora una larghissima parte dell’elettorato disprezza il governo in carica (quindi praticamente anche tutti i partiti, essendo esso sostenuto da tutto l’arco parlamentare a parte la Meloni che fa finta di essere all’opposizione); lo dimostra semplicemente non andando a votare. Le prossime elezioni in Francia e Italia potrebbero dare delle belle sorprese. Siccome però un’alternativa non esiste (basti vedere come sono tornati all’ovile gli esuberanti pentastellati, ma anche i leghisti di belle speranze, lo stesso Zelenski in Ucraina), come sarà gestita la crescente conflittualità sociale che già cova sotto la cenere e che sarà sicuramente ravvivata dalle conseguenze economiche della guerra?
Se chi è preposto starà sicuramente già lucidando i manganelli, come si può immaginare a lungo andare un equilibrio nazionale e internazionale in cui chi gestisce le fila solo prende e non spartisce? Che domina con la mera forza?
La necessità di un tavolo in cui ci si accordi su spartizioni e margini di manovra si impone. Certo non sembra questo l'orientamento a stelle e strisce, ma la difficoltà del compito non toglie che questa sia forse l'unica alternativa che possa garantire stabilità.




April 5 at 11:53 PM ·
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Come già scrivevo, la pace non si farà, almeno per un po', perché chi ha brigato di più perché le cose prendessero questa piega lo ho fatto con l'intenzione di fare la guerra e affinché la guerra diventasse un pantano. Ovviamente guerra per interposta nazione.
Se la logica che supponevo ha un senso, nell'ottica dei suoi promotori, più la guerra dura, meglio è. Anzi, il lento logorio è la modalità ideale.
A fare la pace hanno interesse tutti gli altri. Ma la Russia non può certo fare marcia indietro. I paesi europei sono troppo legati al primo motore e, anche se ci rimettono, devono fare buon viso a cattivo gioco. La Cina, comprensibilmente, non intende esporsi troppo per non rischiare di impantanarsi pure lei. Insomma, per ora la maggioranza sta alla finestra a vedere un po' che piega prendono le cose. Fare la pace, per ora, non è nell'agenda di *nessuno*.
Viene da chiedersi però se prima o poi questi nazionalisti prenderanno coscienza che il loro sogno (delirio?) patriottico porta dritto dritto alla distruzione della propria nazione, alla morte della propria gente. Si renderanno conto, prima o poi, di essere pedine?



April 15 at 10:32 AM ·
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Discussione intorno al senso della guerra, di Roberto Fineschi
Sabato 9 aprile, il Centro Casa Severino e l'Associazione di Studi Emanuele Severino hanno promosso un incontro interdisciplinare sul tema della guerra. Qui sotto la trascrizione minimamente rivista del mio intervento.
Da una parte vorrei tentare di fare un discorso più generale diciamo di quadro. Facendo questo inevitabilmente ci si presta alla critica di non cogliere la drammaticità del presente: quando muoiono persone, si distruggono città è difficile distogliere lo sguardo; ovviamente si tenta di farlo non per ignorare il dramma ma per proporre una riflessione più ampia, inquadrata in un contesto di sistema, in questo caso relativo al concetto di guerra e violenza nella modernità e, a fortiori, anche al caso ucraino.
La guerra non è certo una novità contemporanea; da quando esistono società complesse l'uomo ha sempre fatto guerre; da sempre i filosofi se ne sono occupati, ma più recentemente è nata una disciplina che in modo più politically correct ha cercato di affrontarla in maniera ancora più esplicita: le relazioni internazionali. In esse si cerca di sciogliere il nodo della guerra non per giustificarla da un punto di vista morale, ma per spiegarne la necessità fattuale nel mondo politico (i rapporti di potere producono degli equilibri che non si tratta di giudicare perché belli o brutti, ma semplicemente in quanto instaurano un ordine) o nel tentativo di evitarla proprio per le caratteristiche che ha. Tanto gli approcci realisti e neorealisti, quanto quelli che hanno invece cercato una via diplomatica, non violenta alla soluzione delle controversie internazionali di stampo liberale o neoliberale (Bobbio ad esempio), a mio modo di vedere hanno una questione filosofica di fondo che consiste nel partire da una concezione che dal punto di vista di Marx è criticabile, vale a dire il contrattualismo: considerare la formazione dell'istituzione statuale come un contratto sociale, che naturalmente si risolve poi diversamente in diversi filosofi. Il tratto comune è che se si instaura una società che in qualche modo argina la violenza anarchica dello stato di natura a livello interno, il problema si ripropone a livello esterno nelle relazioni internazionali in cui, di nuovo, i singoli funzionano come atomi anarchici. Secondo alcuni la loro interazione porta naturalmente a un equilibrio tra forze contrapposte e, alla fine, stabilisce un ordine che non è necessariamente giusto o bello, ma è un ordine. Invece secondo altri quest'ordine va costruito in qualche modo replicando la dimensione contrattualistica attraverso istituzioni terze che riescano, da una posizione super partes, a riconciliare e ricomporre il dissidio atomico dell'anarchia. Le ultime vicende hanno rilanciato sicuramente approcci realistici o neorealistici: il sistema instabile in cui ci troviamo dalla fine prima del bipolarismo della guerra fredda e poi con la crisi di un potenziale unipolarismo degli Stati Uniti come potenza egemone mondiale costituiscono un sistema dall’equilibrio instabile in cui varie forze cercano i propri spazi in una possibile ricomposizione generale; qui l'elemento della guerra è drammaticamente una carta da giocare, una carta che è stata giocata non solo adesso in Ucraina ma anche varie altre parti del mondo. Questo non significa ridurre tutte le guerre a tattica geopolitica; sicuramente esistono motivazioni interne e specifiche di crisi della società ucraina che preesistono sicuramente alla guerra attuale e che anzi l'hanno preparata; su di esse però insistono anche interessi più generali che tuttavia hanno un peso notevole anche nelle dinamiche interne.
Secondo me la teoria di Marx aggiunge degli elementi d'analisi utili alla comprensione di come queste forze internazionali e nazionali agiscono nel tentativo di dire la loro, di imporsi. Un problema delle teorie realiste o comunque di quelle che si basano sull'idea degli Stati come soggetti individuali risiede infatti nella limitata capacità di stabilire quali siano le motivazioni e soprattutto il contesto strutturale in cui questi stati agiscono. La logica di potenza, di potere ecc. sicuramente sono un elemento decisivo, ma probabilmente astratto, o meglio parziale; non permettono di comprendere a 360 gradi le ragioni profonde o, quantomeno, riducono la complessità delle cause che spesso non è riconducibile solo alle decisioni dei singoli governi. Secondo Marx non ci sono gli astratti Stati che agiscono; essi si collocano in configurazioni peculiari che hanno delle caratteristiche storicamente determinate e che rispondono a una logica specifica che di fatto crea un contesto economico, sociale e politico solo all'interno del quale esiste una gamma di scelte possibili; contesto che non coincide, anzi trascende la somma delle singole decisioni individuali, spesso sovradeterminandole. Ignorare questo aspetto – e non lo dice solo Marx, ben inteso - non permette di cogliere appieno la gamma del possibile, le alternative sul tavolo di fronte agli effettivi attori politici che poi prendono decisioni. Questa cornice Marx la chiama modo di produzione capitalistico, un sistema di riproduzione sociale che non parla dell'essere umano in generale, della società in generale ma di una strutturazione peculiare che ha un andamento determinabile e che appunto pone dei confini a questo andamento.
Pare impossibile, anche senza essere marxisti, marxiani o in qualunque modo si voglia connotare un orientamento di questo tipo, negare che nel modo di produzione capitalistico il motore fondamentale dell'azione è la la valorizzazione del capitale: essa è la conditio sine qua non che fa sì che il sistema stia in piedi, non semplicemente che si decida di fare la guerra o non fare la guerra: è una condizione non solo storica o fattuale, ma ontologica di esistenza della modernità. Questa precondizione così astratta si configura poi in sistemi più complessi che, al di là del capitale in generale, includono chiaramente capitalismi storicamente, geograficamente determinati eccetera. Tutto ciò implica delle dinamiche che, a lungo andare, secondo Marx in qualche modo modificano la natura stessa del capitalismo in una maniera che sostanzialmente mina le basi stesse su cui esso si fonda. In questo senso, generalizzando ancora di più, la teoria del capitale è una teoria dialettica in cui l'idea di conflitto, di auto-contraddittorietà è intrinseca al sistema. È la natura stessa della realtà che, nel modo di produzione capitalistico, si caratterizza come processo di valorizzazione che, a un certo punto, mette in crisi le stesse condizioni di tale processo; il capitalismo non si riproduce in maniera circolare ma crescendo su se stesso, raggiungendo, a un certo punto, una condizione per cui mette in crisi il funzionamento “naturale” del processo di valorizzazione.
Quali sono gli elementi che lo caratterizzano: l'impiego sempre più massiccio di tecnologie, di macchine, i progressi della scienza che Marx non poteva neanche immaginare che aumentano la produzione del plusvalore relativo, che parallelamente escludono una massa crescente di forza-lavoro determinando quindi una disoccupazione di massa, una sovraproduzione di massa, tutte condizioni che di fatto mettono in crisi il meccanismo della valorizzazione. Questa condizione strutturale, qui solo brevemente richiamata, la chiamo *capitalismo crepuscolare*; un elemento chiave di questa fase consiste proprio nell'incapacità del sistema di mantenersi e progredire semplicemente sulle basi del meccanismo “naturale” di valorizzazione. Ci sono degli ostacoli che il sistema stesso da solo non riesce a rimuovere, si incarta in se stesso.
Se questa è la cornice generale in cui la dinamica fondamentale si muove, essa delimita i confini all’interno dei quali l'azione politica, l'intervento di istituzioni può di fatto agire come fattore che toglie gli inceppi, che fa ripartire in qualche modo il processo. Ciò può essere fatto in maniera pacifica attraverso il welfare state, l'investimento statale sia economico e sociale (i cosiddetti meccanismi keynesiani), ma in realtà si può anche intervenire attraverso mezzi violenti: è sostanzialmente possibile imporre condizioni di valorizzazione che non sarebbero “naturali”, che non si realizzerebbero cioè in base allo sviluppo del modo di produzione capitalistico per com'è. Alterando in maniera “extra-economica” questi vincoli, di fatto si permette una valorizzazione.
Che c’entra questo con la guerra? Una delle possibilità, non necessariamente l’ unica ma una delle possibilità sul tavolo, è ricorrere alla violenza per imporre determinate condizioni di valorizzazione o per bloccare condizioni di valorizzazione di capitali mossi da altri paesi o che nascono in altre nazioni; il ricorso alla violenza e alla guerra come manifestazione principe della violenza, come violenza organizzata, statuale e perpetrata con mezzi di distruzione massicci, può rientrare in un quadro di questo tipo, cioè può diventare una delle carte da giocare, o addirittura, in certi casi, un'ottima carta.
Nella situazione attuale, senza parlare direttamente dell'Ucraina, è evidente che, oltre alla dimensione specifica, esiste un problema di ricollocazione mondiale tra potenze che rappresentano grandi sistemi: chiaramente gli Stati Uniti da una parte, la Cina dall'altra, la Russia in una posizione intermedia (per non parlare dei cosiddetti “paesi emergenti”). I sistemi di penetrazione sono diversi tra loro: da una parte la Cina penetra con la sua capacità produttiva, di egemonia reale grazie alla quale entra comprando, costruendo, facendo investimenti. È una modalità che è impossibile fuori dalla Cina perché si realizza grazie alla sinergia tra capitale privato e capitale pubblico, che in maniera coordinata fanno operazioni che non sarebbero possibili in un sistema puramente capitalistico, dove nessuno appoggerebbe in maniera così forte investimenti che non è sicuro che diano un ritorno garantito. Le grandi istituzioni finanziarie cinesi lo fanno perché è una decisione politica, legata alla proprietà statuale di esse. Nel capitalismo puro questo non succede perché la banca, l'investitore agisce solo con la garanzia di un ritorno. Ciò dà alla Cina un vantaggio competitivo notevole.
Da una parte c'è dunque un paese in grande espansione produttiva, commerciale, finanziaria che sicuramente vede nella Russia un possibile alleato, se non altro temporaneo, dall'altra c'è la grande forza tradizionale statunitense, probabilmente in declino, che non riesce a competere a questi livelli e che chiaramente considera la guerra come una delle possibilità. In realtà tutti la considerano, ma il vantaggio degli Stati Uniti è quello di essere il più forte da un punto di vista militare.
Con ciò non si vuole ridurre la complessa questione solo alle dinamiche imperialiste statunitensi; le variabili io gioco sono più ampie e includono altri interessi di terzi altrettanto poco nobili. Il punto è che in un quadro complessivo di questo tipo, la guerra è una delle carte che queste grandi potenze possono giocare, in particolare quelle che, per i motivi detti, hanno più interesse e vantaggio nel farlo. In questo momento la condizione di equilibrio internazionale è frammentata; se la posta in gioco è ridiscutere le condizioni, in un sistema a capitalizzazione difficile sicuramente la possibilità della guerra è una di quelle che i “decisori” considerano.
Vorrei infine aggiungere che Marx permette di considerare altri tipi di guerra e altri tipi di conflittualità che per adesso sono rimasti sottotraccia. Il gioco delle potenze internazionali ha anche una dinamica interna, nazionale, fatta altrettanto di conflitti. Senza voler tirar fuori il conflitto di classe, chiamiamolo pure come si preferisce, pare evidente che all'interno della società cinese, russa, italiana, statunitense in questo momento c'è una fase di conflittualità potenziale estrema dovuta proprio alla crisi del modo di produzione capitalistico, che non solo non garantisce più il pieno impiego, ma che sta producendo disoccupazione di massa, impoverimento costante dei ceti medi eccetera eccetera. Per farla breve, Marx tenta di mettere insieme la dinamica interna nella sua proiezione esterna come parte di un processo articolato, ma unitario. Aggiunge quindi, secondo me, degli strumenti interessanti per tentare di comprendere questa complessità in cui la dimensione della violenza, della guerra, risultano essere intrinseche alla crisi profonda, di sistema, del modo di produzione capitalistico. Ciò non significa né che esso crolli, né che ci sia la rivoluzione, né chissà cosa; però è evidente l’esistenza di una crisi profonda le cui dinamiche producono la guerra come una delle sue possibili variabili.

April 24 at 10:22 AM ·
Incudini e martellate
L’ennesima guerra dal sempre più evidente profilo imperiale presenta probabilmente un salto di qualità rispetto alle numerosissime già viste negli ultimi decenni: *l’Europa è tra gli obiettivi*. Non solo l’Europa “marginale” (Serbia e Kosovo), ma quella forte, minacciata nei suoi interessi vitali: senza il gas russo buona parte del sistema manifatturiero va a gambe all’aria. Target principale: Germania.
Gli europei, e la Germania in primis, ci mettono del loro, non volendo creare un’effettiva comunità economica in grado di competere al livello di USA e Cina, ma di questo il grande capitale a stelle e strisce può solo ringraziare a monte.
Quale sia il target è chiaro ai principali attori europei, Germania e Francia soprattutto, le uniche ad avere una rispettabilità internazionale, che hanno cercato una de-escalation prima che la guerra scoppiasse, ma poi hanno dovuto fare buon viso a cattivo gioco. Siccome però la posta in gioco è troppo alta - si rischia il declassamento a periferia del mondo, disoccupazione di massa, ecc. - non si può non cercare una strada alternativa e questi paesi si stanno muovendo (la contromossa imperialista potrebbe essere stimolare una conflittualità interna, solleticando la grandeur francese e cercando di isolare la Germania, ma vedremo). Il governo italiano, non contando niente, non può che aspettare il decorso degli eventi, ma sarà interessante vedere come reagirà l’imprenditoria industriale italiana di fronte al rischio di scomparire, chi appoggerà per esempio alle prossime elezioni. È del resto molto indicativo che, nonostante un’informazione a senso unico, una percentuale molto alta degli intervistati dimostri di aver capito bene a che gioco si sta giocando. Chi voteranno?
Si preannuncia una grande instabilità, con poche certezze, tra cui quella solita: il costo maggiore ricadrà sulle masse subalterne.

April 25 at 10:32 AM ·
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25 aprile anti-fascista
Il 25 aprile non è una festa di liberazione nazionale, ma di liberazione dal nazi-fascismo. Infatti, i nazionalisti e i filo-fascisti italiani non l'hanno mai festeggiata, piuttosto l'hanno sempre apertamente osteggiata e denunciata come divisiva.
Infatti è divisiva: è contro il fascismo e le sue ramificazioni in forme diverse.
L'antifascismo durante la Resistenza e prima è stato principalmente comunista. Con la liberazione, tutte le forze anti-fasciste si sono messe insieme creando un arco costituzionale giustamente più ampio che comprendesse democratico-cristiani, liberali, azionisti, ecc. Le forze borghesi democratiche, tutte concordi del votare pagina rispetto alla disastrosa esperienza del ventennio. La Costituzione è stato il loro fiore all'occhiello.
Con la guerra fredda però il quadro è cambiato e anche le alleanze. I vecchi fascistoni facevano ora comodo nel quadro della difesa *atlantica*. Il vassallaggio di fatto del nostro paese è stato garantito, come oramai è emerso anche a livello giudiziario, da manovre che hanno utilizzato come manovalanza il vecchio armamentario fasciostoide, sia dentro che fuori le istituzioni, e che era gestito a livello *NATO*.
Si dirà, era la guerra fredda, meglio così, altrimenti ora saremmo in Italia nelle condizioni sociali ed economiche dell'est europa.
Tutto giusto, ma fatta questa concessione, che si crede perspicace, il giochino è già finito:
1) si riconosce che non c'è autodeterminazione dei popoli ma legittime zone di influenza;
2) si riconosce che è legittimo tramare sotto traccia, cioè al di là o al di fuori della legge, per legittimi interessi internazionali;
3) si butta cioè all'aria tutto il castello del sedicente ordine democratico che invece, *al bisogno*, si vorrebbe utilizzare contro il nemico di turno.
Venendo al caso corrente, il governo ucraino è fortemente nazionalista, le istituzioni hanno significative presenze neonaziste, e ha praticato politiche fortemente repressive nei confronti delle regioni russofone. Ah, ha messo fuori legge dei partiti, quello comunista con circa il 15% dei voti.
Per farla breve: sia la NATO che l'attuale governo ucraino con il 25 aprile non c'entrano niente.
Con il 25 aprile non c'entra niente neanche Putin, autocrate dalla mano pesante. Che Putin sia quello che è non significa necessariamente che chi è contro Putin sia meglio... dipende dalle ragioni e dai contenuti.
Ha però forse senso fare un ragionamento più ampio: gli ideali e le aspirazioni del 25 aprile non sono correntemente l'obiettivo politico di alcun partito di livello nazionale. Questo è forse il vero oggetto di riflessione e non si può dire semplicemente che si tratta di mancanza di memoria storica, di formazione, ecc. ecc., questo è solo un elemento. A mio modo di vedere, la questione di fondo è che le dinamiche economiche e sociali del capitalismo crepuscolare producono il fascismo come possibilità reale. Se non si agisce a questo livello, non c'è retorica anti-fascista che abbia possibilità di successo. In questa prospettiva, ci sono in questo momento più domande che risposte. L'inevitabile risultato è lo smarrimento e l'insignificanza politica. È forse di nuovo il momento di lavorare für ewig.



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