Roberto Fineschi, Marx e Hegel. Contributi a una rilettura, Roma, Carocci, 2006
Indice e introduzione
Indice
Introduzione
1. Premessa. 1
2. Per una periodizzazione del pensiero marxiano. 4
3. Il capitale, la dialettica e Hegel 12
4. Argomento e struttura del libro. 17
Primo capitolo
Hegel secondo Marx
1.1. Le due letture.. 21
1.1.1. La prima lettura. 21
1.1.1.1. L’interpretazione marxiana di Hegel fra il ’43 ed il ‘44. 23
1.1.1.2. La “correzione” di Hegel fra il ’43 ed il ‘44. 30
1.1.1.3. La svolta (a metà) dell’Ideologia tedesca. 34
1.1.1.4. Fra l’Ideologia tedesca e la seconda lettura. 39
1.1.2. La seconda lettura. 42
1.1.2.1. L’Introduzione ai Grundrisse. 43
1.1.2.2. La Postfazione alla seconda edizione tedesca del primo libro del Capitale 49
1.1.2.3. Altri passaggi rilevanti: un confronto fra prima e. 53
dopo 53
1.1.3. Riepilogo. 59
1.2. Alcune fonti dell’interpretazione.. 65
marxiana di Hegel. 65
1.2.1. Bruno Bauer. 66
1.2.2. Feuerbach. 70
1.2.3. Alcune considerazioni 75
1.3. Hegel secondo Hegel. 79
1.3.1. Autocoscienza e oggetto. “Anstoß”. 80
1.3.2. Alienazione (Entäußerung) e Estraniazione (Entfremdung) 87
1.3.3. Capovolgimento (Verkehrung) 98
Conclusione.. 106
Secondo capitolo
Lavoro/lavoro alienato/alienazione
Livelli logici e Entstehungsgeschichte del concetto di “lavoro” fra Marx ed il marxismo
2.1. I testi marxiani 117
2.1.1. Marx critico dell’antropologia. 117
2.1.2. Marx teorico dell’Alienazione. 123
2.1.3. Due inconciliabili teorie della storia. 131
2.1.4. Aporie. 137
2.2. Divagazioni sul dibattito e aporie dell’Alienazione.. 149
2.2.1. Il “lavoro” ed i suoi livelli logici. Lukács. 150
2.2.2. Alienazione e feticismo. 154
2.2.3. Inversione o inversioni? Colletti 156
2.2.4. Quale Hegel? Althusser. 161
2.2.5. Sulla riflessione metodologica di Galvano della Volpe. 164
Terzo capitolo
Per il rapporto Marx/Hegel oltre la comprensione di Marx
Introduzione.. 167
3.1. Riflessioni sul metodo.. 175
3.1.1. Comprensione razione ed intellettuale. 175
3.1.2. Sul modo di ricerca. 184
3.1.3. La conclusione del Capitale. 187
3.1.3.1. La fine e l’inizio. Circolo di circoli 188
3.1.3.2. Perché Marx non ha finito Il capitale. 191
3.1.4. I limiti del metodo. 193
3.2. Strutture concettuali specifiche e analogie.. 200
3.2.1. Merce, opposizione e contraddizione. 200
3.2.2. Processualità del capitale e del concetto. 212
3.2.3. “Logico” e “storico”. 215
3.2.4.“Presupposto” e “presupposto-posto”. 221
3.2.5 “Capitale divenuto” e “capitale diveniente”. 225
3.2.6. Essenza, fenomeno, parvenza. 228
3.3. Logica peculiare e logica generale.. 231
Nota a margine.. 238
Rovesciamento di Hegel e Prassi. 238
Conclusione.. 245
Bibliografia
Introduzione
1. Premessa
Lo studio che presento è la continuazione organica di una ricerca iniziata da alcuni anni che ha dato i suoi primi frutti nel volume apparso alcuni anni fa dal titolo Ripartire da Marx. Processo storico ed economia politica nella teoria del “capitale”. Tenendo conto del legame esplicito valgono qui le stesse tre premesse di carattere generale allora introdotte.
Nella voce Karl Marx per il dizionario enciclopedico Granat Lenin scriveva: «Il Marxismo è il sistema delle concezioni e della dottrina di Marx» [Lenin (1914): 9], proseguendo poi con un’esposizione dei principi generali e concludendo con un capitolo sulla tattica del proletariato. Non intendo certo pronunciarmi qui su Lenin come personaggio storico, politico o come pensatore; limitandosi però a questa affermazione, mi pare si possa sostenere che egli operi una forzatura che è stata poi propria di tutta una tradizione, alla quale sono appartenuti anche gli oppositori di Lenin. Definirei, infatti, più propriamente il marxismo come “una prassi politica ispirata alle concezioni ed alla dottrina di Marx”. La teoria del modo di produzione capitalistico elaborata da Marx non è infatti – né può essere – immediatamente una teoria politica; si tratta piuttosto della ricostruzione, ad un altissimo livello di astrazione, del funzionamento “epocale” della società borghese, che implica delle linee di tendenza, delle forme di movimento, ma immediatamente non una politica. Ciò non per negare le esplicite prese di posizione di Marx, né che si possa utilizzare questa teoria con finalità politiche, ma per stabilire: (i) che la politica, collocandosi ad un livello di astrazione molto più basso, per essere raggiungibile ha innanzitutto bisogno di una serie di teorie cuscinetto che il Moro non ha sviluppato, (ii) che quindi la politica non ha a che fare solo con le forme – che rappresentano l’oggetto essenziale della teoresi di Marx – ma anche con le “figure”, che sono via via quei soggetti che in sottoperiodizzazioni della fase epocale si trovano ad incarnarne la forma di moto. Così, per fare un esempio, lo “operaio massa” è stato legittimamente ritenuto una figura di movimento della società capitalista, ma la forma di tale movimento funziona in altre fasi anche con altre figure, proprio perché non c’è identità fra forma e figura. Così, se facendo politica Marx si rivolgeva giustamente all’operaio nella fabbrica, ciò non esaurisce lo spettro d’applicabilità della sua teoria. Se da una parte si guadagna in ampiezza, dall’altra si perde in precisione (necessità di teorie cuscinetto).[1] Più in generale, si può sostenere che a livello politico si agisce inevitabilmente con le figure, ma una cosa è la tattica ed altra la teoria del modo di produzione come fase epocale.
Così, Marx ed il marxismo non possono essere la stessa cosa ed è inevitabile che si debba parlare di “marxismi”, al plurale.[2] Questi hanno la loro dignità storica e, nel bene e nel male, rappresentano un momento importante – se non imprescindibile in certi casi – della storia recente, ma si stia attenti a non operare fuorvianti appiattimenti. Gli oggetti d’indagine sono, infatti, due. Non si deve d’altronde compiere l’errore opposto, ossia credere che non sia lecito stabilire quanto i vari marxismi siano stati fedeli alle indicazioni date da Marx: che non ci sia identità fra forma e figura non significa neppure che ogni tentativo di applicazione politica vada bene. Come sempre occorre mostrare le mediazioni (o eventualmente l’assenza di esse).
Oltre alla distinzione fra la teoria del Moro ed il marxismo, il secondo avvenimento a cambiare la prospettiva interpretativa è la nuova edizione storico-critica delle opere complete di Marx ed Engels, la Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA2). La pubblicazione ha avuto inizio nel 1975 a cura degli Istituti per il Marxismo-Leninismo di Berlino e Mosca. Col crollo del cosiddetto “socialismo reale” ed il venir meno di questi enti, per garantirne la continuazione è stata creata nel 1990 la Fondazione Internazionale Marx-Engels (Internationale Marx-Engels-Stiftung – IMES – con sede ad Amsterdam e segreteria a Berlino presso l’Accademia delle Scienze di Berlino e del Brandeburgo, dove la MEGA-Abteilung ha la responsabilità principale nella realizzazione del progetto). Al suo interno sono apparsi una serie di testi inediti – o editi in precedenza in forma filologicamente dubbia – fondamentali per una corretta comprensione del pensiero di Marx, soprattutto per quanto concerne la teoria del “capitale”.[3]
Infine, parallelamente alla pubblicazione dell’edizione, si è sviluppato un intenso dibattito fra i redattori e diversi studiosi, principalmente di lingua tedesca, che ha dato interessanti frutti; questi pongono le basi di un nuovo contesto interpretativo, filologicamente più critico, dell’opera di Marx ed Engels [per un resoconto cfr. Fineschi (2002b)].
2. Per una periodizzazione del pensiero marxiano
Stabilire una periodizzazione nel pensiero di Karl Marx significa inevitabilmente parlare della stesura e della genesi della sua opera più importante, grazie alla quale è passato alla storia del pensiero non solo filosofico: Il capitale.[4] Questo non per sminuire altri aspetti della sua speculazione, ma solo per ribadire che essi sono teoreticamente rilevanti solo perché trovano supporto (o non lo trovano e quindi cadono) nell’opera teoretica fondamentale del loro autore. Senza Il capitale Marx avrebbe fatto la stessa fine di molti altri autori della Sinistra hegeliana: essere menzionati nella storia delle idee prevalentemente in relazione all’opera di altri.[5]
Alla fine del 1843, fra Bruxelles e Parigi, Marx iniziò i propri studi “economici”. Per valutare il grado di maturità della sua riflessione in quel periodo, oltre ai noti Manoscritti economico-filosofici del ‘44 (ripubblicati in MEGA2 sez. I, vol. 2), sono di notevole interesse anche i quaderni di estratti e appunti risalenti a quel periodo (apparsi per la prima volta nella IV sezione della MEGA2). Dal confronto di quest’ampia serie di testi risulta che i celebri Manoscritti economico-filosofici del ‘44 non possono essere considerati come un’opera “progettata”: se non li si contestualizza e li si mette sullo stesso piano del lavoro di studio e annotazione che Marx svolgeva parallelamente sui quaderni di appunti non se ne capisce la natura. Rojahn ha efficacemente commentato:
I Manoscritti del ‘44 non debbono essere considerati un’entità distinta, isolata dai quaderni di appunti di quel periodo. Le diverse parti di questi manoscritti non costituiscono una “opera” vera e propria, basata su studi precedenti, riflettono piuttosto diversi livelli di un processo, lo sviluppo del suo pensiero che, procedendo in quel periodo repentinamente, era alimentato da continue letture. Mentre Marx faceva gli estratti (Exzerpte) più o meno naturalmente buttava giù i suoi pensieri. Ciò avveniva alternativamente o nei manoscritti o nei quaderni. Solo l’insieme di queste note, visto come una sequenza di estratti, commenti, sommari, riflessioni e ancora estratti accompagnati da ulteriori riflessioni dà un’idea adeguata di come si sviluppassero le sue concezioni» [Rojahn (2002): 31 (trad. RF)].
L’importanza di tale testo, che ha così profondamente pesato sull’esegesi marxiana novecentesca, ne risulta quindi ridimensionata; un limite di fondo – non solo editoriale, ma scientifico tout court di chi lo ha pubblicato – è aver considerato “opera” un testo in cui la distinzione fra estratti e stesura non pare così salda. D’altra parte anche Rolf Hecker, autorevole filologo e a lungo membro dello staff editoriale della MEGA, ha mostrato come gli scritti di quel periodo attestino inequivocabilmente che le conoscenze economiche di Marx fossero mediocri: egli stava appunto “apprendendo” dai classici; lontana ancora la fase della loro critica e del loro superamento [Hecker (2002): 51].
In attesa dei risultati editoriali che si otterranno dalla pubblicazione delle altre opere giovanili ci si può rifare a studi preparatori condotti a suo tempo in Unione Sovietica e Germania Democratica. Per quanto riguarda L’ideologia tedesca, sebbene per motivi diversi, vale quanto detto per i Manoscritti del ‘44, ossia che non si può parlare di una “opera concepita”. Dalle lettere apparse nel 1° e 2° vol. della III sezione della MEGA2 emerge che i testi pubblicati con questo titolo sarebbero in realtà articoli giornalistici di Marx ed Engels scritti per una nascitura rivista quadrimestrale poi mai realizzata. Altri materiali, oltre ai loro, erano stati raccolti quando si dovette rinunciare al progetto vista l’impossibilità di trovare un editore. I testi furono allora rispediti agli autori (non tutti però, tanto che alcuni di terzi, di Hess per la precisione, sono finiti nell’Ideologia tedesca) e solo a quel punto Marx ed Engels ipotizzarono una pubblicazione autonoma dei loro.[6]
Per altre vie, diversi filologi hanno ritenuto che con l’Ideologia tedesca Marx arrivi a sviluppare il concetto chiave di “modo di produzione” e quindi la nozione elementare della dialettica di forze produttive e rapporti di produzione. Walter Tuchscheerer sostiene:
Diversamente dai Manoscritti economico-filosofici e dai quaderni di estratti del 1844 in cui non si distingueva ancora fra i diversi modi di produzione … nell’Ideologia tedesca Marx ed Engels sono già arrivati al concetto di modo di produzione. Essi mostrano che i diversi modi di produzione sono caratterizzati da “forme della proprietà” o rapporti di produzione storicamente diversi che corrispondono di volta in volta ad un determinato grado di sviluppo delle forze produttive della società. Marx ed Engels dimostrano inoltre che ad un certo grado di sviluppo delle forze produttive questi rapporti di produzione diventano un intralcio per il loro sviluppo ulteriore ed entrano in contraddizione con le forze produttive della società. Questo porta a collisioni nella storia che hanno tutte “la loro origine nella contraddizione tra le forze produttive e la forma di relazioni”.[7]
Questi stessi autori sostengono, d’altra parte, che l’elaborazione della teoria marxiana della merce e del capitale non giunge ad una forma organicamente strutturata prima del 1857.[8] Stando così le cose, pare più appropriato parlare di “intuizione” di queste categorie, in quanto la loro effettiva spiegazione non la si può avere che con la teoria svolta del modo di produzione capitalistico. Il rischio è altrimenti di ricadere in astratti sviluppi storici tutti meramente concettuali – si pensi soltanto all’interpretazione delle famigerate fasi della Prefazione a Per la critica dell’economia politica o a quella delle Tesi su Feuerbach – tanto perspicui quanto schematici e riduttivi.[9]
Secondo i filologi più accreditati, nella Miseria della filosofia Marx non supererebbe determinati limiti della teoria ricardiana [cfr. Tuchscheerer (1968): 222 ss.; Vygodski (1967): 10 ss.; Jahn/Nietzold (1978): 145 ss.]. Un’importante nuova fonte per valutare il progresso delle sue conoscenze sono invece i 24 quaderni londinesi di estratti ed annotazioni scritti fra l’agosto 1850 ed il gennaio 1853. Marx si dedicò in questo periodo allo studio di due diverse teorie del denaro fra loro contrapposte: quella del Currency Principle e la Banking School. Usò diversi argomenti della seconda, anche se in modo critico, per superare le posizioni della prima, attaccando soprattutto la teoria quantitativa del denaro.[10]
Alla fine di una lunga pausa occorsa fra il 1853 ed il 1857 in cui non si occupò direttamente di teoria economica, Marx iniziò la redazione del primo grande manoscritto complessivo della teoria del capitale, i cosiddetti Grundrisse. Per la prima volta, fra il 1857 ed il 1858, egli buttò giù quasi nella sua interezza la teoria del modo di produzione capitalistico. Scritta quest’opera, decise di esporre una prima parte dei risultati raggiunti nel testo dal titolo Per la critica dell’economia politica, uscito nel 1859. Ad essa esiste un interessante manoscritto preparatorio conosciuto come Urtext. La pubblicazione, che conteneva l’esposizione di argomenti che sarebbero stati poi ripresi nei primi tre capitoli del Capitale, avrebbe dovuto essere seguita dall’esposizione del “Capitale in generale”. Nel 1861 Marx ne iniziò la redazione ma, giunto all’esposizione storica delle teorie sul plusvalore, cominciò una “digressione” di migliaia di pagine – le Teorie sul plusvalore –, seguite da altre riflessioni solo di recente pubblicate. In questo grande manoscritto (1861/63) Marx redasse per la seconda volta l’intera teoria del modo di produzione capitalistico, arrivando alla fine a concepire il progetto poi definitivo dei tre libri in base al quale scrisse fra il 1863 ed il 1865 tutto per la terza volta.[11]
Nel 1867, uscì la prima edizione tedesca del Capitale di cui l’autore si mostrò subito insoddisfatto, in modo particolare per la doppia esposizione della forma di valore, una nel testo ed una in appendice per i “non dialettici”. Ebbe così inizio una nuova travagliata storia, quella interna al primo libro, unico pezzo della teoria effettivamente pubblicato da Marx. Per la seconda edizione tedesca, poi uscita nel 1872, fu redatto un manoscritto dove si elaborarono varie migliorie; esso è di grande importanza ed è pubblicato per la prima volta nella MEGA2, sez. II, vol. 6 col titolo redazionale di Ergänzungen und Veränderunge zum ersten Band des Kapitals;[12] servì separatamente da supporto per le correzioni apportate alla seconda edizione tedesca e all’edizione francese uscita a dispense fra il 1872 ed il 1875. Poiché la traduzione francese di Roy, pur approvata da Marx, è stata ritenuta da moderni esegeti assolutamente inadeguata,[13] emergono ulteriori difficoltà: Marx morì prima di dare alle stampe la terza edizione tedesca del 1883, che uscì a cura di Engels, il cui intervento fu parzialmente selettivo. L’ultima versione interamente marxiana è quindi una traduzione francese assai imperfetta.[14] Lo stesso primo libro dunque, per quanto sia stato pubblicato dallo stesso autore vivente in più versioni, non è “del tutto definitivo”.[15]
Se una relativa incompiutezza esiste anche per il I libro, il discorso si fa tuttavia assai più complesso per il II e soprattutto per il III, che si trovavano ad uno stato di elaborazione assai deficitario. Il capitale è rimasto un torso.[16] Per dare alle stampe un’opera compiuta, Engels ha inevitabilmente dovuto metterci del suo e fra limature, aggiunte e risistemazioni è stato inevitabilmente alterante.[17] Sbagliata è soprattutto l’idea che esista un’opera finita in tre volumi intitolata Il capitale. Per il II libro il “secondo violino” disponeva di ben otto manoscritti, per il terzo, oltre a quello del 1863/65, abbiamo solo esposizioni parziali, ma mai una ripresa organica della questione. Certo, di entrambi Marx aveva delineato la struttura generale almeno a partire dal 1863/65 ed aveva molto materiale preparatorio. Lavorò ad intervalli al secondo libro nei periodi 1867/68, 1868/70 e 1877/81. Per il terzo aveva un manoscritto principale redatto nel 1864/65 e poi una serie di riesposizioni parziali scritte fino al 1878. Mancava però più di qualche “rifinitura”. Così, stando ai materiali pervenutici, l’ordine di pubblicazione dei tre libri “storici” del Capitale è inverso all’ordine di stesura.
Guardando a ritroso possiamo dunque individuare due periodi nel lavoro marxiano verso Il capitale. Il primo periodo è quello che precede il 1857 in cui Marx si “fa le ossa” prima studiando i classici dell’economia politica, elaborando una nozione embrionale della dialettica di forze produttive e rapporti di produzione, criticando i falsi critici (Proudhon) e quindi cercando di spiegare la realtà facendosi una ragione di ciò che si manifesta alla superficie: le tempeste monetarie. Il secondo periodo inizia nel 1857 ed è quello della costruzione del modello teorico del “capitale” che si articola a sua volta in quattro fasi cronologicamente successive: i manoscritti del 1857/58, i manoscritti del 1861/63, i manoscritti del 1863/65, il periodo che inizia col 1867. Questa ultima fase si sviluppa in tre direzioni che si intrecciano: pubblicazione e rielaborazione del I libro del Capitale (manoscritto Ergänzungen..., II ed. tedesca, ed. francese, materiali per la III ed. tedesca e per l’ed. statunitense poi mai realizzata); manoscritti per il II libro; manoscritti per il III libro.
3. Il capitale, la dialettica e Hegel
Nell’Introduzione a Ripartire da Marx, come premessa generale ma più specifica, cercavo di chiarire il contesto in cui si colloca la ripresa dell’analisi del rapporto Marx/Hegel. Il contenuto della teoria del capitale, alla luce degli studi filologici, si può sostenere che consista in un modello logico, ad un alto livello di astrazione, del funzionamento “storico/naturale” del modo di produzione capitalistico. Non si tratta dunque di una descrizione del capitalismo dell’ottocento o semplicemente di una teoria economica nel senso corrente; non è neppure una filosofia della storia nel senso deteriore del termine per cui ci sarebbe un corso “naturale” degli eventi che culminano in una sorta di paradiso terrestre. Marx cerca bensì di individuare le leggi di movimento della formazione economico-sociale capitalistica come intero, un modello unitario in cui si definisce al contempo che cosa significhi società, uomo, storia, natura e via dicendo. Se teniamo fede alle costanti e ripetute affermazioni dello stesso Marx, il metodo adottato nella sua teoria è quello dialettico. E d’altra parte, sempre a suo modo di vedere, Hegel è l’autore che ha mostrato in modo più adeguato le leggi generali della dialettica, anche se le ha avvolte in un guscio mistico. Si enuclea quindi il problema della logica dialettica della teoria marxiana del capitale, del metodo.
Molto si è discusso sull’argomento; vivo lo stesso autore lo si elogiava o attaccava affermandone il maggiore o minore rigore dialettico. In seguito si è dibattuto lungamente, e da diversi punti di vista, nel tentativo da una parte di costruire una filosofia materialista (materialismo dialettico e materialismo storico), dall’altra di delucidare il rapporto con Hegel, quindi di mostrare lo sviluppo interno della teoria di Marx e della sua struttura (celebre il problema della contraddizione vera o presunta fra il primo ed il terzo libro del Capitale). Poiché la questione del metodo dialettico non è scindibile da quella del rapporto con Hegel – proprio per il modo in cui è stata impostata dall’autore – è comprensibile il costante riferimento al filosofo di Stoccarda, in positivo o in negativo che fosse, e quindi lo spaccarsi delle diverse “scuole” su questo punto. Si può affermare che non si è giunti a conclusioni condivise, anzi paradossalmente si sono sviluppate posizioni antitetiche in cui il metodo marxiano è stato di volta in volta dialettico/hegeliano, dialettico/anti-hegeliano, antidialettico-antihegeliano/empirista e si potrebbe continuare. Oltre a lasciare insoddisfatti, tanta diversità ha provocato e provoca un comprensibile smarrimento. Dall’impasse si esce, a mio parere, solo cercando di precisare i termini del discorso, evitando così tutta quella serie di malintesi che hanno senz’altro contribuito al proliferare di posizioni così distanti.
Il punto cruciale a mio modo di vedere è che le ambiguità non emergono solo dal modo in cui si legge Marx, esse originano piuttosto nella maniera in cui lo stesso Marx si rapporta al problema del metodo (e a Hegel come autore di riferimento). Le prospettive interpretative emerse grazie alla pubblicazione della nuova edizione storico-critica (MEGA2) aprono nuovi orizzonti (se non altro per quanto riguarda la periodizzazione, come si è visto). Si è definitivamente preso atto dell’esistenza di una stratificazione interna anche per quanto riguarda l’interpretazione di Hegel: si sono individuate sostanzialmente due letture, la prima giovanile, direttamente influenzata dalla sinistra hegeliana e dalla temperie culturale del Vormärz; la seconda risalente al 1857, periodo in cui Marx scrive il primo grande abbozzo complessivo della teoria del modo di produzione capitalistico; Marx asserisce che rileggere la Scienza della logica gli è stato di grande aiuto per quanto riguarda il metodo [cfr. lettera ad Engels del 16 gennaio 1857].
La prima lettura è stata a sua volta fonte di diversi approcci. Chi ha preferito sottolineare la rottura e la presa di distanza dal filosofo idealista si è basato principalmente sulla Critica del diritto statuale hegeliano del ‘43; Marx farebbe qui definitivamente i conti con Hegel e successivamente non cambierebbe idea (posizione ufficiale nei paesi sovietici, della Volpe e la sua scuola).[18] Secondo altri, in realtà in questo periodo (soprattutto nei Manoscritti economico-filosofici del ‘44) Marx svilupperebbe in modo innovativo alcuni elementi “idealistici” di Hegel, trasfigurandoli però in forma nuova e progressiva sulla base della centralità dell’originale concetto di “lavoro”.[19] Secondo altri, invece, proprio questo mantenimento, nonostante le correzioni, inficerebbe i fondamenti teorici del periodo giovanile che resterebbero sostanzialmente idealistici; essi sarebbero però fortunatamente abbandonati successivamente, in seguito alla rottura operata nell’Ideologia tedesca con l’antropologia di Feuerbach; fatti i conti con questa esperienza, Marx si allontanerebbe per sempre da un approccio di tipo hegeliano.[20]
Sulla base degli scritti giovanili si è sostenuta quindi (i) la divergenza sostanziale fra le due filosofie (materialismo contro idealismo, inversione di soggetto e oggetto), (ii) la continuità in positivo (Hegel corretto, vale a dire dialettica di estraneazione/alienazione come momento della teoria del lavoro), (iii) la continuità in negativo (questo Hegel corretto rimane comunque “malamente” idealista, posizione superata con la critica di Feuerbach ed abbandono successivo dell’idealismo). Molto ha pesato nella discussione il giudizio di Althusser in base al quale il Marx giovane sarebbe filosofo (perché dialettico e hegeliano), mentre quello maturo sarebbe scienziato, proprio perché abbandona la filosofia (ossia Hegel e la dialettica).
Chi invece ha privilegiato la seconda lettura del 1857 ha voluto sottolineare la continuità principalmente in relazione alla questione del metodo dialettico, mostrando in concreto come Marx, principalmente nei Grundrisse, lo abbia effettivamente applicato. Certo, tutta da spiegare resta anche in questi approcci la questione della differenziazione “materialistica”, del celebre “rovesciamento”: anche ammesso che nella teoria marxiana sia di fatto vigente lo Übersichhinausgehen resta da mostrare in che cosa esso differisca da quello hegeliano. La cosiddetta scuola logicista, legata ai nomi di Backhaus e Reichelt, non mi pare abbia superato questo scoglio, per quanto abbia fornito contributi indispensabili alla ricostruzione della dialettica del concetto di capitale e della forma di valore.[21]
Alla luce di tali premesse e con le specificazioni suddette, nel mio menzionato studio il piano di lavoro si articolava nel modo seguente: in primo luogo ricostruire la dialettica del concetto di capitale per capire la struttura della teoria del modo di produzione capitalistico come premessa necessaria all’analisi del rapporto Marx/Hegel o a qualunque discorso sul metodo dialettico. Fatto questo, resta in primo luogo da valutare la comprensione che Marx ebbe della filosofia hegeliana, considerando particolarmente la mediazione svolta in questo senso dalle diverse correnti della cosiddetta Sinistra hegeliana. In secondo luogo si tratta di vedere in che misura questa comprensione effettivamente corrisponda o meno alla teoria hegeliana. In terzo luogo si può valutare che rapporto ci sia fra le categorie dialettiche usate da Marx e quelle hegeliane.
Ho compiuto nello studio menzionato il passo preliminare, ovvero lo studio della “logica peculiare dell’oggetto peculiare”[22] capitale, mostrando come sia la dialettica interna al concetto di merce a determinare lo sviluppo complessivo della teoria, in piena conformità al principio hegeliano della Auslegung der Sache selbst: non estrinseca applicazione di categorie hegeliane, ma sviluppo dell’anima del contenuto e quindi coerenza di principio col suo insegnamento metodico. In questa sede mi sono dedicato alle altre due questioni, approfondendone i diversi aspetti nel dettaglio. Vediamo allora la partizione e l’argomento.
4. Argomento e struttura del libro
Nell’analisi tradizionale del metodo marxiano (definito in contrapposizione a quello di Hegel), il limite di fondo mi pare sia consistito nel non essere usciti dall’ottica interpretativa di Marx. Intendo dire che molti degli esegeti che si sono cimentati con la complessa questione non mi pare siano andati oltre il punto di vista del Moro, non avendo ritenuto di dover discutere criticamente la comprensione che egli ebbe del problema. Così, la sua interpretazione di Hegel è stata vincolante, la si è presa per buona a prescindere, senza sentire la necessità di saggiarne la consistenza. Dato che Marx poi definisce il proprio metodo in contrapposizione a quello di Hegel, tale deficienza ha pesato molto anche sulla ricostruzione del metodo propriamente marxiano. In sostanza, si può per adesso ipotizzare che la comprensione marxiana di Hegel, e quindi i commenti sul proprio metodo, siano viziati da una cattiva interpretazione della filosofia di quest’ultimo che derivava in Marx dalla sua formazione nella sinistra hegeliana. Per fare chiarezza quindi su che cosa sia il “metodo materialista” di Marx sono necessari una serie di passaggi che nel dibattito tradizionale sono stati svolti solo parzialmente, mai in modo organico e soddisfacente (o addirittura esplicito). Mi sforzerò quindi nel primo capitolo di ricostruire la comprensione marxiana di Hegel nell’arco dello sviluppo del suo pensiero e di valutarne la consistenza. Innanzitutto è necessario:
1) chiarire che cosa intenda Marx quando parla di Hegel e di metodo dialettico. Si procederà ad un’analisi approfondita che metta in chiaro che cosa cambi nell’analisi matura (dopo il 1857) rispetto a quella giovanile;
2) vedere dove origini l’interpretazione marxiana di Hegel, soprattutto per quanto riguarda le categorie centrali a cui lui da giovane attribuiva grande valore (ossia Entäußerung ed Entfremdung). Si indicherà come l’ambiente della sinistra hegeliana sia decisivo nel filtrare questi concetti ed il modo di approcciare Hegel in generale;
3) mostrare come questa interpretazione del giovane Marx non trovi conferma nei testi di Hegel, ossia come essa rappresenti una forzatura sostanziale che, per certi aspetti, peserà sempre nella comprensione marxiana del “maestro” e del problema del metodo.
Chiariti i termini del rapporto Marx/Hegel, nel secondo capitolo sarà possibile riprendere una questione classica – la teoria dell’Alienazione – e darne un giudizio più circostanziato: da una parte ricostruirò il ruolo categoriale che essa gioca nell’opera marxiana nell’arco del suo sviluppo, dall’altra cercherò di tener conto di alcuni aspetti del dibattito che intorno ad essa si è sviluppato.
Alla luce di questi risultati si potranno sviluppare alcune riflessioni sulla presenza della dialettica in Marx e sulla relazione fra questa dialettica e quella hegeliana, oltre l’impostazione marxiana del problema.
[1] Ho analizzato più approfonditamente la questione in Fineschi (2003) al quale mi permetto di rimandare.
[2] Cfr. Haupt (1978): 292 ss. Vedi anche Favilli (1996), Corradi (2005).
[3] Per informazioni dettagliate sulla MEGA vedi l’organico Mazzone (2002a); è questa la pubblicazione in cui l’edizione e le tematiche ad essa inerenti sono affrontate nel modo più approfondito. Per una panoramica sulla situazione internazionale dopo il “crollo” vedi Hecker (1999), per altri aggiornamenti vedi Fineschi, Sylvers (2003). Sulla storia della MEGA e delle edizioni delle opere di Marx ed Engels stanno uscendo in tedesco interessanti pubblicazioni, nella redazione delle quali si è potuto tenere conto anche dei nuovi materiali emersi da archivi finora inaccessibili. Si vedano in particolare i Sonderbände dei “Beiträge zur Marx-Engels-Forschung. Neue Folge”. Al momento, presso Argument, Berlino-Amburgo, sono usciti 4 titoli: David Borisovic Rjazanov und die erste MEGA (1997), Erfolgreiche Kooperation: Das Frankfurter Institut für Sozialforschung und das Moskauer Marx-Engels-Institut (1924-1928) (2000), Stalinismus und das Ende der ersten Marx-Engels-Gesamtausgabe (1931–1941) (2001) e Die Marx-Engels-Werkausgaben in der UdSSR und DDR (1945-1968) (2006).
[4] Numerosi, noti e di buon livello gli studi sistematici sull’argomento; fra essi si menzionano Rosdolsky (1968), Vygodski (1967), Mandel (1967), Tuchscheerer (1968), Müller (1978), W. Schwarz (1978).
[5] Con quanto affermato non intendo prendere posizione in favore della celebre “rottura epistemologica” di Althusser, dal quale mi dividono diversi elementi, sia nel modo di leggere Hegel sia nell’interpretare la continuità/discontinuità fra opere giovanili e mature. Quanto mi pare indubbiamente giusto è però definire “opere della maturità” quelle successive al 1857 [cfr. Althusser (1967): 14 ss.].
[6] Golovina (1979): 260 ss. È recentemente uscito il primo numero della nuova rivista ufficiale della MEGA – il “Marx-Engels-Jahrbuch” 2004, Berlino 2005, che va a sostituire i cessati “MEGA-Studien” – dedicato completamente ai lavori preparatori del MEGA-Band che conterrà l’Ideologia tedesca. Questi temi vi vengono ripresi.
[7] Tuchscheerer (1968): 194 s.; citazione interna dall’Ideologia tedesca. Su questa posizione convengono altri studiosi: Jahn, Nietzold (1978): 149 ss. e Jahn, Noske (1979): 21 s.
[8] Vedi lo stesso Tuchscheerer (1968): 222 ss., 283 ss., i fondamentali contributi di Vygodski (1967), (1976) e tutta la discussione sui quaderni londinesi del periodo 1850-3: Müller (1978), Antonowa (1986) oltre ai già citati Jahn, Noske (1979), Id. (1983).
[9] Sui limiti di tali interpretazioni e sull’Ideologia tedesca in particolare si veda Cazzaniga (1981): 33 ss., 51 ss. Considerato di scarso peso dai filologi Lavoro salariato e capitale; su questo punto vedi nel dettaglio Vygodski (1983). Per quanto concerne Il manifesto invece, credo che l’importanza filosofica e scientifica di questo testo sia sopravvalutata, perché spesso ci si scorda che si tratta appunto di un manifesto politico. Condivido nella sostanza il giudizio che ne dette A. Labriola in passi noti: «Ma quello scritto che era il Manifesto ... se fu tante e tante cose come sedimento di pensieri varii ridotti per la prima volta ad unità intuitiva di sistema ... non fu però, né pretese di essere, né il codice del socialismo, né il catechismo del comunismo critico, né il vade-mecum della rivoluzione proletaria … Il comunismo critico, in verità, cominciava appena col Manifesto; doveva svilupparsi, e difatti si è sviluppato … Il complesso di dottrine che ora si è soliti chiamare Marxismo, non è giunto invero a maturità, se non negli anni ‘60 e ‘70» [Labriola (1977): 31 s.].
[10] Non molti gli studi dedicati all’argomento. Si vedano nei nn. 8 e 9 degli “Arbeitsblätter zur Marx-Engels-Forschung” (Halle, 1979) i contributi di B. Arhold, H. Christ, R. Heliborn, K. Stude, M. Zimmermann. I temi sono stati poi ripresi in studi di carattere generale fra cui quello W. Jahn e D. Noske nello “Marx-Engels-Jahrbuch” (vecchia serie) n. 6.
[11] Sulla scomparsa della categoria di “capitale in generale” nelle stesure successive si è molto discusso. Oltre al citato Vygodski si vedano le importanti riflessioni di M. Müller (1978) e W. Scwharz (1978). Vedi anche Fineschi (2001): 187 ss.
[12] Ne uscirà presto una traduzione italiana presso La città del sole di Napoli, in appendice ad una nuova edizione del I libro del Capitale. Presso questo editore, col supporto dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici ed il consenso degli Editori Riuniti, sarà ripresa la pubblicazione delle Opere Complete di Marx ed Engels delle quali farà appunto parte il menzionato volume.
[13] Sulla scarsa bontà della traduzione francese si riscontra ormai una certa convergenza fra vari studiosi. Vedi i commenti senza appello di D’Hondt, (1987): 50 (trad. RF): «Questo libro è stato tradotto, vivo Marx, da Joseph Roy; questa traduzione è palesemente lacunosa, arbitraria, costantemente e profondamente sbagliata ... Se si compara la traduzione di Joseph Roy e la seconda edizione tedesca del Capitale ... si vede che sarebbe grottesco prendere sul serio il satisfecit di Marx...»; oppure l’introduzione di Jean-Pierre Lefebvre alla nuova traduzione francese del Capitale [Lefebvre (1993): VII-LI]. Ritenuta contenutisticamente migliore per quanto riguarda la trattazione soprattutto dell’accumulazione, gli stessi Marx ed Engels considerarono la francese un’ottima edizione in traduzione. È quanto è emerso dal dibattito fra i curatori delle varie edizioni del I libro del Capitale nella MEGA nel corso degli anni ottanta; si veda in particolare Hecker, Hues, Kopf (1989). Per un singolo esempio di tale insufficienza, travasato nel compendio del Capitale di Cafiero che era basato appunto sull’edizione francese, vedi anche Fineschi, Hecker (2002): 121 ss.
[14] Engels ha poi curato l’edizione inglese (ripubblicata in MEGA2 sez. II, vol. 9) e la quarta tedesca (MEGA2 sez. II, vol. 10). Sulla storia interna alle diverse edizioni del I libro vedi fra i molti saggi Hecker (1987): 147 ss. e Jungnickel (1988).
[15] Ciò continua a causare incongruenze un po’ ridicole, per cui i lettori di lingua francese ed inglese hanno un indice diverso da quelli di lingua tedesca (e di tutti coloro che hanno traduzioni dal tedesco dove testo standard è stata la quarta edizione tedesca engelsiana del 1890). Parlando del “V capitolo”, ad es., non si intende la stessa cos. L’ultima edizione francese a cura di Lefevre, esemplata sulla quarta tedesca e non più su quella di Roy, ha, almeno per questo aspetto, risolto il problema.
[16] Secondo R. Hecker «da un dettagliato confronto testuale della versione a stampa con il manoscritto marxiano emerge un intero catalogo di interventi di Engels, fra cui: interventi nell’ordinamento del testo, ricalibratura del “peso” di alcuni passi per es. attraverso la trasformazione di note in testo normale, aggiunte, storicizzazioni, omissioni, cancellature e limature, come per es. creazione di capoversi, espressioni retoriche di passaggio, aggiunte relativizzanti e infine correzioni di tipo contenutistico, terminologico e stilistico. Questo esame ha mostrato così l’esistenza di un’ampia serie di modifiche testuali, esse risultano essere molto maggiori di quelle già accertate in precedenti pubblicazioni» [Hecker (2002): 65].
[17] Con questo non si intende in alcun modo tirare la croce sulle spalle di Engels, come fantomatico inventore del marxismo, vs. il Marx “puro”. Si afferma semplicemente che chiunque avesse dovuto mettere le mani su quei manoscritti per pubblicarli come opere “compiute” doveva “finirle” in qualche modo. Oggi si possono leggere gli originali e quindi valutare, da una parte, il lavoro di Marx e, dall’altra, quello di Engels.
[18] Cfr. della Volpe (1969); vedi anche il dibattito ricostruito in Fineschi (2002b): 93 ss.
[19] Vedi Mészáros (1970). Per un’interpretazione di taglio esistenzialistico vedi Hyppolite (1963). Il concetto di lavoro collegato a quello di Alienazione è centrale anche nell’interpretazione di Lukács (1975).
[20] È la nota tesi di Althusser (1967).
[21] Cfr. Reichelt (1970) e Backhaus (1997). Per una ricostruzione un po’ più approfondita anche di altre posizioni vedi Heinrich (1999): 163 ss. Su vari giudizi poi formulati da Heinrich in risposta alle (presunte a mio parere) aporie marxiane, soprattutto relativamente a valore e lavoro astratto, dissento più o meno radicalmente. Queste posizioni hanno tuttavia avuto un certo seguito retroagendo addirittura sullo stesso Reichelt che ha finito per accettarne alcune delle più sostanziali; egli ha quindi cercato di superare siffatte aporie con una teoria della “Geltung” di cui si sta attualmente discutendo in Germania. Cfr. Reichelt (2002).
[22] È questa le celebre espressione usata da Marx nel manoscritto sulla critica della filosofia hegeliana del diritto del 1843 su cui si tornerà in seguito. Preferisco rendere “eigentümlich” con “peculiare” e non con “specifico” perché, in primo luogo, è migliore come traduzione (con “specifico” si rende di solito “spezifisch”), ma anche perché il termine torna spesso in Marx, per es. nei celebri passi del I capitolo del Capitale a proposito delle “peculiarità” della forma di equivalente.
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