Saturday, 12 January 2019

Una storia complessa. La teoria dell’accumulazione in Marx di Roberto Fineschi

Dall'ultimo numero di Consecutio Rerum, il mio saggio sulla teoria dell'Accumulazione.




Una storia complessa. La teoria dell’accumulazione in Marx


Roberto Fineschi

Siena School for Liberal Arts
r.fineschi@sienaschool.com



Abstract: «Accumulation» is a crucial concept in Marx’ theory of capital. Next only to the value form, this is the part that underwent the most significant changes in the different drafts of his work, since it plays a crucial role in its general structure. Its function, more than the transformation of values into prices of production, is the key point to think the continuity/discontinuity between the different abstraction levels of the theory. In this essay, we shall try to show this development and explain its more general meaning.

Keywords: accumulation; Capital; Marx-Engels-Gesamtausgabe; capital in general; abstraction levels



1. Introduzione

L’accumulazione nella struttura teorica del capitale costituisce uno snodo fondamentale, senza il quale l’intero sistema non starebbe in piedi. Non a caso è una delle parti che è stata soggetta ai rimaneggiamenti più consistenti man mano che l’intelaiatura andava definendosi, seconda in questo forse solo alla forma di valore. Rispetto a questa, tuttavia, sempre collocata all’inizio dell’opera, l’accumulazione ha via via cambiato posizione, si è articolata in più passaggi e sezioni nei tre libri, fino a diventare la vera cifra dello sviluppo della teoria di Marx e dei suoi cambiamenti tra le varie redazioni.
La ragione per cui questa parte della teoria è così importante è legata alla metodologia marxiana, in questo eminentemente dialettica. In tale prospettiva, nella propria articolazione interna essa deve produrre come propri risultati quelli che inizialmente erano dei presupposti da essa stessa non posti. Realizzare ciò significa produrre dei “presupposti-posti”: solo grazie a questo il capitale può effettivamente essere un processo, ovvero muovere da se stesso per porre se stesso. Questo modo di procedere per cui la teoria, come dire, ritorna su se stessa autofondandosi è, nell’ottica di Marx, connesso a un’altra tematica che potrebbe sembrare muovere in direzione opposta; vale a dire esso solleva il tema dei “limiti della dialettica” e, più in generale, della concezione materialistica della storia. Infatti, Marx intende mostrare come il modo di produzione capitalistico abbia un punto di partenza non posto da esso stesso, per sostenere come non sia possibile un corso storico universale a priori; le leggi della dialettica teorizzano i rapporti di produzione via via correnti in virtù della loro logica intrinseca che è storicamente determinata e non è generalizzabile in astratto: non la si può estendere come tale ad altri modi di produzione, i quali vanno invece ricostruiti sulla base della logica loro propria. Se questo pone in termini radicali la discontinuità, d’altra parte presenta il rischio teorico di avere una teoria sempre deficitaria in quanto dipendente da elementi esogeni per cui in ogni istante la sua coerenza potrebbe venir meno venendo a mancare tale elemento esogeno. Il presupposto-posto di cui sopra ovvia a questo problema: grazie a esso la teoria può muoversi sulle proprie gambe. La posta in gioco, dunque, oltre che strutturale nel contesto della teoria del modo di produzione capitalistico, investe un valore metodologico non indifferente. Non a caso è quella che ha subito più rimaneggiamenti e sviluppi in questa doppia ottica.
Tornando alla questione strutturale, la prima cosa a cambiare è stata la sua posizione e la sua articolazione su diversi livelli di astrazione. La risposta a questa domanda è anche la chiave per comprendere come dai Grundrisse si passi a Il capitalevexata quaestio del dibattito marxiano[1].
Muovo dal presupposto, che in questa sede non è possibile discutere[2], che solo a partire daiGrundrisse Marx inizi effettivamente a sviluppare una teoria complessiva del capitale. Nei piani che redige in quel periodo, i tre livelli di astrazione di cui parla sono Universalità, Particolarità e Singolarità (U-P-S) che, evidentemente, rimandano alla teoria hegeliana del giudizio e del sillogismo. Questo modo di procedere un po’ schematico, per il quale si cerca di organizzare il discorso “economico” sulla base di un’articolazione esterna, mostra sia dei limiti che dei pregi. I limiti sono legati proprio a questa esteriorità un po’ meccanica che alcuni vorrebbero dialettica solo in virtù del fatto che Marx menzioni categorie hegeliane. In realtà, l’applicazione esterna è quanto di meno dialettico si possa concepire, non essendo il metodo dialettico altro che lo svolgimento della cosa stessa. Il pregio è che Marx usa queste categorie perché in quel momento solo intuisce la struttura dialettica del capitale e cerca di ordinarla in qualche modo per adesso inadeguato. Non è un’intuizione campata in aria, ma proprio per adeguare la struttura al contenuto da esporre procederà ai cambiamenti che poi si verificheranno e che renderanno la teoria dialetticamente più coerente[3].
Che cosa si intende con U-P-S? Il «capitale in generale» – l’Universalità –, uno e tutto al tempo stesso, si sviluppa fino a porre il profitto, per il quale si sdoppia in più sé stessi – genera il proprio figlio –, si moltiplica in molti particolari (concorrenza). La Particolarità studia la dinamica di questi molti capitali che, ciascuno individualizzato, nella propria azione particolare dà esistenza alle leggi universali prima sviluppate. La Singolarità è il particolare che funge da universale, vale e dire un capitale particolare, la banca, si colloca come rappresentante della forma più astratta e universale del capitale, il denaro che genera denaro di per sé, di fronte ai capitali particolari operanti, valorizzatori del capitale in un settore determinato. Questa dinamica si articola nella sezione su Credito e Capitale fittizio.
In questo contesto brevemente schizzato, dove sta l’accumulazione? Marx la pone inizialmente nella Particolarità, vale a dire dopo che il capitale ha posto il profitto, dopo che ha “fatto il giro” ed è tornato al proprio fondamento, vale a dire addirittura dopo la circolazione. A lui pare qui possibile pensare “il giro” senza porre le condizioni di riproduzione del capitale, senza mostrare come esso crei materialmente e formalmente i propri presupposti non una volta (il che potrebbe essere casuale dato che muove da presupposti non posti), ma sistematicamente. Vale a dire: crede di poter far questo senza includere l’accumulazione.
La trattazione nei Grundrisse non va oltre l’Universalità o Capitale in generale. Altri temi sono ovviamente presenti, ma non fanno parte dell’esposizione organica e stanno magmaticamente, per così dire, accanto alla linea argomentativa generale che non travalica i limiti suddetti. Posto quanto detto, la domanda che sorge spontanea è se il capitale possa porre i propri presupposti senza la teoria dell’accumulazione. La risposta credo non possa essere che no, in quanto se non si pensano le condizioni non solo della produzione, ma anche della riproduzione del capitale, non è possibile determinarlo come processo, come qualcosa che non abbia regolarmente bisogno di elementi esterni per fondarsi. Marx in realtà aveva parlato di accumulazione nei Grundrisse, ma di quella «originaria», cioè quella che poneva i presupposti non posti dal capitale; evidentemente, essa non poteva bastare alla teoresi del processo. Proprio per questa ragione, progressivamente, Marx inizia a distinguere l’accumulazione originaria da quella capitalistica vera e propria e ad inserire, prima in modo occasionale e poi sempre più consapevole, elementi di essa al punto giusto, ovvero prima del rapporto capitale-profitto, risultato del Capitale in generale. Come accennato, il tema è collegato a un dibattito classico del passaggio dai Grundrisse al Capitale e dal Capitale in generale alla Concorrenza e che si è poi sviluppato con Rosdolsky ed altri al quale non è possibile qui far cenno. Mi permetto di rimandare ad altre mie trattazioni al proposito[4].
Vediamo alcuni dei piani di Marx cui si faceva riferimento in precedenza. È bene tenerli sott’occhio.
 
A. Introduzione ai Grundrisse (Marx 1976-81, 43; trad. it. 36-37)
1) Le determinazioni generali astratte che come tali sono comuni più o meno a tutte le forme di società…
2) Le categorie che costituiscono la struttura interna della società borghese e su cui poggiano le classi fondamentali. Capitale, lavoro salariato, proprietà fondiaria. Loro relazione reciproca. Città e campagna. Le tre grandi classi sociali. Scambio tra di esse. Circolazione. Credito (privato).
3) Sintesi della società borghese nella forma dello Stato. Considerata in relazione a se stessa. Le classi “improduttive”. Imposte. Debito di Stato. Credito pubblico. La popolazione. Le colonie. Emigrazione.
4) Rapporti internazionali della produzione. Divisione internazionale del lavoro. Scambio internazionale. Esportazioni e importazioni. Corso del cambio.
5) Il mercato mondiale e la crisi.


B. Grundrisse (Marx 1976-81, 187; trad. it. 240-241)
I.1) Concetto generale di «capitale»;
2) Particolarità del capitale: capitale circolante, capitale fisso (capitale come mezzo di sussistenza, come materia prima, come strumento di lavoro).
3) Capitale come denaro.
II.1) Quantità del capitale. Accumulazione.
2) Il capitale misurato su se stesso. Profitto. Interesse. Valore del capitale: ossia il capitale distinto da sé come capitale e profitto.
3) La circolazione dei capitali.
α) Scambio del capitale col capitale, Scambio del capitale col reddito. Capitale e prezzi.
β) Concorrenza dei capitali.
γ) Concentrazione dei capitali.
III. Il capitale come credito.
IV. Il capitale come capitale azionario.
V. Il capitale come mercato monetario.
VI. Il capitale come fonte della ricchezza. Il capitalista.
 

C. Grundrisse (Marx 1976-81, 199; trad. it. 256-257)
Capitale:
I. Generalità
1) a) Origine del capitale dal denaro
b) Capitale e lavoro (che si media attraverso il lavoro altrui)
c) Gli elementi del capitale, analizzato secondo il rapporto col lavoro (prodotto, materia prima. Strumento di lavoro).
2) Particolarizzazione del capitale:
a) capitale circolante, capitale fisso. Circolazione del capitale
3) Singolarità del capitale: capitale e profitto. Capitale e interesse. Il capitale come valore, distinto da se stesso in quanto interesse e profitto.
II. Particolarità
1) Accumulazione dei capitali.
2) Concorrenza dei capitali.
3) Concentrazione dei capitali (differenza quantitativa del capitale che è nello stesso tempo differenza qualitativa, in quanto misura della sua grandezza e del suo effetto).
III. Singolarità
1) Il capitale come credito.
2) Il capitale come capitale azionario.
3) Il capitale come mercato monetario.
Il capitale come mercato monetario è posto nella sua totalità; ivi esso è determinatore dei prezzi, datore di lavoro, regolatore della produzione, in una parola: fonte di produzione

D. Lettera a Lassalle del 22 febbraio 1858 (Marx, Engels 1973, 550-551)
1) Il capitale (contiene alcuni capitali introduttivi)[5]
2) Rendita fondiaria
3) Lavoro salariato
4) Lo Stato
5) Mercato internazionale
6) Mercato mondiale


E. Lettera a Lassalle dell’11 marzo 1858 (Marx, Engels 1973, 553-554)
1) Il valore
2) Denaro
3) Il capitale in generale (processo di produzione di capitale, processo di circolazione di capitale, unità si entrambi o capitale e profitto, interesse).


F. Lettera ad Engels del 2 aprile del 1858 (Marx, Engels 1973, 312 ss.)
Suddivisione del libro I sul capitale:
a) Capitale in generale
b) La concorrenza, ossia l’azione reciproca dei molti capitali.
c) Credito, dove, di fronte ai singoli capitali, il capitale figura come elemento universale.
d) Il capitale azionario, come la forma più perfetta (che trapassa nel comunismo), insieme a tutte le sue contraddizioni.


G. Indice dell’Urtext (Marx 1980, 3 ss.)
I) Valore
II) Denaro
III) Il capitale in generale
Passaggio dal denaro al capitale:
1) Processo di produzione del capitale:
a) Scambio del capitale con la capacità di lavorare
b) Il plusvalore assoluto
c) Il plusvalore relativo
d) L’accumulazione originaria (presupposto del rapporto di capitale e lavoro salariato)
e) Rovesciamento della legge di appropriazione
2) Il processo di circolazione del capitale
[indice interrotto]


H. Indice del 1859 (o 1861) (Marx 1980, 256 ss.)
Il processo di produzione del capitale:
1) Trasformazione del denaro in capitale:
a) Passaggio
b) Scambio tra capitale e forza-lavoro
c) Il processo di lavoro
d) Il processo di valorizzazione
2) Il plusvalore assoluto:
a) Tempo di lavoro assoluto e tempo di lavoro necessario
b) Pluslavoro. Sovrappopolazione. Tempo di lavoro supplementare
c) Plusvalore e lavoro necessario
3) Il plusvalore relativo
a) Cooperazione di masse
b) Divisione del lavoro
c) Macchine
4) Accumulazione originaria
a) Plusprodotto. Pluscapitale
b) Il capitale produce il lavoro salariato
c) L’accumulazione originaria
d) Concentrazione di forza-lavoro
e) Plusvalore nelle diverse forme e mediante mezzi diversi
f) Nesso tra plusvalore relativo e assoluto
g) Moltiplicazione delle branche della produzione
h) Popolazione
5) Lavoro salariato e capitale
a) Capitale forza collettiva, civilizzazione
b) Riproduzione del lavoratore mediante il salario
c) Superamento spontaneo dei lmiti della produzione capitalistica. Tempo disponibile. Il lavoro stesso trasformato in lavoro sociale
d) Economia effettiva. Risparmio del tempo di lavoro ma non in forma opposizionale.
e) Manifestarsi fenomenico [Erscheinung] della legge dell’appropriazione nella circolazione semplice di merci.
f) Rovesciamento di questa legge.


I. Lettera a Kugelmann del 13 ottobre del 1866 (Marx, Engels 1974, 534)
Libro I: Il processo di produzione del capitale
Libro II: Il processo di circolazione del capitale
Libro III: Configurazione del processo complessivo
Libro IV: Per la storia della teoria


2. La ‘accumulazione’ dai “Grundrisse” al “Capitale”

Nel piano più elaborato dei Grundrisse (schema C), l’esposizione della concorrenza (“particolarità del capitale”) fa parte dello stesso ambito dell’accumulazione. Nel Capitale, concorrenza e accumulazione non fanno parte della stessa trattazione.
Nel piano dei Grundrisse, l’accumulazione si trova, dunque, dopo la circolazione e dopo la trasformazione del capitale in capitale e profitto. Nel Capitale essa si colloca prima sia della circolazione che della trasformazione del capitale in capitale e profitto. Per comprendere lo sviluppo della teoria è necessario dar ragione di questi cambiamenti.
Una fondamentale clausola di astrazione che caratterizza il Capitale in generale, senza capire la quale non si riesce ad intendere affatto l’articolazione della teoria generale del capitale e delle sue problematiche, riguarda il rapporto fra domanda e offerta. Si presuppone qui infatti che tutti gli scambi possibili si verifichino, vale a dire che il problema della realizzazione sia semplicemente messo tra parentesi. Questo è il significato della frase «le merci si scambiano ai loro valori». Lo scopo di questo assunto è studiare la pura dinamica formale della struttura del capitale, anche se in realtà si sa benissimo che prima o poi esso dovrà cadere.
Cominciamo a ripercorrere gli spostamenti e le trasformazioni del concetto di «accumulazione». Già nel piano del ’59 (o del ’61 a seconda delle interpretazioni) troviamo all’interno del “capitale in generale” un IV capitolo dal titolo L’accumulazione originaria con una serie di sottocapitoli dedicati aSurplusprodotto. SurpluscapitaleIl capitale produce il lavoro salariatoL’accumulazione originaria,Concentrazione di capacità lavorativaPlusvalore nelle diverse forme e con diversi mezzi,Popolazione (cfr. schema H). È qui evidente come Marx cominciasse a pensare a una collocazione del concetto di «accumulazione» prima di giungere al rapporto capitale-profitto. Già nei Grundrisse si riscontrava tuttavia una prima esposizione dell’accumulazione subito dopo quella del concetto di «plusvalore relativo», in quanto Marx, seppur indirettamente, studiava qui gli effetti del reimpiego del plusvalore prodotto dal precedente processo di produzione (cfr. Marx (1976-1981, 294 ss.; trad. it. 397 ss.). Una seconda ampia ripresa si ha all’interno del capitolo sulla circolazione del capitale: qui si distingue fra accumulazione capitalistica vera e propria ed accumulazione originaria (Marx 1976-1981, 367 ss.; trad. it. 79 ss.) e fra Pluscapitale I e Pluscapitale II (Marx 1976-1981, 365 ss.; trad. it. 76 ss.). Tutto ciò era stato preceduto da una prima formulazione della legge della popolazione (Marx 1976-1981, 306 ss.; trad. it. 414 ss.). Si tratta chiaramente del contesto teorico della futura settima sezione del I libro sulla «accumulazione». Se, in base al piano di allora, tutto ciò avrebbe dovuto essere trattato più in avanti, nella particolarità (cfr. schema C) l’esposizione concettuale, ovvero lo sviluppo coerente della teoria in base alla sua logica intrinseca, mostrava a Marx il carattere preliminare dell’accumulazione per teorizzare il passaggio a “capitale e profitto”: Marx capisce qui che senza l’accumulazione non si può avere il presupposto/posto.
Quanto anticipato in questo manoscritto, viene ripreso nell’ultima parte del Manoscritto 1861/63(Marx 1976-80, 2243 ss.). Qui si ha per la prima volta la trattazione combinata dell’accumulazione del singolo capitale con la riproduzione sociale complessiva; essa la segue direttamente senza la circolazione in mezzo. Questo passaggio è decisivo, perché impone una nuova articolazione del rapporto «uno-molti»; la riproduzione sociale complessiva implica una pluralità di capitali prima che si possa porre il rapporto capitale/profitto, prima che i presupposti siano posti. Ciò impone di ripensare la struttura del Capitale in generale come mero uno/tutto, prima della sua articolazione in molti particolari. I molti paiono stare già dentro l’uno/tutto (“capitale in generale”). Procediamo con ordine.
La struttura che riscontriamo nel Capitale (l’opera) rappresenta la soluzione finale di questa serie di ripensamenti. Qui Marx giunge alla conclusione che non basta pensare la semplice produzione del capitale e riproduzione del singolo capitale (il genus uno e tutto al tempo stesso), come pareva inizialmente, ma anche le condizioni della riproduzione dei molti. Si tratta di esporre le forme della continuità di questo processo di produzione del valore d’uso tramite il valore e del valore tramite il valore d’uso (la contraddizione immanente alla merce). La produzione non può essere altro che un processo che si ripete di continuo, quindi riproduzione (Marx 1991, 506; trad. it. 621; Marx 1976-80, 2243)[6].
Marx inizia studiando le determinazioni formali che si sviluppano nella semplice ripetizione del processo sulla stessa scala (il plusvalore realizzato dal capitale viene consumato integralmente come reddito dal capitalista, non viene reinvestito). Da questa semplice analisi emergono due punti fondamentali per la logica del processo: 1) nel giro di un certo periodo il capitale è interamente costituito da plusvalore accumulato (cfr. Marx 1991, 509-510; trad. it. 624-625)[7]; b) la separazione della forza-lavoro e delle condizioni oggettive del processo lavorativo, condizione di partenza non posta dal modo di produzione capitalistico stesso nel suo inizio ideale, è adesso prodotta dal sistema stesso. Non solo si realizza “prodotto”, non solo si realizza “merce”, ma si produce “capitale”, ovvero il rapporto di produzione capitalistico stesso: capitale vs. lavoro salariato (cfr. Marx 1991, 510 ss.; trad. it. 625 ss.)[8]. Il lavoratore appartiene al capitale ancora prima che egli abbia venduto la forza-lavoro.
La “scala allargata” prevede che parte del plusvalore prodotto venga trasformata in nuovo capitale; ciò viene chiamato «accumulazione». Il plusvalore esiste da principio come valore di una parte determinata di prodotto lordo, appena trasformato in denaro è indistinguibile da altro valore in forma di denaro. Perché però possa essere trasformato in capitale è richiesto che sul mercato siano disponibili gli elementi materiali necessari (Marx 1991, 520; trad. it. 637)[9]. Oltre agli elementi materiali è tuttavia necessaria la disponibilità di nuova forza-lavoro; vedremo come anche questa condizione venga posta dal capitale stesso. Il processo di produzione pone tutte queste condizioni con modalità che non è qui possibile ripercorrere in dettaglio. Con ciò il capitale sembrerebbe presupposto/posto: tutto ciò che gli era presupposto adesso è suo risultato. In realtà, per adesso, si è fatta astrazione non solo dai problemi di realizzazione, ma anche dalla relazione con gli “altri” attori della riproduzione sociale. Questa appare qui però una questione diversa e anteriore a quella della realizzazione: il capitale in realtà non è ancora posto, perché neppure le condizioni astratte della sua sussistenza lo sono. Gli “altri” con cui il singolo capitale entra in relazione non sono infatti stati ancora inclusi nella trattazione ed essi sono essenziali alla riproduzione del singolo che finora si è considerato.


3. Il rapporto capitale/capitali ed i suoi livelli di astrazione

Chi sono gli «altri» e perché non possono non esserci? Ci sono due argomenti fondamentali:
 
    a) siamo nel mondo della produzione di “merci”, la cellula economica del capitale (la forma che il prodotto assume in questo specifico modo di produzione). Ciò implica produttori autonomi e indipendenti (la molteplicità la abbiamo quindi fin dall’inizio, è la condizione della società mercantile). Anche se essi non fossero capitalisti, tenderanno a diventarlo per la dinamica dell’accumulazione: 1. il modo di produzione capitalistico si allarga a più sfere; 2. crea nuove sfere di produzione; 3. man mano che esso si allarga si passa dalla sussunzione formale a quella reale; 4. in ogni sfera della produzione la creazione di capitale procede da diversi punti della superficie della società. Sono i possessori di merce e di denaro, diversi e indipendenti l’uno dall’altro, che trasformano questo denaro in capitale attraverso lo scambio con la capacità di lavorare, e così ritrasformano il plusvalore in capitale, cioè accumulano capitale. Ha luogo così la creazione di diversi capitali: il numero dei capitalisti e dei capitali autonomi aumenta;

    b) in secondo luogo si ricordi che se la produzione avviene tutta in forma capitalistica ciò non significa che avvenga tutta ad opera di un solo capitale, anzi proprio ciò è impossibile, sempre per il carattere fondamentale della categoria «merce», che implica produttori autonomi e indipendenti. Questo rapporto capitale/capitali è esplicitamente riportato da Marx alla dinamica uno/molti ed alle categorie di «attrazione» e «repulsione» evidentemente reminiscenti della logica hegeliana dell’essere (cfr. Marx 1976-1981, 353 ss.; trad. it. 59-60)[10].

I molti sono quindi necessari alla teorizzazione della riproduzione del singolo. La loro interazione può essere formalizzata prima di entrare nel mondo della concorrenza, ovvero studiando le pure proporzionalità formali e materiali per cui la loro produzione e riproduzione può avvenire. In sostanza, prima di capitale e profitto. Senza questa parte della teoria, il capitale non può ancora porre i propri presupposti in maniera adeguata e completa. Di conseguenza, l’accumulazione non solo è collocata adesso prima del profitto, ma si scinde in due parti: (I) quella del singolo capitale nel primo libro, (II) quella della società nel suo complesso alla fine del secondo.
Si è detto più volte che Marx aveva inizialmente previsto l’esposizione del capitolo sull’accumulazione solo dopo la trattazione della circolazione e della trasformazione del plusvalore in profitto; in quel piano essa si trovava al di fuori della dimensione “generale/universale” del capitale; essa già riguardava la “particolarità”. L’esposizione della particolarità prevedeva che l’accumulazione fosse seguita proprio dalla concorrenza e dalla centralizzazione (ancora chiamata “concentrazione di capitali”)[11]. I nessi logici tuttavia cambiano evidentemente se l’accumulazione precede il profitto e se si scinde l’esposizione di essa in due parti, una che precede la circolazione (Accumulazione I) ed una che la segue (Accumulazione II) (cfr. Marx 1976-81, 326; trad. it. 17 ss.).
Alla luce di questi due aspetti risulta che il processo complessivo di produzione e circolazione del capitale è conditio sine qua non perché l’accumulazione come tale possa avvenire in forma propriamente capitalistica. Questo non è in contraddizione con la nozione di «generalità»: con l’Accumulazione I si ha il processo di capitale che si muove partendo da se stesso ed al contempo il suo porsi come particolare; in realtà, perché ciò possa avvenire, fin dall’inizio il capitale deve mediarsi con altri soggetti della produzione a cui si trova accanto (si producono merci!) e che tendenzialmente diventano anch’essi capitale: tutti sono momento costitutivo di una totalità (tutti sono fine a sé nella misura in cui costituiscono il mezzi di valorizzazione per un altro) (cfr. Marx 1963, 353; trad. it. 370). La totalità del concetto di «generalità del capitale» presuppone quindi questo movimento complessivo, inclusa l’esposizione pura delle interdipendenze quantitative materiali dei capitali (cfr. Marx 1963, 393; trad. it. 413). La concorrenza realizza la tendenza immanente al capitale, non la crea; il contenuto del suo movimento consiste a questo punto nelle forme pure della riproduzione sociale complessiva. I molti capitali perciò, nel loro puro nesso formale/materiale, si collocano all’interno del capitale in generale, perché senza di essi non è possibile pensare l’accumulazione e quindi il divenire se stesso del capitale come totalità (considerando cioè tutta la riproduzione sociale in forma capitalistica).
Del carattere preliminare della Accumulazione II Marx diviene perfettamente consapevole nelManoscritto 1861/63, dove afferma:
 
Qui inoltre va notato che noi dobbiamo esporre il processo di circolazione o il processo di riproduzione prima di aver esposto il capitale finito – capitale e profitto –, perché abbiamo da esporre non solo come il capitale produce, ma come il capitale viene prodotto. Il movimento reale, però, parte dal capitale esistente – il movimento reale vale a dire, quello in base alla produzione capitalistica sviluppata, che comincia da se stessa, che presuppone se stessa. (Marx 1976-80, 1134; trad. it. 561)
Pur tralasciando la questione della ridefinizione del piano complessivo della teoria del capitale, si è tuttavia visto come ciò in realtà lo renda più coerente, più strutturato, proprio in virtù di una migliore articolazione del concetto di «accumulazione». L’esposizione continuerebbe nell’ulteriore livello di astrazione della teoria, la Singolarità, o Credito e capitale fittizio, dove all’accumulazione reale, già inquadrata in una dinamica, abbozzata, della teoria del ciclo, si ha in parallelo la dinamica dell’accumulazione fittizia. Di questo non ci si potrà qui occupare per ovvi motivi di spazio.


4. L’accumulazione nel primo libro del “Capitale”

Per attenerci alla parte dell’accumulazione che, nella struttura finale, resta di pertinenza del primo libro del Capitale, si hanno delle nuove modifiche di rilievo, in particolare tra la seconda edizione tedesca e quella francese. Nella prima edizione tedesca del 1867, numerosi erano i limiti espositivi o, almeno, le parti che Marx non avrebbe successivamente considerato adeguatamente sviluppate: a partire dal primo capitolo per giungere appunto alla teoria dell’accumulazione.
In un manoscritto preparatorio alla seconda edizione tedesca, egli sviluppò soprattutto le modifiche relative ai primi tre capitoli ed al primo in modo particolare[12]. La parte successiva non subisce però modifiche sostanziali. Ciò avverrà con l’edizione francese, che proprio per questa ragione sarà indicata da Marx come un’edizione dal valore indipendente. Essa vede delle modifiche anche nella divisione generale dell’opera ed esse riguardano in particolar modo la sezione dell’accumulazione. Tutta una serie di categorie fondamentali di questa parte compaiono per la prima volta solo qui.
Che Marx non abbia fatto in tempo a dare alle stampe una terza edizione tedesca rivista ha fatto sì che si creassero tutta una serie di malintesi che ancora gravano sulla ricezione. Infatti, il valore attribuito all’edizione francese da Marx stesso ha spinto alcuni a ritenere questo testo l’ultimo di Marx. Ciò non è però sostenibile, soprattutto a causa della assai deficitaria traduzione, che, nel senso corrente del termine, è difficile definire scientifica. Tuttavia, per varie parti, il contenuto è teoreticamente superiore. Se, quindi, da un lato non ha senso prendere la francese come ultima edizione marxiana, non ha neppure senso, anzi ne ha meno, considerare tale la seconda edizione tedesca, dove tutta una serie di categorie mancano proprio. Engels, nell’approntare prima la terza e poi la quarta edizione tedesca, ha tenuto conto solo in parte di varie indicazioni marxiane lasciate nelle sue copie personali ed in altri manoscritti contenenti una lista di passi da modificare con le relative pagine dell’edizione francese. Insomma, la soluzione è confrontare le varie edizioni tenendo presente questo retroterra[13]. È quanto si cercherà di fare qui in particolare per quanto riguarda l’accumulazione.
Le modifiche più importanti che concernono l’accumulazione sono le seguenti:

  • L’inserimento del concetto di «composizione organica del capitale»

  • La distinzione tra concentrazione e centralizzazione del capitale.

  • La suddivisione del capitolo.

Iniziamo dal primo. Esso è notoriamente articolato in due parti: da un lato la composizione di valore del capitale, vale a dire il rapporto in cui il capitale viene investito in capitale costante e capitale variabile, il valore dei mezzi di produzione ed il valore della forza-lavoro. Dall’altro la composizione tecnica, vale a dire dal lato della materialità del processo di produzione, la suddivisione in mezzi di produzione e forza-lavoro nel processo lavorativo, fra la massa dei mezzi di produzione e la massa della forza-lavoro. La complessa dinamica della due composizioni è cruciale sia nel calcolo del saggio del plusvalore (e quindi del profitto poi), sia nella comprensione di come il ricambio materiale organico possa avvenire (o bloccarsi) nella forma specificamente capitalistica della valorizzazione. Esso non compariva nella seconda edizione tedesca ed è una novità della francese (Marx 1989a, 534; trad. it. 1281), aggiunto da Engels nella terza edizione tedesca, mantenuta nella quarta (Marx 1989b, 574; trad. it. 679).
In questo contesto, Marx ribadisce che però si considera solo la media ideale, quindi due cose rimangono fuori, 1) i molti, 2) la loro «libera» interazione. I molti senza libera interazione saranno analizzati in quella che nell’edizione engelsiana sarà la terza sezione del secondo libro, i molti in libera interazione saranno analizzati a partire dal capitolo decimo del terzo libro (sempre nell’edizione engelsiana)[14]. Questo sarà cruciale per varie questioni, come ad esempio quella della “trasformazione” o della caduta tendenziale del saggio di profitto di cui qui non ci si potrà occupare.
L’altro cambiamento di rilievo, documentabile sistematicamente dalla seconda edizione tedesca a quella francese, è la distinzione fra concentrazione e centralizzazione. Il secondo termine è introdotto a partire dall’edizione francese ed indica l’assorbimento competitivo e/o l’unione volontaria di più capitali. Questo modifica chiaramente la dinamica di accumulazione potenziando il singolo capitale in maniera istantanea rispetto al necessariamente più lento processo di concentrazione, ovvero di mera accumulazione. Anche questo in qualche modo anticipa la futura analisi della «concorrenza», dove questi processi avranno effettivamente luogo. Qui se ne pongono le condizioni di pensabilità, si definisce la categoria senza che però se ne sviluppi la dinamica specifica («libera concorrenza») (Marx 1989a, 546; trad. it. 1286 e 1989b, 588; trad. it. 692).
La terza questione è relativa al cambiamento della struttura. Ora l’accumulazione originaria è distinta da quella capitalistica vera e propria e posta in una sezione a parte, l’ottava. Poiché Engels non seguì questo cambiamento, pur indicato nei manoscritti lasciati di Marx, ai lettori tedeschi e a tutti coloro che hanno letto traduzioni dal tedesco era necessariamente sfuggito questo decisivo passaggio. Qui, esplicitamente Marx distingue separa la “storia” fattuale della formazione dei presupposti esogeni del modo di produzione capitalistico in una parte del mondo storicamente e geograficamente determinata, dalla storicità specifica del modo di produzione capitalistico, della sua logica intrinseca immanente che alla fattualità storica non può né deve corrispondere (Marx 1989a, 631 ss.; trad. it. 1303 e 1989b, 667; trad. it. 787). Egli dimostra come la ricostruzione teorica abbia solo una relazione mediata, non immediatamente corrispondente, alla fattualità storica e alla contingenza. La distinzione fra logico e storico ha qui chiaramente un riconoscimento ufficiale, purtroppo depotenziato nella ricezione per il fatto che Engels non tenne conto di questo importante cambiamento[15].


5. … e la storia continuerebbe

Per i limiti posti a questo saggio (I libro del Capitale), non si entrerà né nella più complessa articolazione degli schemi generali della riproduzione sociale complessiva, né nell’indagine più sviluppata del concetto di «accumulazione» che si ha una volta che si abbandoni la rarefatta sfera dell’Universalità. Questo livello di maggiore complessità ridefinisce la struttura generale finora indicata inserendo una serie di variabili molto complesse. La teoria del ciclo per es. include i problemi di realizzazione (o mancata realizzazione) di quanto prodotto, quindi lascia cadere la clausola di astrazione per cui domanda ed offerta automaticamente combaciano. La teoria dell’accumulazione in questo contesto non può eludere la questione cruciale della crisi. Il discorso si fa poi ancora più complicato quando, con il “credito e capitale azionario”, l’accumulazione si sdoppia in reale e fittizia. L’apparente indipendenza, e la dipendenza di fatto, di questi due cicli è ciò di cui Marx iniziò a occuparsi nella parte finale del Manoscritto 1864/65[16] esponendo il livello di astrazione più basso della teoria generale del capitale[17].
Nel modo di produzione capitalistico l’accumulazione si configura come valorizzazione del capitale. Ricostruire il nesso contenuto materiale/forma sociale a tutti i livelli di astrazione attraverso cui quel nesso si sviluppa è un’operazione che Marx ha fondato ma non portato a termine. A noi procedere su questa strada.



Note

[1] Per un’analisi più rigorosa di questi temi, mi permetto di rimandare a Fineschi (2001 e 2006). In queste sedi ci si riferisce ampiamente alle fonti marxiane ed alla letteratura secondaria, cosa che qui, per motivi di spazio, non sarà possibile fare.
[2] Per questo rimando al dibattito sviluppatori intorno alla nuova edizione storica-critica delle opere di Marx ed Engels, la seconda Marx-Engels-Gesamausgabe. Su di essa e sulle ricerche afferenti, mi permetto di rimandare a Fineschi (2008). Occuparsi oggi di Marx senza tener conto della MEGAavrebbe poco senso.
[3] Il rimando è qui al dibattito sulla “riduzione della dialettica” e al dibattito fra Reichelt (1973), Backhaus (1997), Göhler (1980) e altri. Anche su questo rimando alla ricognizione che se ne è fatta in Fineschi (2008). La tesi di fondo che sostengo è che in realtà la struttura della teoria marxiana del modo di produzione capitalistico diviene dialetticamente più solida nelle opere più mature, per quanto venga ridotta la terminologia hegeliana.
[4] Il tema del “capitale in generale”, del suo mantenimento o abbandono, è stato al centro di un ampio dibattito che qui non è possibile ripercorrere. Se ne veda una rassegna parziale in Fineschi (2001, appendice cap. 4). Per posizioni successive, anche divergenti rispetto a quella qui ricostruita, si veda fra gli altri, in questo volume, il saggio di M. Heinrich.
[5] «Capitoli introduttivi» traduce «Vorchapters», termine inventato da Marx unendo la preposizione tedesca «vor», che significa «prima» o «davanti», e l’inglese «chapter», «capitolo».
[6] Il concetto di «riproduzione» di per sé non è proprio di un solo modello della produzione sociale: esso è comune a tutte le forme della produzione umana, in quanto sempre si dovrà produrre ciò che è necessario alla sopravvivenza della società stessa ed eventualmente al suo ulteriore sviluppo cfr. Marx (1991, 506; trad. it. 621). Questo elemento “extrastorico”, tuttavia, non ci dice nulla sul funzionamento specifico di ciascun modello della riproduzione sociale; quindi, la modalità determinata in cui la riproduzione avviene all’interno del modo di produzione capitalistico può essere individuata e studiata solo alla luce delle categorie storicamente specifiche (cfr. Marx 1991, 506; trad. it. 621).
[7] Concetto già espresso nel contesto dell’accumulazione nel Manoscritto 1861/63, II/3.6, 2219 ss.
[8] Cfr. anche Marx (1991, 518; trad. it. 634). I nessi concettuali di questa esposizione si trovano già chiaramente espressi in questo contesto nel Manoscritto 1861/63 (Marx (1976-1980, 2223 e, soprattutto, 2236).
[9] Concetto ripreso nuovamente dal Manoscritto 1861/63 (Marx 1976-80, 2237).
[10] La produzione complessiva deve avvenire in rapporti fissi determinati; data però l’autonomia delle branche ciò avviene mediatamente nello scambio e quindi rende possibile che ci si sposti dal rapporto effettivo; ciò viene rimesso a posto violentemente dalla crisi.
[11] Cfr. Hecker, Jungnickel, Vollgraf (1989) per l’analisi delle fasi che portano alla precisa definizione dei concetti di «concentrazione» e «centralizzazione».
[12] Si tratta del Manoscritto 1871-1872, recentemente tradotto in italiano nella nuova edizione del I libro del Capitale a mia cura (Marx 2011).
[13] Tutte queste varianti e la complessa stratificazione del testo può essere seguita nella menzionata nuova edizione del I libro. Vedi nota precedente.
[14] Per ovvi motivi di spazio, non è qui possibile entrare nella complessa analisi del rapporto fra i manoscritti di Marx e le relative versioni engelsiane del secondo e terzo libro del Capitale. Per una panoramica si veda Bellofiore, Fineschi (2009). In italiano Fineschi (2001; 2008 e 2013).
[15] Anche su questa complessa serie di problematiche non è qui possibile dire di più. Di nuovo rimando al dibattito riassunto in Fineschi (2008). Si veda poi in particolare il classico Mazzone (1987) per una dimostrazione più rigorosa del concetto di «storicità».
[16] Cfr. Marx (1992). Si tratta del manoscritto principale, lavorando sul quale Engels dette alle stampe il terzo libro del Capitale.
[17] Per un primo tentativo di procedere in questa direzione, mi permetto ancora di rimandare a Fineschi (2008, capp. 6-8).



Bibliografia

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Fineschi, R. (2013), Introduzione a MEGA2, in Mazzone, A. (a cura di), Marx ritrovato, Roma: Mediaprint.
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