Sunday, 8 May 2022

Letture.org. Intervista a R. Fineschi su “La logica del capitale. Ripartire da Marx”


“La logica del capitale. Ripartire da Marx” di Roberto Fineschi


Prof. Roberto Fineschi, Lei è autore del libro La logica del capitale. Ripartire da Marx edito dall’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici: quali condizioni consentono oggi una nuova lettura dell’opera di Karl Marx?

Le condizioni sostanziali sono due. La prima è di carattere scientifico: la nuova edizione storico-critica delle opere di Marx ed Engels (la seconda Marx-Engels-Gesamtausgabe, MEGA2) sta mettendo a disposizione per la prima volta nella storia della ricezione marxiana una serie di testi fondamentali prima inaccessibili. Essi hanno cambiato la faccia di alcune delle opere fondamentali di Marx come i cosiddetti Manoscritti economico-filosofici del ‘44, L’ideologia tedesca e, soprattutto, Il capitale. Il Marx che possiamo leggere oggi non è quello che è stato letto fino ad oggi.
La seconda è di carattere storico-politico. Senza esprimere sommari giudizi sulla storia novecentesca, è un dato di fatto che qualunque movimento politico organizzato ha bisogno di una dottrina certa e immutabile su cui basare la propria azione. Il marxismo inevitabilmente aveva ingessato il pensiero di Marx. L’ortodossia sovietica aveva poi finito per influenzare anche le posizioni anti-sovietiche o eclettiche. Al di là della valutazione che si voglia dare di queste esperienze (e sarebbe insensato liquidarle con sufficienza), è evidente che il venir meno di questo contesto nel suo complesso ha senz’altro permesso un più libero approccio al testo di Marx.

Quali nuove interpretazioni un’analisi filologicamente rigorosa della teoria marxiana?

In primo luogo non bisogna cadere nell’ingenuità di cancellare le interpretazioni passate semplicemente perché non avevano tutti i testi a disposizione. Si tratta di un complesso e stratificato dibattito secolare che ha prodotto risultati importanti e, date certe premesse, credo anche definitivi. Lo stesso testo di Marx, soprattutto per il suo carattere incompiuto, permette sicuramente anche letture multiple che possono trovare appigli importanti nel testo. Detto questo, credo che, grazie ai testi ora disponibili, sia possibile un tentativo di ricostruzione più filologico di ciò che Marx ci ha lasciato. Una testualità più precisa a mio parere permette di considerare alcune delle interpretazioni storiche, anche quelle sviluppate fino alle estreme conseguente, come in sé coerenti, ma forse meno corrispondenti alle intenzioni marxiane.

Gli esempi sarebbero molti e per questo ne sceglierò solo uno ma significativo: la teoria del valore-lavoro e il problema della trasformazione. L’impostazione tradizionale, che ha tenuto banco fino agli anni ‘70 quando si è sostanzialmente conclusa, per semplificare, con i contributi di Sraffa e Steedman, si basa su parti esigue del testo marxiano: i primi due paragrafi del primo capitolo del primo libro e il nono capitolo del terzo libro. Alla luce di essi, quel dibattito è sicuramente valido ed è giunto a conclusioni nella sostanza definitive. Una lettura di quei testi nel più ampio contesto in cui sono inseriti mostra invece, a mio parere, che tale interpretazione regge solo limitando fortemente l’impianto complessivo della teoria. In primo luogo la stessa espressione fondamentale “valore-lavoro” è semplicemente assente nei testi marxiani (l’ha inventata Böhm-Bawerk… paradossi della ricezione); in secondo luogo Marx parla espressamente di merce e denaro, solo all’interno della cui esposizione si danno sostanza, grandezza e, soprattutto, forma di valore. Non c’è dubbio filologico possibile che proprio quest’ultima categoria sia quella cui Marx dà assoluta preminenza ed essa addirittura scompare nel dibattito tradizionale. Nuovi testi pubblicati per la prima volta nella MEGA confermano ulteriormente questa preminenza. Anche per quanto riguarda il terzo libro, che in realtà è un torso largamente incompleto scritto negli anni ‘60 e quindi sicuramente meno elaborato del primo libro, si ignora completamente il capitolo decimo (secondo la numerazione dell’edizione engelsiana) in cui Marx introduce una nuova categoria fondamentale che è quella di valore di mercato che tiene conto dei problemi di realizzazione delle merci prodotte. Essa è pure scomparsa nell’interpretazione tradizionale. Parlando di merce e denaro da una parte, di valore di mercato dall’altra, la questione tradizionale più che una diversa soluzione ha un’impostazione complessiva alternativa.

Più in generale, i manoscritti e la loro stratificazione fanno emergere chiaramente la questione centrale dei livelli di astrazione e della rideterminazione delle categorie in questa articolazione successiva. Il dibattito tradizionale ha trattato parzialmente questa questione parlando di capitale in generale e concorrenza. Anche qui si è perso di vista un ulteriore livello di astrazione che invece emerge chiaramente dai manoscritti, vale a dire credito e capitale fittizio, il tentativo marxiano di impostare la questione dell’accumulazione fittizia in rapporto a quella reale, cioè la finanza e il suo ruolo cruciale nella riproduzione complessiva del capitale.

Che relazione esiste tra Hegel e Marx?

Il tema è quanto mai complesso e storicamente molto stratificato nelle interpretazioni. Anche in questo caso una più precisa testualità, in questo caso anche hegeliana, permette di riprendere le fila del discorso su basi filologicamente più precise. Un limite del dibattito tradizionale è stato, in primo luogo, non mettere quasi mai in dubbio che la lettura marxiana di Hegel fosse ineccepibile. Si può invece mostrare come essa sia fortemente condizionata dal contesto culturale in cui avvenne. Si deve dunque distinguere tra la ricezione marxiana di Hegel e un confronto tra Marx e Hegel su basi critico-filologiche che non necessariamente coincide con il primo. Per es. la centralità che il giovane Marx dà alle categorie “hegeliane” di alienazione ed estraneazione si dimostra eccessiva e alterante rispetto al testo hegeliano. Oppure le critiche di idealismo/spiritualismo rivolte a Hegel sono molto legate alla lettura feuerbachiana, ma forse non corrispondenti alla lettera hegeliana, almeno a giudicare dalle interpretazioni più recenti del filosofo berlinese. In questo contesto, credo che il tratto di continuità più forte ed efficace sia la dialettica; il mio libro è in fondo il tentativo di mostrare come tutta la teoria marxiana del capitale sia strutturata e sviluppata dialetticamente. Proprio la ricostruzione di questa struttura dialettica consente a mio avviso di affrontare diversamente – e prospettare una soluzione a – molte delle questioni rimaste irrisolte nel dibattito tradizionale.


Come si è andata formando la teoria marxiana del modo di produzione capitalistico?

È stato un processo lungo, complesso e… incompiuto. Dell’ambizioso piano complessivo in sei libri (capitale, lavoro salariato, rendita, stato, commercio estero, mercato mondiale), Marx ha realizzato, senza finirlo, il primo mettendoci elementi del secondo e del terzo. La sua stesura è iniziata più concretamente nel 1857/8, biennio di redazione dei cosiddetti Grundrisse, cui sono seguiti altri due “Grundrisse”, vale a dire i Manoscritti del 1861-63 e quelli del 1863-65, usciti per la prima volta integralmente nella MEGA, per poi pubblicare 2 edizioni tedesche (1867, 1872/3) e una francese (1872-5) del primo libro del Capitale e per poi, infine, redigere svariati manoscritti per il secondo e alcuni per il terzo libro (1867-1883). Gli scritti che precedono il 1857 sono di grande importanza per tracciare il percorso di formazione di molte idee fondamentali di Marx, ma bisogna stare attenti a non sopravvalutarli, soprattutto perché sono quasi sempre “contro”, ovvero documentano il processo di comprensione, critica e superamento delle idee attraverso cui Marx si forma, senza però che egli giunga a una formulazione propria, non più solo “critica” ma sistematica e propositiva. Una teoria complessiva non solo del “capitalismo” ma della modernità nel suo complesso, vale a dire non meramente “economica” ma sociale a 360°, inizia solo con il 1857: una teoria della storia, del suo sviluppo, del conflitto, dell’ideologia, ecc. tutto in uno. Tentativo ambizioso effettivamente, ma quello è il livello a cui voleva confrontarsi, la totalità del sistema sociale capitalistico.

In questo contesto è importante distinguere tra modo di produzione capitalistico e capitalismo, o meglio capitalismi, vale a dire tra una teoria generale di un sistema economico-sociale in astratto e i capitalismi esistenti che con essa non coincideranno mai e che prevederanno livelli di complessità ed articolazione che come tali mai saranno identici alla teoria astratta. Insomma, Marx non parla meramente del capitalismo della rivoluzione industriale, ma dei meccanismi di un sistema complesso che, nelle sue linee generali, è tuttora in essere.

Quali questioni solleva la ricostruzione della teoria complessiva del capitale da Lei svolta?

È un libro sicuramente ambizioso, perché va a toccare quasi tutte le questioni tradizionali più scottanti e cerca di reimpostale in maniera alternativa. In questo contesto, mi permetto di ribadirlo ancora una volta, è essenziale la nuova base testuale. Altrimenti, poiché su Marx si è sostanzialmente già detto tutto anche in maniera estremamente documentata e sofisticata, prima o poi si finisce per rigirarsi in discorsi già fatti.

Più concretamente, facendo alcuni esempi, le questioni più rilevanti sono quelle del metodo e dello statuto epistemologico della dialettica (quindi del rapporto con Hegel), del valore e della trasformazione (più correttamente ricollocate nella prospettiva di merce/denaro, valore di mercato), dei livelli di astrazione (quattro e non i due del dibattito tradizionale), del ruolo centrale dell’ultimo di questi (credito e capitale finanziario, scomparso nell’edizione engelsiana), la questione della continuità e discontinuità storica e dei limiti del metodo dialettico (il materialismo storico), dei soggetti storici (lavoro salariato e non solo classe operaia).

A mio modo di vedere, se riletto in quest’ottica, la teoria di Marx non solo ha molto da dire nella comprensione del mondo contemporaneo, ma è addirittura una delle poche che ne spiega le dinamiche di fondo. Gli esempi classici che si fanno sono la cosiddetta globalizzazione, l’aumento della produttività del lavoro, la crisi, il conflitto e molti altri. È paradossale che in occasione della spaventosa crisi degli ultimi due decenni, a fronte di migliaia di cattedre di macroeconomia capillarmente distribuite in tutte le università, non si sia trovato di meglio che rispolverare la teoria della crisi del vecchio Moro. Forse è proprio una strumentazione teorica cui non si può rinunciare.


Il libro non tratta direttamente questioni politiche o storico-politiche. Direi però che pone le premesse per una discussione critica anche di esse, soprattutto nella definizione dei soggetti storici e della dinamica di lungo periodo del modo di produzione capitalistico. È un dato di fatto che, mentre nelle previsioni “economiche” Marx ha sostanzialmente anticipato in maniera corretta gli sviluppi futuri, in quelle politiche si è spesso sbagliato. È un tema complesso che però, inquadrato nella prospettiva dei livelli di astrazione cui sopra accennavo, credo possa trovare una risposta o quanto meno il modo di essere trattato criticamente.

Per concludere direi che questo libro non è un tentativo meramente erudito di riprendere dei temi classici alla luce della filologia per cercare di salvare Marx dalle critiche storiche. Si tratta piuttosto di una ricostruzione che mira a mostrare l’attualità e l’estrema efficacia di quella teoria se intesa in termini secondo me più corretti; ne mostra del resto la incompiutezza e i punti in cui è possibile riprenderla e approfondirla alla luce dei cambiamenti storici successivi.

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