Fonte: La città futura
“Je ne suis pas marxiste”? Ovvero Marx citato a sproposito
La frase sovracitata di Marx si riferiva a Lafargue e ai “collettivisti”, a quel tempo tacciati col termine dispregiativo di “marxisti”, non certo al sistema teorico a cui Marx, insieme a Engels, diede il massimo contributo.
Sempre di nuovo si sente ripetere la celebre affermazione attribuita a Marx che suona “io non sono marxista”. Con essa si intende porre una distanza tra il vecchio Moro e le filiazioni politiche che a lui si richiamano, oggi come ieri. Si tratta però di un uso fuorviante e fuori contesto quindi, nella sostanza, sbagliato; cercherò di spiegarne il perché partendo dai dati.
1) Noi conosciamo la frase grazie a… Engels, sì, proprio colui che secondo alcuni sarebbe addirittura l’inventore del marxismo. La riferisce in una lettera a Bernstein, affermando che Marx l’avrebbe usata con Lafargue per prendere le distanze dal gruppo francese dei “collettivisti” che facevano capo allo stesso Lafargue e Guesde [1].
Dunque la fonte è Engels, il contesto è quello del dibattito francese dei primi anni Ottanta dell’Ottocento.
2) Bisogna avere ben chiaro che in quel momento il senso odierno della parola marxismo non esisteva. Che cosa significava allora? Una cosa ben specifica e, sostanzialmente, dispregiativa. Pare che l’espressione abbia subito lo stesso destino di altre parole poi divenute “normali”, come per esempio “gotico”, “barocco”, cioè di termini nati originariamente con un significato negativo. Già Bakunin aveva introdotto l’uso di “marxiano” e “marxista” in questo senso ai tempi delle polemiche scoppiate in seno alla prima Internazionale. Analogamente, all’interno del dibattito francese all’inizio degli anni Ottanta, il gruppo “vicino” alle posizioni di Marx, attivo intorno al giornale “L’égalité”, veniva etichettato dagli avversari come “marxista”: “la cricca di Marx” per intenderci. Marx stesso menziona questa discussione come un dibattito tra “marxisti” e “anti-marxisti” [2].
Dunque, marxismo era in quel momento un termine denigratorio con cui gli avversari dei collettivisti additavano i loro nemici considerandoli vicini alle posizioni di Marx.
3) Perché il gruppo veniva “apostrofato” così? Semplice, perché Marx ed Engels avevano effettivamente contribuito addirittura alla stesura del programma politico, economico e sociale presentato da quella parte del partito nella sua attività politica. Insomma: era vero. Marx era marxista anche in questo senso ristretto [3].
4) Perché allora Engels e Marx prendono le distanze dal termine? Se evidentemente il gruppo francese era vicino a Marx, certo non rappresentava le sue idee e la sua teoria in maniera completa o adeguata. Con quel termine infatti non si intendeva una visione del mondo complessiva, ma semplicemente un orientamento e una ispirazione alla quale Marx non si sentiva di associare addirittura il proprio nome, in particolare perché essa aveva assunto la forma di una guerra intestina locale, di beghe particolaristiche, in cui del resto il nome aveva connotazione denigratoria.
Per concludere: ammesso che sia stata effettivamente pronunciata, la frase di Marx significa semplicemente che egli, per quanto effettivamente fosse loro vicino e avesse direttamente influenzato le loro idee e i loro programmi, non voleva che il gruppo francese di Guesde e Lagargue, sempre più localistico, fosse identificato con un epiteto (denigratorio) ispirato al suo nome. Questo in sintesi il significato della frase.
Come nasce un senso positivo del termine? Solo dopo la morte di Marx, Engels finì con scarsa convinzione per accettare l’uso dell’espressione in senso positivo avallando l’organizzazione di un “congresso di marxisti” in cui cercava di riunire tutti coloro che, tra i vari gruppi socialisti e comunisti, riteneva più fedeli al pensiero di Marx, proprio per contrastare quelle forze centrifughe e settarie che reputava fossero emerse nei vari schieramenti in vari paesi. Qui il termine cambia decisamente di significato e va a indicare una concezione più generale del mondo basata sul “socialismo scientifico”, alla costruzione della quale Engels evidentemente mirava consapevolmente, come è del resto dimostrato dalla sua instancabile attività negli ultimi anni di vita. Chi comunque spinse più drasticamente, rompendo con le reticenze engelsiane, verso un uso positivo del termine come elemento identificativo di uno schieramento fu sicuramente Kautsky. Al di là delle origini contingenti, è dunque quest’ultimo, ancor più di Engels, che ha incoraggiato l’utilizzo della categoria marxismo nei termini comunemente intesi [4].
Se, in termini estremamente generali, chiamiamo “marxismo” un movimento basato sulla teoria di Marx che abbia l’intento di costruire un’organizzazione internazionale dei lavoratori capace di trasformare la società presente - e che quindi questi lavoratori maturino una consapevolezza del proprio ruolo storico -, Marx era decisamente marxista. La sua vita intera di attivista politico lo dimostra senza ombra di dubbio. Che si voglia chiamare questa prassi politica marxismo o in qualunque altro modo non cambia il contenuto. Non solo: il tentativo di realizzare questo progetto era già stato intrapreso da lui stesso, insieme a Engels, nel corso della sua vita. Pensare che Marx non approvasse l’Anti-Dühring (al quale tra l’altro ha contribuito), non conoscesse e approvasse i libercoli engelsiani sul passaggio del socialismo dall’utopia alla scienza, ecc. pare onestamente anti-storico.
Marx e il marxismo, anzi i marxismi, non sono la stessa cosa, questo è quasi una ovvietà. Ma non è vero che non siano reciprocamente connessi; il vero tema è, a mio avviso, la ricostruzione di sviluppi, mediazioni, ma anche distanze o contraddizioni tra la galassia dei marxismi storici e la teoria del capitale del vecchio Moro; non certo immaginare un Marx lontano o addirittura sarcastico rispetto alla prospettiva di un’azione politica organizzata connessa alla sua teoria.
Note:
[1] Lettera di Engels a Bernstein del 2/3 novembre 1882: “Ora, ciò che in Francia va sotto il nome di «marxismo» è in effetti un prodotto del tutto particolare, tanto che una volta Marx ha detto a Laf[argue]: «ce qu’il a de certain c’est que moi, je ne suis pas marxiste» [quel che è certo è che io non sono marxista]” (K. Marx, F. Engels, Lettere 1880-1883 (Marzo), Milano, Edizioni Lotta Comunista, 2008, p. 279). La frase di Marx è riportata in francese nell’originale.
[2] Lettera di Marx a Engels del 30 settembre 1882, in K. Marx, F. Engels, Lettere, cit. p. 266.
[3] Cfr. nota 43 in K. Marx, F. Engels, Werke, Band 35: Briefe Januar 1881 - März 1883, Berlin, Dietz, 1985, pp. 505 s.
[4] Per una ricostruzione complessiva si vedano i classici G. Haupt, Marx e il Marxismo, in Storia del Marxismo Einaudi, vol. 1: Il marxismo ai tempi di Marx, Torino, Einaudi, 1978, pp. 292-314 e M. Manale in “Economie et société”, Aux origines du concept de «marxisme», Octobre 1974, pp. 1397-1430; La constitution du «Marxisme», Avril-Mai 1976, pp. 813-839; L’édification d’une doctrine marxiste, Janvier-Février 1978, pp. 163-215.
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