Sunday, 12 January 2020

Roberto Fineschi. Orientamenti politici e materialismo storico - La Città Futura

Orientamenti politici e materialismo storico - La Città Futura: Il nesso fra il livello strutturale e quello sovrastrutturale non è immediato. È un errore accettarne l’identità immediata e pensare che lottando contro uno dei due lati, immediatamente si lotti anche contro l’altro. Chiarito ciò è possibile comprendere il carattere non rivoluzionario o addirittura...



Orientamenti politici e materialismo storico

Il nesso fra il livello strutturale e quello sovrastrutturale non è immediato. È un errore accettarne l’identità immediata e pensare che lottando contro uno dei due lati, immediatamente si lotti anche contro l’altro. Chiarito ciò è possibile comprendere il carattere non rivoluzionario o addirittura reazionario di alcuni movimenti politici attuali.


Orientamenti politici e materialismo storico


Il seguente articoletto mira a esporre in termini inevitabilmente schematici ma spero chiari e orientativi alcuni posizionamenti politici a livello sia strutturale che sovrastrutturale [1]. Ciò permette di descrivere almeno a grandi linee fenomeni in atto. Gli schieramenti politici indicati riflettono orientamenti individuali che non immediatamente corrispondono a partecipazione attiva a un partito, ma a un modo di vedere. Tutte le mediazioni vanno ovviamente svolte per fornire un’analisi più adeguata. Qui, schematicamente, si pongono delle basi per procedere in questo senso.


Nella tabella che segue, nelle colonne si considerano cinque questioni di fondo, 3 a livello strutturale, 2 a livello sovrastrutturale. Per il livello strutturale: A1) essere favorevoli o meno al (per adesso non meglio specificato) capitalismo, A2) essere favorevoli o meno a una sua regolamentazione che includa l’intervento diretto dello Stato (o altra istituzione per lui) nella gestione della riproduzione sociale, ma senza uscire dal contesto capitalistico. Come accessoria, si aggiunge una terza posizione A3), vale a dire essere o meno favorevoli alla presenza dello stato sociale (o in subordine di soli ammortizzatori sociali). A livello sovrastrutturale tutto è ridotto a due nozioni base: B1) essere favorevoli o meno all’universalità del concetto di persona, B2) essere favorevoli o meno alle istituzioni rappresentative parlamentari e alla divisione dei poteri classica borghese. Nelle righe invece si hanno 10 posizionamenti politico-ideologici possibili (numerati progressivamente da 1 a 10). Negli incroci tra righe e colonne, la “V” sta per “sì”, la “X” sta per “no”.






A1
A2
A3
B1
B2

Capitalismo
Intervento statale diretto
Stato sociale
Personalità universale
Istituzioni rappresentative
1. Destra liberale
V
X
X
V
V
2. Liberali moderati progressisti

V

X
V- (Con “-” = solo ammortizzatori sociali).

V

V

3. Liberali moderati conservatori [2]

V

X
V- (Con “-” = solo ammortizzatori sociali).
V- (Con “-” = con difficoltà a estendere alcuni diritti a determinate categorie).

V
4. Socialdemocrazia progressista

V

V

V

V

V
5. Socialdemocrazia moderata/conservatrice

V

V

V
V- (Con “-” con difficoltà a estendere alcuni diritti a determinate categorie).

V
6. Fascismo liberista
V
X
V
X
X
6*. Variante populista meno violenta/autoritaria/militare

V

X

V

X
V- (Con “-”, con forte sbilanciamento sull’esecutivo).

7. Fascismo protezionista

V
X- (Con “-” solo protezionismo doganale con l’estero).

V

X

X
7*. Variante populista meno violenta/autoritaria/militare

V
X- (Con “-” solo protezionismo doganale con l’estero).

V

X

V
8. Fascismo corporativo
V
V
V
X
X
8*. Variante populista meno violenta/autoritaria/militare

V

V

V

X

V
9. Anarchici, movimentisti
X
X
V
V
X
10. Comunisti (in contesto capitalistico)

X

V

V

V

V



Molti equivoci apparentemente sorprendenti nascono da un errore fondamentale: accettare l’identità immediata di struttura e sovrastruttura, quindi pensare che essere contro uno dei lati A (struttura) o B (sovrastruttura) immediatamente significhi essere contro il sistema che produce la relazione determinata A/B. O credere che lottando contro uno dei due lati, immediatamente si lotterebbe anche contro l’altro. Invece la loro è una identità mediata.


Mediato significa che la sovrastruttura (B) si è certo prodotta e si è determinata grazie all’affermarsi del modo di produzione capitalistico, sono quindi A e B parte della processualità storica del modo di produzione capitalistico, ma tanto A quanto B possono configurarsi in diverse maniere tutte possibili in diverse fasi di sviluppo dei capitalismi storici. Pensare le mediazioni è la chiave. I cortocircuiti pratici e ideologici nascono dall’intendere l’identità capitalismo=diritti universali dell’uomo/istituzioni rappresentative in una piatta maniera intellettualistica. Se si confronta la tabella si vede come struttura (A) e sovrastruttura (B) abbiano invece diverse corrispondenze possibili che possono unire posizioni apparentemente tra sé opposte. Se invece si prende l’identità piattamente possono succedere cose curiose, ma in realtà perfettamente conseguenti:


1) Abbracciare la personalità universale (B1) ed essere in questo antifascisti. Ciò tuttavia non significa necessariamente essere contro la struttura A1 da cui il fascismo viene prodotto, ovvero il capitalismo crepuscolare [3]. Non significa necessariamente neanche essere socialdemocratici o “di sinistra”. Infatti B1 mette insieme comunisti, liberali puri, liberali morbidi, cattolici progressisti o moderati che siano, ecc. Ovviamente tutti costoro non saranno più d’accordo quando si tratterà di modificare la struttura, oppure di andare fino alla fine dei diritti personali estendendoli a categorie “controverse”; oppure quando si tratterà di parlare delle istituzioni che devono gestire il processo sociale. B1 puro è un fronte largo che si unisce solo a livello sovrastrutturale a seconda dei periodi e dei momenti. Può abbracciare da 1-5 a 9-10. Esso si sfalda non appena si passa a una fase propositiva. È il grande mondo dei girotondi, del popolo viola, delle sardine ecc. Considerazioni analoghe si possono applicare ad altri temi trasversali come quello ecologista. Idem per vegani, specisti e via dicendo. Si tratta di questioni che finché restano sul piano astratto dei diritti e non riguardano tematiche strutturali non destano problemi sostanziali e possono unire larghi fronti trasversali. Ovviamente, per diventare operativi, è necessario configurare pratiche politiche determinate e qui i grandi schieramenti si disgregano o addirittura si disintegrano.


2) Un ampio fronte trasversale può unire i posizionamenti 4-10. Sono i casi di rivolta per coercizione legata a progetti o eventi particolari che toccano trasversalmente la popolazione, o per crisi economica nella quale la condizione di indigenza relativa spinge a manifestare contro il “sistema” anche in maniera violenta a prescindere dalle alternative auspicate. Nella consapevolezza degli attori, quando c’è, sistema qui non significa necessariamente capitalismo, ma organizzazione del potere, quindi non necessariamente il movimento è anticapitalista. Gli obiettivi degli attori non sono dunque sempre chiari sia in quanto sono dettati dalle circostanze difficili ma anche per la natura composita del movimento che, al momento di sviluppare soluzioni, si dividerà a seconda del proprio posizionamento che si può differenziare anche di molto (vedi le posizioni 4-10). Anche qui il rischio disgregazione è reale, anche per la mancanza di strutture organizzative di mediazione in grado di comporre le diverse anime. La nuova unione sarà dettata da una nuova situazione di indigenza relativa o dal persistere dell’evento coercitivo. Qui possono rientrare i gilet gialli, i no tav, ecc. È questo un primo fronte di contatto dei rossobruni, l’avversità a 1-3. Il populismo è il tentativo di egemonizzare questo ampio fronte 4-10 (o 6-10 in forma ristretta) in chiave conservatrice.


3) Pensare di essere anticapitalisti negando l’universalità dei diritti umani (B1) e le relative istituzioni (B2), perché si crede (o meglio non si capisce e quindi ci si immagina) che negando la sovrastruttura si negherebbe immediatamente anche la struttura (A1); oppure modificando la struttura in forma corporativa. Solo se si vuole superare il determinato nesso struttura/sovrastruttura (A/B) si è anticapitalisti, altrimenti si tratta della rivolta romantica regressiva tipica del capitalismo crepuscolare. È questa un’altra palude di contatto dei rossobruni. È la situazione che va a toccare gli schieramenti 6-10. Del capitalismo, ma forse più facilmente percepito come generico “potere”, si vuole buttare via tutto, ma in realtà si finisce per buttare via solo la parte sovrastrutturale progressiva e tenersi la parte strutturale, in forma meramente dispotica. Storicamente, questa forma dispotica si è abbinata a vari tipi di organizzazione economica, dalla liberista (7), alla corporativa (8), alla neoliberale (6). Essa, nella sua fase corporativa (8), può sembrare “di sinistra” perché introduce riforme di struttura e stato sociale; non lo fa tuttavia in maniera universalistica, tanto meno intende eliminare la società di classe.


4) Posizioni e fronti intermedi. Il fronte liberale è rappresentato dalle posizioni 1-3. In Italia il PD è 2, Forza Italia oscilla tra 1, 3 e 6*. Le loro differenziazioni sono di dettaglio e quindi facilmente finiscono per essere d’accordo sulla sostanza delle cose. È per es. l’Italia della finta lotta tra berlusconismo e antiberlusconismo [4]. Le loro contrapposizioni riguardano conflitti tra gruppi di interesse delle stesse classi dominanti. Attraverso le loro rappresentazioni sovrastrutturali possono legare a sé maggiore o minore consenso nello stesso contesto 1-3, ma anche negli altri contesti che possono condividere punti sovrastrutturali, come per es. l’appoggio alla legge delle unioni civili da parte di comunisti, socialdemocratici, ecc. La Lega è 7*. Il M5S oscilla tra 2 e 7*. La Lega, proponendo limitazioni al puro capitalismo, può essere fraintesa come comunista o socialdemocratica in quanto condivide punti strutturali ma nega quelli sovrastrutturali. In realtà essa si orienta da 7* verso 7 (o altre varianti fascistoidi) e non è certo per il superamento del capitalismo. L’interesse “nazionale” è, in realtà, l’interesse di una parte della borghesia nazionale e solo di riflesso e in circostanze determinate dei lavoratori nazionali. Tuttavia, in determinate situazioni, le condizioni dei lavoratori nazionali possono beneficiare (o almeno così può sembrare) dalla difesa della nazione e questo produce effetti egemonici che non hanno niente di rivoluzionario in quanto l’orientamento è sempre alla valorizzazione del capitale sotto mutate forme a danno di lavoratori di altre parti del mondo.


5) Il secondo dopoguerra si è retto sulla convergenza di fatto tra le posizioni 4 e 5 con supporto sempre di fatto di 10. Tutti attori scomparsi nel contesto attuale. Questa convergenza era possibile perché, al di là dello scontro sovrastrutturale, c’era comunanza di intenti a livello strutturale. Entrambi condividevano l’idea di una versione democratica di un’economia mix tra stato e mercato. Ci si divideva sull’estensione dello stato sociale e poi ci si scontrava a livello sovrastrutturale, nel caso italiano anche in maniera radicale, in quanto la variante culturale cattolica imponeva restrizioni importanti ai diritti personalicon una tentazione da 4 a 8 sempre sottotraccia. Del resto, la struttura di 8 passa nella sostanza dal fascismo al postfascismo.


6) Negli Stati Uniti, i repubblicani sono un mix di 1 e 3. I democratici sono 2. Trump è 7*. La scontro attuale è tra 1-3, blocco giustamente etichettato come un establishment che mira meramente agli interessi della valorizzazione senza remore (il neoliberismo), e 7*, che promuove e difende altri capitalisti, promettendo un pezzetto più grande della torta ai lavoratori (che quindi riesce a farsi percepire come anti-establishment, rompendo con il neoliberismo puro e i Poteri Forti). Nessuno di loro è contro il capitalismo. La grande sfida populista è raccordare ed egemonizzare tutto il blocco 4-10 nella prospettiva 7* contro 1-3 [5].


Questa classificazione descrittiva è un mero strumento di lettura che non considera le dinamiche storiche per le quali per es. si passa da una massiccia partecipazione dello stato al neoliberalismo. Un’effettiva analisi deve mostrare come dalla struttura si pongano le basi e le possibilità della dinamica sovrastrutturale in cui poi si gioca effettivamente la partita delle decisioni politiche e delle scelte (una gamma finita di possibilità e, dunque, non una univoca determinazione). Questo è oggetto di studi ben più approfonditi cui qui non è possibile procedere. Tuttavia, altre considerazioni generali sugli effetti del malinteso nesso struttura/sovrastruttura sono possibili.


Note per pensare l’egemonia populista/fascista a sinistra


Nella prassi politica, si può consapevolmente barare e cercare di giocare sull’incomprensione dell’identità mediata di struttura e sovrastruttura con finalità strumentali. Per es. valorizzare l’universalismo occidentale (B1) e le istituzioni rappresentative (B2), che includono la parità di diritti uomo-donna, le elezioni e le libertà borghesi in genere, in maniera strumentale per imporre in realtà il capitalismo, o meglio ancora il controllo imperiale occidentale (basti ricordare il colonialismo o le recenti esportazioni di democrazia). Questo è un uso ideologico del progressismo illuminista che, ovviamente, non ha niente a che vedere con l’effettiva generalizzazione di quei diritti, ma viene semplicemente strumentalizzato per imporre in maniera violenta la dipendenza da quel sistema economico che in occidente quei diritti ha prodotto; oppure il razzismo a livello locale facendo leva sulla “inciviltà” dei migranti.


Qui però scatta il cortocircuito per cui alcuni non si oppongono all’uso strumentale di quei valori, ma ai valori stessi, commettendo l’errore, ormai spero chiarito, di identificare senza mediazioni struttura e sovrastruttura. Ci si trova quindi a difendere comportamenti sociali tradizionalisti, in certi casi barbarici, che mai sarebbero tollerati qui in Europa se praticati da europei, in quanto immediatamente identificati con le forze più reazionarie; essi vengono tuttavia accettati nei non europei perché considerati propri di altre culture. Qui purtroppo i begli ideali della “tolleranza”, una volta che si arriva a confrontarsi su scelte precise, non possono che lasciare il posto a decisioni autoescludentesi, come per es. essere favorevoli o meno ai pari diritti fra uomini e donne. Come si è lottato in passato per la fine del patriarcato maschilista di matrice cattolica e si è considerato un successo il suo (parziale ahimè) superamento, non si capisce perché si dovrebbe accettare ad es. quello di matrice islamica.


Insomma, questo tipo di multiculturalismo rischia di essere il cavallo di Troia di un regresso culturale che si accetta perché, di nuovo, lo si ritiene anticapitalista in quanto contrario allo “occidente imperialista”, in cui ovviamente va mescolata - e quindi fraintesa - nello stesso calderone la giusta lotta contro lo sfruttamento capitalistico e quella assurda contro la cultura progressista che lo stesso capitalismo, contraddittoriamente, ha prodotto. Esso finisce per fare il paio con l’identitarismo locale che, di fronte alle tradizioni altrui, difende spada alla mano le proprie. Questo comune atteggiamento anti-universalista porta acqua al fascismo.


Quello menzionato è uno dei tanti temi propri del multiculturalismo astratto, del relativismo assoluto di valori e via dicendo; questo atteggiamento, presentandosi apparentemente come progressista, o “di sinistra”, diventa in realtà un’ideologia reazionaria tutte le volte che esclude a priori la possibilità di cambiare tradizioni e orientamenti una volta che si portino buone e ragionevoli argomentazioni per farlo. Se, insomma, il multiculturalismo, che di per sé è ovviamente una cosa positiva, diventa la scusa per non cambiare in virtù della semplice appartenenza a una certa tradizione di un certo comportamento, perché “intrinsecamente” legato a un certo contesto culturale e storico, si cade nell’identitarismo a prescindere, che è di nuovo l’anticamera del fascismo.


Le varie “identità” infatti, se si ritengono legittimate a pretendere di non cambiare in virtù di se stesse, non possono dialogare per trovare alcuna sintesi e il prevalere dell’una o dell’altra viene delegato, in ultima istanza, alla forza. In antitesi a ciò, contro il “relativismo etico” si genera consenso alla promozione della “nostra” tradizione che non avrebbe altra legittimità se non quella essere storicamente vincente da questa parte del mondo. Il tentativo di far prevalere questa tradizione contro lo “attacco straniero” ovviamente è legittimato meramente in virtù della sua esistenza qui per molto tempo, non su argomentazioni razionali o convincimenti dimostrativi. È insomma l’imposizione di una di queste posizioni tradizionali in forza della sua, per adesso, posizione di dominio. Va da sé che il contenuto di questa tradizione “nostrana” rifiuta, guarda caso, l’universalismo borghese e si rivolge in realtà a una “nostra” tradizione che è quella pre-borghese, vale a dire indirizzata contro gli aspetti sovrastrutturali progressisti del modo di produzione capitalistico, ma non contro il capitalismo stesso. È, di nuovo, il retroterra del fascismo e, abbastanza chiaramente, la linea guida di Lega o Fratelli d’Italia.


L’altro elemento sgradevole con cui il populismo strizza l’occhio a “sinistra” è, come si è visto, la contrarietà ai “Poteri Forti”. I posizionamenti 1-3, che iconicamente li rappresentano, sono in effetti gli stessi “nemici mortali” della sinistra (non ci si sta riferendo al PD; il PD in questo schema fa parte dei Poteri Forti). La differenza sta nel pensare l’alternativa, ovvero nel progetto di una società diversa in cui si instauri un nuovo nesso struttura/sovrastruttura non basato sullo sfruttamento. Il populismo (e il fascismo) invece non sono contro il nesso capitalistico, ma rappresentano la variante governativa più idonea a gestirne una certa fase, quella che definisco crepuscolare.


Il fascismo storico tuttavia ha introdotto “riforme” di struttura, una rivoluzione/restaurazione la definiva Gramsci, in cui venivano inseriti “elementi” di comunismo collegati alla regolamentazione e gestione, in una certa misura, dell’economia nazionale (corporativismo). Nella misura in cui a ciò si affianca la concessione di uno stato sociale più o meno esteso (ciò a “difesa” dei “lavoratori” nazionali, un socialismo nazionale lo si chiamava), si intuisce come le capacità egemoniche diventino sempre più forti, soprattutto in mancanza di un’alternativa da sinistra e all’incapacità assoluta del neoliberalismo di gestire le enormi contraddizioni che genera.






Note:


[1] La distinzione tra “struttura” e “ “sovrastruttura” fu introdotta da Marx nella celebre Prefazione a Per la critica dell’economia politica nel 1859. Miriadi di interpreti hanno cercato di derivare tutto il marxismo possibile da questa icastica formulazione; ciò è ovviamente riduzionistico e, sostanzialmente, sbagliato. Se, tuttavia, si comprende che cosa si intenda grazie allo studio del Capitale e della sua complessa articolazione, nulla vieta di usare queste categorie come euristici strumenti di analisi e spiegazione. È il senso in cui si procede in questa sede, facendo salva la necessità da parte del lettore di una familiarità (o familiarizzazione) con i concetti teorici più complessi sopra indicati.


[2] Si può notare che non viene usata l’espressione “liberal-democratico”; essa è infatti priva di senso teorico e storico. Tutto ciò che vi è di democratico nel mondo occidentale è stato nella sostanza ottenuto dalle lotte del movimento dei lavoratori contro le élites liberali (o altri poteri ancora più conservatori). Si pensi a titolo di esempio alla travagliata storia dell’estensione del suffragio universale in Italia. Per non parlare ovviamente dei diritti sociali, frutto di lotte decennali e non a caso oggetto della controffensiva di classe capitalistica. Insomma, il liberalismo, nella sostanza, non è mai stato democratico. Si veda tra gli altri l’efficace D. Losurdo, Controstoria del liberalismo, Roma-Bari, Laterza, 2005.


[3] Su questo mi permetto di rimandare a R. Fineschi, Violenza e strutture sociali nel capitalismo crepuscolare, in Violenza e politica. Dopo il Novecento, a cura di F. Tomasello, Bologna, Il mulino (in uscita).


[4] Nel caso dell’anti-berlusconismo ha giocato un ruolo chiave la peculiarità del personaggio e i suoi guai giudiziari che gli hanno imposto un costante attacco alle istituzioni democratiche. Il PD, nelle sue varie forme, ha potuto giocare la difesa delle istituzioni come suo elemento di “sinistra”. A questo punto sarà chiaro come questo mossa sovrastrutturale, che in realtà è anche di sinistra ma pure liberale, ha mascherato l’adesione senza remore alle politiche neoliberali a livello di struttura. Anzi, spesso la cosiddetta sinistra ha realizzato quelle controriforme che Berlusconi aveva progettato ma non portato a termine. Agli storici valutare la responsabilità del PD nello smantellamento delle strutture di democrazia economica e sociale che si erano create in cinquant’anni di lotte.


[5] Sul populismo rimando al mio articolo già apparso su questo giornale.


11/01/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.

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