A proposito della crisi della cultura classica in Italia
Marxismo-foscolismo e capitalismo crepuscolare
Il buon vecchio Ugo Foscolo scrisse nel 1798 un sonetto contro il pronunciamento espresso dal Gran Consiglio Cisalpino nello stesso anno sulla sostituzione parziale dell’insegnamento della lingua latina con il francese. Apparso in origine nel tomo II del Parnasso Democratico, una raccolta di poesie repubblicane dei più celebri autori viventi, con il titolo All’Italia per la sentenza capitale contro la lingua latina proposta al Gran Consiglio, fu poi raccolto come III dei sonetti nell’edizione canonica di Odi e sonetti.
Il testo, con accenti drammatici e sarcastici, individua nella perdita del latino un colpo ferale alla cultura italiana e alla continuità del lascito storico classico incarnato proprio dal culto delle belle lettere in particolare in lingua latina. Lo pone pure in parallelo allo “imbastardimento” del fiorentino, lingua letteraria della tradizione, con il francese, alta evidenza dell’imbarbarimento, oltre che politico, civile e culturale. Questo il testo:
Te nudrice alle muse, ospite e Dea
Le barbariche genti che ti han doma
Nomavan tutte; e questo a noi pur fea
Lieve la varia, antiqua, infame soma.
Chè se i tuoi vizj, e gli anni, e sorte rea 5
Ti han morto il senno ed il valor di Roma,
In te viveva il gran dir che avvolgea
Regali allori alla servil tua chioma.
Or ardi, Italia, al tuo Genio ancor queste
Reliquie estreme di cotanto impero; 10
Anzi il Toscano tuo parlar celeste
Ognor più stempra nel sermon straniero,
Onde, più che di tua divisa veste,
Sia il vincitor di tua barbarie altero.
Seppure i barbari vittoriosi militarmente avevano reso plauso alla grande cultura latina lodandone la lingua, l’Italia contemporanea (sarcasticamente investita da un’invettiva di tono dantesco), pare voler rinunciare pure ad esso. In questo quadro il latino è “il gran dir” (v. 7). Non si tratta di un vuoto patriottismo nazionalistico, come potrebbe sembrare a una superficiale lettura, ma della rivendicazione dei grandi valori morali, estetici, civile della classicità e della traccia indelebile che essi hanno mantenuto nella storia civile e che non avrebbe senso sacrificare sull’altare di una modernità che di essi deve continuare a far tesoro. L’impianto classicistico dell’alta cultura italiana resisterà ben più a lungo di Foscolo e, come è noto, costituirà il cardine della riforma gentiliana tuttora ossatura, per quanto rivista e corretta in varie parti, del sistema scolastico nostrano.
A chi viene da letture marxiane, i fatti correnti non possono non richiamare alla mente la conclusione della cosiddetta introduzione ai Grundrisse in cui Marx si interroga sul peso culturale e sul piacere estetico che ancora al momento in cui scriveva (1857), i classici esercitavano sull’alta cultura. Egli stesso citava a menadito Omero, Orazio e via dicendo. La cultura classica non solo era percepita, ma costituiva uno dei pilastri della grande intellettualità occidentale. Per Marx ciò poneva un problema teorico: come è possibile che un’arte nata, cresciuta ed espressione di una realtà materiale assai meno sviluppata e complessa di quella capitalistica possa “parlare” allo spirito di individui nati in essa? È per lui una questione serissima perché, al di là di una dotta discussione sui canoni estetici delle diverse epoche, parrebbe mettere in discussione il nesso struttura/sovrastruttura. La risposta di Marx consiste nell’indicare nell’arte classica l’espressione artistica meglio compiuta della fanciullezza estetica dell’umanità che, per quanto non più corrispondente a quella dell’essere umano adulto, su di lui continua a esercitare un fascino imperituro. Parte del testo in questione:
Ma la difficoltà non sta nel comprendere che l’arte e l’epos greco sono legati a certe forme dello sviluppo sociale. La difficoltà è rappresentata dal fatto che essi continuano a suscitare in noi un godimento estetico e costituiscono … una norma e un modello inarrivabili …
Un uomo non può certo tornare fanciullo o altrimenti diviene puerile. Ma non si compiace forse dell’ingenuità del fanciullo e non deve aspirare egli stesso a riprodurne a un più alto livello la verità? … I greci sono fanciulli normali. Il fascino che la loro arte esercita su di noi non è in contraddizione con lo stadio sociale poco o nulla evoluto in cui essa maturò (K. Marx, Grundrisse, ed. Grillo, p. 40).
Non vorrei che adesso mi si immaginasse sostenitore di un marxismo-foscolismo in nome della difesa del latino. La questione che emerge è invece se il ragionamento del nesso struttura-sovrastruttura regga al passaggio per cui quella eredità storica è sempre meno percepita come fondamentale, per cui essa non costituisce più il terreno comune delle élites culturali, che in sostanza non sia già più, nella pratica sociale, elemento costitutivo imprescindibile di un’alta cultura condivisa. Il calo di iscrizioni ai licei classici e scientifici tradizionali (a favore di quelli in cui non si insegna il latino) sembrano a cascata l’ultima spia di un processo in atto da tempo.
La domanda non può che essere, a questo punto, relativa allo sviluppo stadiale del modo di produzione capitalistico, per cui si è forse entrati in una fase in cui l’apprezzamento della cultura umanistica nella sua forma più classica non corrisponde più non semplicemente alla percezione individuale, ma non rappresenta più il mondo ideale in cui les élites si riconoscono. La crisi dell’universalismo, la Repubblica delle lettere dei dotti che pur era un universalismo elitario ma in linea di principio raggiungibile da chi volesse salire quell’erta china del sapere, non costituisce più un orizzonte di senso. Se il capitalismo crepuscolare è l’epoca della negazione pratica e ideale dell’universalismo astratto, un tentativo di utilizzo perverso dell’universalismo delle Lettere potrebbe essere usare strumentalmente la cultura classica come evidenza di superiorità e quindi come legittimazione imperialistica (come tentò il fascismo). Oggi però, forse, il discorso è più complesso: la dimensione strumentale anche delle élites “funzionali” non richiede un livello più sofisticato della loro autocoscienza e quindi neppure una cultura universalistica che entrerebbe in contraddizione con la loro operatività ormai semi-meccanica.