Friday, 12 May 2023

“𝑷𝒂𝒓𝒂 𝒖𝒏𝒂 𝒐𝒏𝒕𝒐𝒍𝒐𝒈𝒊́𝒂 𝒅𝒆𝒍 𝒑𝒓𝒐𝒄𝒆𝒔𝒐 𝒅𝒆 𝒕𝒓𝒂𝒃𝒂𝒋𝒐. 𝑫𝒆𝒔𝒂𝒓𝒓𝒐𝒍𝒍𝒐𝒔 𝒚 𝒑𝒓𝒐𝒃𝒍𝒆𝒎𝒂𝒔 𝒆𝒏 𝒍𝒂 𝒕𝒆𝒐𝒓𝒊́𝒂 𝒉𝒆𝒈𝒆𝒍𝒊𝒂𝒏𝒂 𝒅𝒆 𝒍𝒂 𝒔𝒐𝒄𝒊𝒆𝒅𝒂𝒅 𝒄𝒊𝒗𝒊𝒍” por Roberto Fineschi

“𝑷𝒂𝒓𝒂 𝒖𝒏𝒂 𝒐𝒏𝒕𝒐𝒍𝒐𝒈𝒊́𝒂 𝒅𝒆𝒍 𝒑𝒓𝒐𝒄𝒆𝒔𝒐 𝒅𝒆 𝒕𝒓𝒂𝒃𝒂𝒋𝒐. 𝑫𝒆𝒔𝒂𝒓𝒓𝒐𝒍𝒍𝒐𝒔 𝒚 𝒑𝒓𝒐𝒃𝒍𝒆𝒎𝒂𝒔 𝒆𝒏 𝒍𝒂 𝒕𝒆𝒐𝒓𝒊́𝒂 𝒉𝒆𝒈𝒆𝒍𝒊𝒂𝒏𝒂 𝒅𝒆 𝒍𝒂 𝒔𝒐𝒄𝒊𝒆𝒅𝒂𝒅 𝒄𝒊𝒗𝒊𝒍”.

Roberto Fineschi

Thursday, 27 April 2023

Klossowski e la moneta vivente Considerazioni di un avvocato del diavolo di Roberto Fineschi


Klossowski e la moneta vivente. Considerazioni di un avvocato del diavolo1


di


Roberto Fineschi





Dal mio intervento traspariranno chiaramente le mie limitate conoscenze su questo tema. Spero che mi scuserete e che considererete i miei commenti come delle note da parte di un non addetto ai lavori che cerca di entrare in un mondo con il quale non ha particolare familiarità. Questo per avvisare, da una parte, di prendere con la dovuta cautela i miei rilievi e, dall’altra, di considerarli come interventi dell’avvocato del diavolo, di qualcuno che legge e solleva delle possibili obiezioni.

Ho studiato con interesse il testo di Klossowski, trovando alcune difficoltà interpretative sulla sua articolazione complessiva. Naturalmente non posso che commentarlo alla luce della mia specializzazione, vale a dire la filosofia classica tedesca e, soprattutto, Marx, autore nel quale il tema del denaro è assolutamente centrale e in maniera trasversale, tanto nell’opera giovanile che in quella matura. Partiamo dal titolo: moneta vivente. Qui il primo dubbio: moneta o denaro? C’è infatti subito un problema di traduzione che si riscontra anche nelle edizioni francesi del Capitale; in Marx denaro e moneta sono categorie distinte e questo in francese creò problemi a lui stesso, costringendolo a spiegare in nota le sfumature di significato e le differenze categoriali tra i due termini2. La domanda per Klossowski dunque è: a quale delle due categorie sta pensando? Secondo me intende quello che, in termini marxiani, è il denaro.

L’aggettivo “vivente”, invece, immediatamente mi ha fatto pensare alla teoria del feticismo dove il punto chiave per Marx è che il denaro non è una cosa, ma un rapporto sociale che si “cosifica” in un oggetto materiale, ma non per questo cessa di essere un rapporto sociale. In questo senso è di per sé un vivente; non in


termini eminentemente biologici evidentemente, ma perché esiste solo nella misura in cui si dà una società mercantile, di scambio e, anzi, in questa società mercantile rappresenta l’incarnazione assoluta della socialità in un oggetto; è quindi un simulacro per eccellenza, l’universalità della società mercantile resasi oggettuale in un materiale. Questo suo carattere “vivente” non si deve certo alla sua fisicità, ma al fatto che esiste la società mercantile. La connessione tra l’oggetto inerte e la vita in Marx assume tale forma: l’oggetto denaro è di per sé vivente nella misura in cui rappresenta questo rapporto sociale. A mio parere, qui si riscontrano delle differenze tra la concezione giovanile di Marx e quella del
Capitale, che saranno utili per sollevare dei rilievi a Klossowski3.

Negli appunti marxiani su Mill degli anni quaranta c’è già l’idea dell’assoluta alienazione della totalità dell’umano nell’oggetto denaro ed è calzante il parallelo con le metafore teologiche; è già stato rilevato come in questi passi Marx si rifaccia alla lettera di Paolo di Tarso ai Filippesi, al concetto di κένωσις, incarnazione e svuotamento, ecc.4 Il punto chiave secondo me è comprendere che cosa o chi si oggettiva nel denaro. Nella riflessione giovanile questo qualcosa è sicuramente l’essere umano, una personalità universale, che aliena la propria essenza in questa materialità oggettuale che gli sta di fronte. Un primo punto è vedere se anche nella teoria matura del feticismo le cose stiano esattamente in questi termini; io credo solo in parte. Perché dico questo? Non per parlare di Marx, ma perché secondo me questa idea di una “persona universale” che si oggettiva alienandosi in un rapporto materiale oggettuale fa forse da retroterra anche al discorso di Klossowski, in particolare nell’ultimo paragrafo dal titolo “La moneta vivente”, dove viene propria menzionata la “persona umana” come il soggetto in questione5. Ecco è il retroterra filosofico di questo tipo di oggettivazione, cioè l’idea di una essenza universale data, in qualche modo a priori, che si esteriorizza in un rapporto materiale. Klossowski usa termini e concetti assenti in Marx, ma mi sembra che ci sia un concetto di individualità che in qualche modo preesiste, che fa da precondizione all’effettiva esplicazione del concetto di moneta. A partire da queste premesse, quali sono alcune delle questioni chiave?


Sempre facendo l’avvocato del diavolo, mi saltano agli occhi alcune questioni problematiche. La prima è una non chiara definizione del problema della continuità e discontinuità storica. Questo emerge in una forse scivolosa definizione di che cosa significa “utile”.
Soprattutto nella prima parte6 mi pare che troppo rapidamente Klossowski colleghi il concetto di utilità a quello di profittabilità, che lo intenda soprattutto in termini di utilità al fine della valorizzazione, anche se non usa questa parola: l’inserimento di questo utile in un processo di produzione industriale finalizzato alla valorizzazione. Da questo punto di vista secondo me c’è il rischio di “naturalismo”. In che senso? Utilizza un concetto largo di utilità che invece risulta essere, paradossalmente, l’utilità del capitalismo, ovvero finalizzata alla valorizzazione; lo si vorrebbe universale, ma in realtà è quello ristretto del capitalismo che viene esteso senza mediazione all’utilità in generale. C’è dunque forse il rischio di perdere il rapporto tra la storicità determinata dei processi di valorizzazione capitalistici e un più generico concetto di utile che non necessariamente si esprime in termini capitalistici.

Sempre se non capisco male, tale scarto viene fuori anche nel concetto di “fabbricabilità”, legato all’industrializzazione, definita come un processo di produzione artificiale di beni che non sono naturali o consuetudinari7. Anche qui secondo me è un po’ una forzatura identificare la fabbricabilità di per sé con il processo di valorizzazione capitalistico: non tutti i processi di fabbricabilità sono capitalistici. Di nuovo, la tensione è tra delle dinamiche storicamente determinate in cui anche la produzione, la sublimazione, la negazione della soddisfazione, il gioco erotico, assumono specificamente una dinamica capitalistica, e la loro generalizzazione a un umano che non è detto che in ogni epoca possa funzionare come funziona nelle dinamiche della produzione capitalistica. Se fabbricabilità e processo di valorizzazione capitalistico non coincidono, non necessariamente lo fanno anche le dinamiche più o meno perverse che questo processo instaura dal punto di vista della pulsione erotica, ecc. Non possono essere appiattite in una generica generalizzazione, in un umano come tale. È questa una questione che io non sono riuscito a sciogliere nel testo, ma forse è un limite della mia lettura.

In questo senso anche la questione della via di uscita dai rapporti alienanti, anche se Klossowski non usa questa espressione, del modo di produzione capitalistico dipende molto da come si intendono i soggetti; quali sono i soggetti che effettivamente rimuovono, sublimano la pulsione? L’individuo in astratto? Sono individui storicamente determinati? Sono classi sociali? Qui è legittimo in qualche modo il parallelo con il giovane Marx che aveva effettivamente un concetto abbastanza generico di soggetto storico, il Gattungswesen, l’essenza di specie. Se il soggetto storico è l’umanità in quanto specie, essa si aliena in condizioni storicamente determinate e supera l'alienazione rimuovendo quelle condizioni che determinano lo stato di scissione tra essenza ed esistenza. Secondo me il giovane Marx pensa proprio in questi termini. I cosiddetti Manoscritti del 1844 e il relativo concetto di comunismo, il lavoro come essenza, ecc. si inquadrano in questo contesto. Nel Capitale la questione si fa più complessa; lì i soggetti storici si articolano diversamente e non a partire da un concetto generico di essere umano; non sono gli individui, ma enti collettivi storicamente determinati che si caratterizzano per la loro funzione, cioè in base al ruolo che giocano nella riproduzione sociale: le classi. Non è quindi il generico essere umano, ma un processo di determinazione e sviluppo che si articola in differenze. Questo concetto astratto di essere umano nel Marx del Capitale diventa essa stesso una specie di feticcio: è esattamente la figura soggettuale della circolazione semplice che emerge come risultato parvente della dinamica mercantile; è dunque la stessa alienazione dell’essenza di specie, nella quale lui stesso credeva profondamente da ragazzo, a risultare ai suoi occhi l’altra faccia del feticismo della merce: quel soggetto che si aliena totalmente del denaro esiste solo nella circolazione di merci come suo prodotto parvente. Il concetto universale di essere umano, che lui immaginava essere il soggetto generale della storia, in realtà è la soggettualità per come essa appare all’interno della circolazione delle merci, come feticcio soggettuale, l’altra faccia del feticismo oggettivo della merce.



Se così fosse, tornando a Klossowski, secondo me c’è il rischio anche in lui che si ricada in un ragionamento di questo tipo: cercando di ricondurre il concetto di moneta, denaro, a un dinamica di oggettualizzazione contraddittoria e di rimozione della pulsione individuale, ci potrebbe essere un rischio di individualizzazione, cioè non di negare ma di ricondurre tutto a individuo. La domanda è se è possibile pensare il denaro, quello che Marx definisce un rapporto sociale, solo a partire dallo sviluppo di pulsioni individuali, come aggregato sociale in una cosa risultante dalla sommatoria di tante soggettualità individuali date che si compongono sì, ma che non vanno anch’esse a definirsi in base alla relazione sociale di cui sono momento. C’è in sostanza un rischio di individualismo metodologico. In questo senso, se così fosse, la posizione di Klossowski si può prestare, paradossalmente, alla critica di essere, detto in maniera estremamente provocatoria, un’ideologia borghese. Se alla fine il soggetto è l’individuo astratto, esso è l’assunto fondamentale dell’ideologia borghese che considera la socialità come una sommatoria di individui che la costituiscono a partire da se stessi. Lascio questi commenti come spunti di riflessione per chi con più competenza di me potrà valutare nel merito.

Per venire a una seconda tranche di rilievi, non riesco a capire in che modo la moneta vivente possa funzionare da denaro se non vogliamo staccarci troppo da una definizione convenzionale di denaro - per quanto problematica possa essere - nel cui concetto c’è un’idea di una intersoggettività oggettuale in qualcosa, di un equivalente che è tale in quanto tutti vi si riflettono come qualcosa di uguale e quindi tra sé si rapportano come uguali e diversi grazie a questa cosa che fa da specchio di fronte a loro; io non riesco a capire come la moneta vivente possa svolgere questa funzione. Se intuisco come essa possa diventare un simulacro di una soggettività che si rende palese e si nasconde al tempo stesso in un concetto sociale, non riesco invece a capire come possa adempiere alle funzioni che normalmente svolge il denaro da un punto di vista operativo: misura dei valori, mezzo di scambio, mezzo di pagamento, elemento della tesaurizzazione e dell’accumulazione, ecc. Probabilmente non è questa l’intenzione o l’oggetto di interesse, però se, come dire, la moneta vivente deve diventare un’alternativa praticabile a quella esistente del capitalismo, questo diventa forse più problematico.

Infine un’ultima riflessione sul “conio”, sulla determinazione della personalità individuale e della funzione della moneta in ciò. Se moneta è la sintesi in un oggetto o in un simulacro di un rapporto sociale, questo imprinting che cade sull’individuo che natura ha? Si definisce a partire dal rapporto di questa socialità che va a co-definirlo anche come individuo o nella mera limitazione della sua pulsionalità come singolo pre-sociale? Se fosse la seconda opzione secondo me c’è il rischio di ricadere, di nuovo, nell’individualismo metodologico, perché a quel punto si vuole definire il denaro, che è un rapporto sociale, a partire dall’individuo.

Se invece fosse una più complessa co-determinazione di come questa limitazione della pulsionalità individuale sia in qualche modo co-costitutiva dell’individualità, nel senso che è un punto di mediazione tra come la storia del mondo, lo spirito sviluppato fino a quel momento, e la sua costituzione, la cosa sarebbe più interessante, perché andrebbe a considerare la dimensione sociale anche nella costituzione psicanalitica dell’individuo. Se fosse la prima opzione in cui c’è solo la limitazione esterna dell’individualità già data e costituita a prescindere dalla socialità, a mio modo di vedere si ricade di nuovo nell’individualismo metodologico e nell’ideologia borghese; anche le prospettive di emancipazione in cui si rivendica una piena pulsionalità, in cui esterno e interno (essenza e fenomeno) si corrispondono in base alla libera pulsionalità dell’individuo finiscono per collocarsi in questo quadro.

Anche se scomparisse la merce-denaro, tema complesso su cui non posso entrare in questa sede, il denaro continuerebbe a essere un rapporto sociale perché svolgerebbe tutta una serie di funzioni che sussistono nella maniera articolata che conosciamo solo all’interno del modo di produzione capitalistico. Per rimuoverlo, passerò da marxista vecchio stile, bisogna rimuovere le condizioni materiali che lo generano; solo un modo di produzione e distribuzione diverso potrà, in base a come funziona, evitare l’esistenza del denaro. Da questo punto di vista è una grossa incognita perché i tentativi storici passati sono stati fallimentari, non solo negli esiti politici, ma anche nella meccanica che prevedeva l’esistenza del denaro: nel cosiddetto “socialismo reale” c’erano il denaro, gli stipendi, dinamiche di allocazione che di fatto, anche se limitatamente, conservavano queste forme e insieme a esse il feticcio della merce, del capitale e via dicendo. Pensare l’alternativa è la grande sfida; a mio modo di vedere, anche se in maniera problematica, il testo di Klossowski aiuta a riflettere in questa direzione.

1 Trascrizione leggermente rivista della conferenza tenutasi on line sulla pagina facebook di Settima lettera il 1 aprile 2022.

2 Karl Marx, Le capital, Paris, Lachâtre, 1872-5, p. 27, nota 24.

3 Per una ricostruzione più analitica dei temi marxiani qui trattati, mi permetto di rimandare ai miei Marx e Hegel. Contributi a una rilettura, Roma, Carocci, 2006 (seconda parte) e al più recente “Astrazione reale”. Un tentativo di ricostruzione filologica, in Soggettività e trasformazione. Prospettive marxiane, a cura di L.Basso, G.Cesarale, V.Morfino e S.Petrucciani, Manifestolibri, Roma, 2020, pp. 77 ss.

4 Un contesto teorico non certo estraneo al retroterra culturale di Klossowski a giudicare da quanto dice A. Marroni nella sua introduzione a P. Klossowski, La moneta vivente, a cura di Aldo Marroni, Mimesis, Milano, 2008, p. 23.

5 P. Klossowski, La moneta vivente, cit. pp. 98 ss.

6 Ivi, pp. 58 ss.

7 Ivi, pp. 62 s. e p. 72. 

Saturday, 22 April 2023

Presentazione di La rivoluzione come problema pedagogico. Politica e educazione nel marxismo di Antonio Labriola, di Massimo Gabella

La rivoluzione come problema pedagogico. Politica e educazione nel marxismo di Antonio Labriola, di Massimo Gabella. Insieme all'autore ne discuteranno Michelangelo Caponetto e Roberto Dainotto; modera Roberto Fineschi.








Thursday, 20 April 2023

I venerdì critici

In attesa del "venerdì critico" di domani con la presentazione del libro di Massimo Gabella, con Caponetto e Dainotto, sono felice di annunciare l'aggiunta di un quinto evento con Vittorio Morfino​ e il suo Intersoggettività e transindividuaità.
Ecco la locandina aggiornata!


Monday, 17 April 2023

Per un marxismo teorico. Alessandro Mazzone e l’associazione Laboratorio Critico

 Uscito originariamente su La città futura

Per un marxismo teorico. Alessandro Mazzone e l’associazione Laboratorio Critico

di Roberto Fineschi

È sorta l'Associazione culturale Laboratorio Critico che si prefigge, sulle orme del lascito di Alessandro Mazzone, di costituire un punto di riferimento per coloro che intendono arricchire la militanza con l'indispensabile substrato teorico.


Per un marxismo teorico. Alessandro Mazzone e l’associazione Laboratorio Critico

1. Dieci anni fa moriva Alessandro Mazzone, rilevante figura intellettuale del marxismo italiano. Nell’occasione della ricorrenza alcuni ex-studenti - “i mazzoniani” - insieme alla figlie hanno deciso di dar vita a un’associazione culturale dal nome Laboratorio Critico. Il suo obiettivo non è una mera commemorazione rituale, ma la ripresa e il rilancio di un approccio critico, di un metodo di studio, di un campo di ricerche che oggi faticano a trovare spazio non solo nel panorama universitario, ma in quello intellettuale in senso più ampio.

Qualcuno potrebbe affibbiare la generica etichetta di “marxismo” a questo ambito culturale; al di là dei luoghi comuni e delle intenzioni dispregiative, se ben intesa, non credo che questa sarebbe alla fine una definizione sbagliata o in contraddizione con le intenzioni di Mazzone. L’importante è intendersi. Se il marxismo è il tentativo di trovare un nesso plausibile tra la riflessione teorica e la sua “traduzione” pratica o, viceversa, di formulare spiegazioni sistematiche e razionali a prassi storiche, sicuramente è questo un contenitore all’interno del quale l’operazione che si sta cercando di mettere in piedi si colloca. Il contesto è quella della complessa mediazione tra teoria e prassi.

In questa prospettiva, una deriva da evitare è il “prassismo”, vale a dire la riduzione della teoria a mera ancella della pratica, a formulazione posticcia e strumentale dell’azione immediata o spontanea dei soggetti politici (del resto non meglio definiti e/o occasionalmente individuati nella contingenza). È una strada esiziale che facilmente degenera nell’opportunismo e nel tatticismo senza strategia (se in qualche modo riesce a darsi una forma organizzata), o peggio in mera manovalanza del nemico se resta informe. L’altro estremo, altrettanto pernicioso, è il teoreticismo fine a se stesso, una turris eburnea fatta di bizantinismi e di un nuovo latinorum che, difficile da leggere, fornisce astratti formulari buoni per i convegni e per confondere le poche buone idee sopravvissute rendendole a loro volta inutilizzabili. 

Il marxismo teorico a cui si ambisce è invece un tentativo di formulazione, evidentemente a partire dalla teoria marxiana del capitale, di un contesto quadro, epocale, di funzionamento del modo di produzione capitalistico. La formulazione del vecchio Moro è rimasta notoriamente incompiuta, ma già in questa sua forma ha dimostrato capacità di previsione che nessun altro apparato teorico è stato in grado di eguagliare. Accontentarsi di questo ovviamente non avrebbe senso, ma ne ha ancora meno gettare alle ortiche quanto di buono è stato fatto e che non è stato superato da altri paradigmi teorici. Ecco, questo è il punto: si ritiene che il paradigma teorico sia solido; di nuovo: incompleto, migliorabile, sviluppabile, ma ciononostante solido nelle strutture portanti. L’associazione muove da questo punto di partenza e, sulla scia della lettura che né ha dato Mazzone, cercherà di orientarsi in due direzioni: 

1) da una parte alfabetizzazione, nel senso di organizzare seminari, progetti, pubblicazioni che non solo non lascino morire questo patrimonio, ma che aumentino il numero di persone che hanno dimestichezza con esso. Infatti c’è una differenza profondissima tra ascoltare Tizio che ti racconta come funziona il capitalismo e studiare con metodo, sistematicità e tempo la teoria marxiana del Capitale. O tra orecchiare che le classi sono in conflitto e studiare il Manifesto. Un processo formativo non può non passare dalla “ri-digestione” personale di un lascito teorico. L’associazione intende creare le occasioni affinché ciò possa accadere, da una parte organizzando seminari di lettura, dall’altra “fidelizzando” chi ha intenzione di imbarcarsi in questa avventura: i pur importanti eventi pubblici saranno relativi a occasioni specifiche, ma nella sostanza si preferirà lavorare con i membri, cioè con coloro che accetteranno il gratificante onere di seguire un percorso in cui ci si sarà da faticare con lo studio personale;

2) dall’altra realizzare/pubblicare ricerche più specialistiche, sempre a partire dal lascito di Mazzone e dagli sviluppi che un certo orientamento degli studi ha avuto in Italia e all’estero. 

Ma non è questa tutta teoria? E la pratica? Questa obiezione è quella ingenua del prassismo, ovvero di chi si illude che qualsiasi tipo di formazione intellettuale debba essere immediatamente spendibile nella mia attività politica di oggi pomeriggio. Invece qui l’obiettivo è sviluppare una serie di nozioni teoriche che permettano di conoscere la “grammatica” del modo di produzione capitalistico. Capirne i meccanismi di fondo è la premessa perché io, oggi, questa settimana, questo mese, riesca a comprendere come ciò che sto facendo nella mia attività politica di ora si collochi in un processo più ampio che ha delle linee di tendenza solo alla luce delle quali posso formulare delle strategie e quindi dare un senso, un orizzonte e un contesto alla mia azione puntuale. Sapere come funziona il corpo umano non cura a priori tutte le malattie, ma dà al medico la possibilità di capire se la persona che gli sta di fronte sta bene o male e di stabilire che cosa è necessario fare per curarla. Le cose non stanno diversamente per chi si prefigge lo scopo di cambiare il mondo per renderlo un posto migliore. Se è sbagliato limitarsi a interpretarlo (il malato non guarisce se non si passa alla cura), è altrettanto vero che senza interpretarlo quanto più correttamente possibile non si riesce a cambiarlo (il malato non guarisce se gli do la cura sbagliata). 

Con tutti i limiti di un’associazione di questo tipo, ci si auspica di contribuire almeno un po’ alla ripresa del dibattito teorico informato e del processo trasformativo della realtà effettuale.

2. Il primo risultato concreto dell’associazione è stata la pubblicazione di una raccolta di scritti di Alessandro Mazzone del periodo 1999-2012 con il titolo Per una teoria del conflitto. Il progetto è stato realizzato in collaborazione con la Rete dei comunisti e raccoglie importanti contributi di carattere teorico-politico in cui l’autore si è sforzato di scendere dal rarefatto mondo dell’astrazione filosofica a quello più concreto e complesso del conflitto storico-politico, di cui la riflessione teorica stessa è parte integrante. Il testo si articola in tre parti: la prima è dedicata al concetto di classe, alla sua storia, alla sua articolazione nella configurazione contemporanea del modo di produzione capitalistico; la seconda alla teoria della storia, con particolare attenzione al concetto di formazione economico-sociale, alle forme del dispotismo del capitalismo attuale e alle possibile strutture di transizione a una società futura; la terza parte, infine, affronta questioni più concrete nel quadro delineato nelle parti precedenti, come gli effetti sulla comunicazione, sull’università, sui concetti di democrazia e imperialismo. A conclusione troviamo un importante contributo che getta un ponte tra la riflessione teorico-politica più diretta e la possibilità di un approfondimento di tipo più formale legato alla dimensione filologica della nuova edizione storico-critica delle opere di Marx ed Engels (la Marx-Engels-Gesamtausgabe – MEGA2).

Chi fosse interessato al libro o all’attività dell’associazione, può consultare il sito laboratoriocritico.org.

Tuesday, 21 February 2023

Marx e Hegel di Roberto Fineschi (Conferenza al Ghislieri, dicembre 2018)

 

Marx e Hegel

Trascrizione leggermente rivista della relazione dal medesimo titolo presentata al convegno internazionale “Marx e la tradizione filosofica” organizzato in occasione del bicentenario della nascita di Karl Marx presso l’Università di Pavia, Dipartimento di Studi Umanistici – Sezione di Filosofia, dal Consorzio di Dottorato in Filosofia Nord-Ovest (FINO) e dal Collegio Ghislieri (Pavia, 13-14 dicembre 2018).

§1

Ringrazio innanzitutto per il gradito invito. È per me un vero piacere essere presente in questa conferenza, sia per il tema che per un risvolto personale: il mio maestro Alessandro Mazzone fu allievo del Ghislieri e, poiché il rapporto Marx-Hegel era uno dei temi a lui più cari, essere qui a parlarne un po', confesso, mi emoziona.

L’argomento che mi è stato assegnato è ovviamente molto, troppo complesso per essere affrontato in 40 minuti; chi ha familiarità con l'opera di Marx sa benissimo come il rapporto con Hegel attraversi tutto lo sviluppo della sua produzione scientifica e come sia stato inevitabilmente al centro di vastissimi dibattiti nella tradizione successiva; inevitabilmente non potrò che essere sommario.

Vorrei partire proprio con un accenno alla ricezione, perché chi si avvicina a questo tema attraverso la letteratura critica onestamente non può che rimanere disorientato: si è praticamente sostenuto tutto e il suo contrario. Si sono viste da una parte rotture radicali, quella più famosa è sicuramente la althusseriana, legata all'Ideologia tedesca oppure quella di della Volpe che la individuava invece ma nel Manoscritto del '43, ecc.; d'altro lato si trovano letture che sostengono una coerenza, una presenza costante di Hegel attraverso tutta l'opera di Marx, ma anche qui con accenti molto diversi e, paradossalmente, disorientanti: in alcuni casi l'enfasi è stata messa soprattutto sull'opera giovanile - Lucàks per es. tanto per fare qualche nome -, basando molto questa continuità sul concetto di alienazione (proprio nell’abbandono della quale Althusser invece vedeva il grande cambiamento). In questo orizzonte vanno annoverate anche le grandi letture continuistiche nel marxismo occidentale legate al concetto di feticismo, ecc.; insomma solo fare l'elenco di tutti i  nomi richiederebbe probabilmente tutti i 40 minuti a mia disposizione. Oppure altre versioni dello hegelo-marxismo, invece di insistere sull'opera giovanile, hanno puntato sulla presenza nell'opera matura di categorie della logica hegeliana in un approccio più metodologico

In questo complesso dibattito inevitabilmente ci si appoggia a fasi, talvolta si evidenziano determinati passaggi della ricezione marxiana di Hegel a discapito di altri o si enfatizza la preminenza di un'opera rispetto ad altre. Nella mia ricerca ho cercato di basarmi soprattutto sulla nuova edizione storico-critica delle opere di Marx ed Engels, che, mi permetto di fare una piccola parentesi, in parte ridefinisce alcune delle loro opere tradizionali proprio da un punto di vista testuale: non cambiano solo le interpretazioni, ma diversi testi tradizionali che hanno una veste del tutto nuova. Faccio questa premessa perché alcune di queste opere sono proprio tra quelle più interessati per un’analisi del rapporto Marx-Hegel.

§2 

Benché in particolare io mi sia occupato del Capitale, inizierei dai più importanti scritti "giovanili", vale a dire i Manoscritti del '44 e l'Ideologia tedesca, che alla luce della nuova edizione storica-critica vengono addirittura, in maniera un po' provocatoria, dichiarati non esistenti, prodotti creati dagli editori della prima Marx-Engels-Gesamtausgabe degli anni venti-trenta che, sull'entusiasmo dell'aver trovato alcuni materiali mancanti nel lascito marxiano, si son fatti prendere la mano e li hanno trasformati in opere. Nel caso dei Manoscritti del '44, le edizioni storiche hanno presentato ai lettori una versione tematica, cioè hanno riorganizzato vari materiali effettivamente scritti da Marx. Ovviamente non hanno scritto loro un testo dicendo che era di Marx, ma hanno utilizzato dei manoscritti marxiani riorganizzandoli in maniera tematica e dando l'idea che esistesse un'opera effettivamente progettata, quando in realtà si tratta di materiali di studio che vanno contestualizzati insieme a un'altra gamma di manoscritti dello stesso periodo che mostrano effettivamente il contesto di pura ricerca in cui furono scritti. Anche nel caso dell'Ideologia tedesca, non avremmo di fronte un'opera concepita, ma una serie di articoli sulla sinistra hegeliana, sulla cui base, a un certo punto, hanno iniziato a progettare un capitolo su Feuerbach - il primo dell'Ideologia tedesca tradizionalmente letta - che in realtà è quello editorialmente più costruito, in base a materiali incompleti e parziali che si erano accumulati. Per quanto riguarda Il capitale, il secondo e il terzo libro, anche qui pubblicati da Engels, sono testi che il curatore inevitabilmente ha dovuto “finire” per presentarli come opere compiute. Anche qui l'edizione critica mette a disposizione i manoscritti originali di Marx che, confrontati con l'opera stampa, inevitabilmente mostrano quanto lontani fossero da una compiutezza effettiva. Il mio progetto consiste nel rivisitare il rapporto tra Marx e Hegel anche alla luce di questi testi adesso finalmente disponibili. 

§ 3

Venendo allo specifico del tema, Marx quando legge Hegel inevitabilmente lo fa con delle idee in testa e con degli obiettivi, ne dà quindi una lettura inevitabilmente selettiva e orientata. Questo per tagliare la testa al toro, perché si potrebbe a lungo discutere quanto l'interpretazione marxiana di Hegel sia filologicamente sostenibile; secondo me non è così difficile mostrare che è sostenibile fino a un certo punto. Su questo dirò alcune cose dopo, però di fatto Marx legge Hegel per pensare la propria filosofia, più o meno come hanno sempre fatto tutti, non è che in questo sia stato particolarmente originale; bisogna però averne consapevolezza, perché in base a questa lettura orientata, egli seleziona che cosa leggere.  

Da un lato evidentemente Hegel è “il” filosofo quando Marx si confronta con lui; come emergeva anche dalle altre relazioni, è vero che legge Spinoza, però attraverso Hegel, legge il materialismo, però chiaramente c'è un'influenza di come lo legge Hegel, e via dicendo. Per questa generazione Hegel aveva detto un po' tutto quello che c’era da dire nella storia della filosofia e quindi guardavano a lui avendo in mente questa (discutibile quanto si voglia) idea. 

Una delle prime letture significative è il Manoscritto del '43 sulla critica del diritto statuale hegeliano, testo fondamentale per es. nella tesi dellavolpiana, del galileismo metodologico. Quando ci confrontiamo con esso non si può non tener conto di quanto Marx già sapesse di economia politica, di quanto si fosse cimentato con quello che poi sarà il prodotto maturo della sua opera. La risposta è che non ne sapeva niente, ancora non l'aveva studiata. Quindi, la serie di problemi che ha in mente in questa fase non sono quelli che poi prevarranno nella maturità; non si può non tenerne conto nell’analisi della critica dei concetti politici espressi da Hegel in questo testo, della selezione marxiana di questi passaggi. Sicuramente la cosa è diversa per i Manoscritti del '44, paralleli ad altri manoscritti parigini che menzionavo prima; qui Marx inizia a studiare economia politica in Francia e gli estratti fatti da classici come Ricardo ecc. sono da traduzioni francesi. Lavoro e capitalismo sono adesso concetti forti nella sua mente e questo lo spinge a utilizzare un altro testo di Hegel che è La fenomenologia dello spirito; la limitazione non è solo relativa all’opera, infatti non la utilizza neppure tutta: è ossessionato dall'ultimo capitolo sul “sapere assoluto” che addirittura trascrive interamente. Notoriamente alienazione ed estraniamento sono tra i temi cardine di questo manoscritto e si capisce bene da dove vengano: da questo capitolo della Fenomenologia dello spirito; in una trentacinquina di pagine dell'edizione Suhrkamp vi si riscontrano ben 40 occorrenze, in ogni pagina c'è due volte. Prima ci si chiedeva: quanto è filologicamente legittimo interpretare Hegel sulla base del concetto di alienazione? Evidentemente poco, perché, se si fa un'analisi più generalizzata di questo concetto nella filosofia hegeliana nel suo complesso, quello che emerge è che è una categoria prettamente fenomenologica. Praticamente Hegel lo usa quasi esclusivamente nella Fenomenologia dello spirito e addirittura neanche in tutta l'opera ma solo in tre capitoli. Tra l’altro lo usa con significati non solo negativi, come prevalentemente sembrerebbe nell'opera marxiana. Anche qui ci troviamo di fronte a una lettura molto orientata, in cui Marx ha in mente l'idea di una nuova essenza umana, che è il lavoro, e che il processo di uscita da sé, rientro a sé, che lui vede così ben espresso nel capitolo sul Sapere assoluto va rigenerato alla luce di questo concetto sostanzialista e materialista, un po' di stampo feuerbachiano, che lui appunto reinterpreta con il concetto di lavoro come essenza dell'uomo (Gattungswesen). Questa lettura è stata la base di molte interpretazioni che poi hanno cercato anche un aggancio nell'opera matura, soprattutto ricollegando il concetto di lavoro alienato a quello di feticismo, tentativo non solo di filosofi ma anche di economisti. Ma non la faccio troppo lunga, i relativi riferimenti sono noti. 

Il forte peso dato all’ultimo capitolo della Fenomenologia dello spirito spinge Marx a ignorare la complessa stratificazione enciclopedica, per cui “pensiero” non significa solo “pensante”, non solo “pensamento”, ma individua la dimensione del concetto, della natura e poi dello spirito cosciente di sé, e quindi dell'autocoscienza e via dicendo, come momenti diversi del dispiegamento della totalità. Marx tende invece, sulla scia dei suoi epigoni, ad appiattire questi livelli su quello di autocoscienza e a pensare a una sorte di “soggettone”, se mi consentite questa grossolana semplificazione, che invece di alienarsi, di estrinsecarsi e di rientrare in sé come categoria dello spirito lo fa come categoria del lavoro.

Altra influente ricezione è legata alla Filosofia della prassi che si basa soprattutto sulla lettura delle Tesi su Feuerbach. Queste 11 note, pubblicate solo dopo la morte di Marx in una versione rimaneggiata in maniera decisiva, hanno avuto un peso notevole, particolarmente in Italia attraverso la filiazione gramsciana. Anche questa è una questione molto interessante, perché Marx non ha mai utilizzato l'espressione "filosofia della prassi", come non ha mai utilizzato l'espressione "materialismo storico". Il ritorno ai testi si legittima, non perché sia impossibile dedurre queste interpretazioni, ma perché la precisione filologica ci aiuta anche a ripensare queste tradizioni. Quella della filosofia della prassi letta come chiave del rovesciamento hegeliano è una questione molto spinosa che sarebbe oggetto di una relazione a sé.

Altra opera in cui emerge una rilettura sostanziale del dettato hegeliano è la Miseria della filosofia.  In un celebre passo sul metodo hegeliano, Marx parla di tesi, antitesi e sintesi, categorie che, se andiamo effettivamente a leggere le pagine sul metodo di Hegel, riscontriamo che, a dispetto di molti manuali in circolazione, non ci sono affatto… Come dire: sembra anche qui trattarsi di una lettura “culturale”, ispirata da un ambiente in cui si pensava che fosse proprio così.

Secondo me il complesso della visione di Marx fino a questo punto si articola sostanzialmente in alcuni concetti fondamentali che sono i seguenti: egli pensa sostanzialmente che Hegel sia una sorta di spiritualista in cui la dimensione diciamo soggettiva del pensiero non è tanto ben distinta da un'ontologia del pensiero, e quindi la dimensione della filosofia dell'autocoscienza prevale sulla strutturazione ontologica enciclopedica complessiva (irriducibile alla mera autocoscienza). Interpretato Hegel in questi termini, Marx ritiene che egli sbagli perché proietterebbe su di un livello astratto-spiritualistico le dinamiche reali della produzione e riproduzione umana, una sorta di trasfigurazione mentale dei processi obiettivi e in questo senso tutta da combattere. Nella Sacra Famiglia c'è un altro celeberrimo passo sul “frutto”, che dalla sua astratta “fruttità” si determina come frutti particolari; qui Marx scimmiotta chiaramente in maniera sarcastica la processualità hegeliana del concetto che dall'astratto si determina come concreto ecc. ecc. La forte ironia, lo spirito dissacratorio e caustico di Marx fanno pensare a un giudizio largamente negativo su Hegel, sia nel merito ma anche nella metodologia. 

§ 4

Su alcuni di questi aspetti Marx non cambierà mai idea. Dal 1857 però qualcosa succede e questo va notato non per proporre un’altra rottura alternativa alla precedenti. L’elemento da mettere in evidenza grazie all'edizione critica è che a partire dal 1857 Marx inizia a scrivere in maniera molto più convinta e sistematica la propria teoria del modo di produzione capitalistico. Questo ovviamente non significa che prima non si fosse occupato di economia, bisogna però prendere atto che fino a quel momento non aveva mai cercato di strutturare e articolare in maniera complessa una teoria propria. Questo è un processo che andrà avanti fino alla morte e resterà incompiuto. In particolare fino al 1865 scrive tre grandi manoscritti: uno noto come Grundrisse, redatto nel periodo 1857/8 (nel 1859 pubblica Per la critica dell'economia politica, che in teoria doveva essere la prima parte della sua opera); però una volta che lo finisce inizia a scriverne la continuazione, ma questo manoscritto a un certo punto diventa di nuovo un manoscritto di ricerca, il Manoscritto 61-63, che è quello che contiene le Teorie sul plusvalore come parte centrale, in cui riprende vari temi che aveva già trattato nello scritto precedente, ma anche temi nuovi, che non aveva esplicitamente considerato.

Una volta finito questo secondo manoscritto pensa di aver capito come scrivere effettivamente Il capitale, e redige un terzo grande manoscritto secondo lo schema dei tre libri nel periodo 1863-65: processo di produzione, di circolazione e configurazione complessiva. Quando finisce anche questo finalmente pensa di poter scrivere Il capitale in bella. Marx era un eterno insoddisfatto e quindi scriveva e riscriveva. Nel 1867 esce la prima edizione tedesca del Capitale che, ovviamente, trova inadeguata, e quindi ne fa altre. Complessivamente, lui vivo, escono due edizioni tedesche del primo libro, l'edizione francese, e poi lavora regolarmente al secondo libro e pochissimo al terzo, entrambi restano incompiuti. In quest'ultima fase però si mette a studiare di tutto, dall'agronomia alla matematica, nella quarta sezione della MEGA stanno pubblicando i lavori e gli estratti di questo periodo; è veramente impressionante lo sterminato campo di interessi che sviluppa Marx in questo periodo.

Nell’elaborazione della teoria del modo di produzione capitalistico alcuni hanno visto  l'evidenza della rottura famosa di cui sopra, in cui Marx diventerebbe scienziato e non sarebbe più hegeliano o filosofo, non più teorico dell'alienazione dell'essenza umana. Altri hanno visto invece qui il luogo in cui effettivamente Marx è hegeliano, in cui l'evidente presenza di tutta una serie di categorie chiaramente derivate dalla Scienza della logica mostrerebbero che la metodologia adottata da Marx è quella di Hegel nella maniera più cogente, più forte. Tuttavia anche qui, pur assumendo quest’ultima prospettiva per cui effettivamente Hegel e la sua dialettica sarebbero presenti nel Capitale da un punto di vista metodologico, si riscontrano divisioni: alcuni sostengono che solo nei Grundrisse o nelle prime opere di questa ampia elaborazione ci sarebbe effettivamente una sistematica hegeliana, mentre man mano che va avanti, Marx ridurrebbe la dialettica. Altri invece hanno cercato di dimostrare attraverso delle tavole sinottiche come l’articolazione della teoria di Marx corrisponderebbe esattamente a sezioni, capitoli della Scienza della logica, mettendo in parallelo le due strutture. Anche qui il dibattito è molto ampio. Chi fa forza su questa interpretazione di coerenza metodologica in genere menziona sempre la lettera che Marx scrive ad Engels nel gennaio del 1858, mentre sta redigendo i Grundrisse, dove afferma che per puro caso ha risfogliato La scienza della logica e che questo gli è stato molto utile; aggiunge che prima o poi avrebbe scritto un libercolo dove si sarebbe mostrata l’essenza del metodo dialettico. Gli altri due passi che in genere si menzionano in questo contesto sono il capitolo sul metodo della cosiddetta introduzione ai Grundrisse e la postfazione alla seconda edizione tedesca del Capitale in cui, nel caso della postfazione esplicitamente, Marx dice nero su bianco che il suo metodo è il metodo dialettico e che Hegel è sicuramente suo maestro in questo senso, salvo poi mettere le mani avanti aggiungendo una differenza fonamentale: Marx è materialista mentre Hegel è idealista, bisogna dunque trovare il nocciolo razionale della dialettica hegeliana. Ora, trovare questo nocciolo razionale è appunto quello che ha scatenato l’infinito dibattito parzialmente sopra esposto in cui si rischia di perdersi. In quest'ultima parte cercherò di spiegare secondo me come si può andare nella direzione dell'individuazione di questo nocciolo razionale. 

Da un lato, a chiunque abbia un minimo di familiarità con Hegel, pare onestamente innegabile una massiccia presenza di categorie della Scienza della logica nella teoria del Capitale. Per fare solo un paio di esempi, Marx nei Grundrisse scrive vari specchietti di come lui avrebbe articolato la teoria; per organizzare la materia usa le categorie di universale, particolare e singolare evidentemente mutuate dalla teoria hegeliana del giudizio e del sillogismo. Quando parla della concorrenza dei capitali, esplicitamente parafrasa i paragrafi dell'uno-molti, attrazione e repulsione della Logica dell'essere. Esplicitamente parla di attrazione e repulsione, uno-molti. Parlando del concetto di capitale, inserisce la distinzione tra capitale diveniente e capitale divenuto, di nuovo sono concetti che vengono dalla teoria concetto di Hegel. Alcuni dicono che questo vale solo per i Grundrisse, ma in realtà tali categorie sono ben presenti anche nell'opera pubblicata. Se si guarda lo sviluppo dell'equivalente nella teoria della forma di valore si ha la triade singolare-particolare-universale - qui le vecchie traduzioni italiane e sono un po' fuorvianti, perché talvolta traducono singolare con individuale e universale con generale. Sono di nuovo categorie della teoria del sillogismo e del giudizio della logica. In un passo della critica dell'economia politica, Marx parla del processo di circolazione come di un sillogismo. Lo sviluppo della contraddizione di valore e valore d’uso interna alla merce praticamente ricalca la struttura dei paragrafi della teoria hegeliana della contraddizione. Negare che questo patrimonio concettuale venga da Hegel significa negare l’evidenza. 

Concesso questo, l'errore secondo me sarebbe pensare però semplicemente, come è stato fatto, al calco, cioè ipotizzare che ci sia una sorta di speculare simmetria fra le due strutture; ciò sarebbe la cosa meno dialettica che si possa concepire: secondo l'impostazione hegeliana, in realtà il sistema è concepibile solo come Auslegung der Sache selbst, svolgimento della cosa stessa (in cui il genitivo è tanto soggettivo che oggettivo); se invece ci limitiamo a riprodurre una struttura astrattamente, formalisticamente dialettica perché così “suona”, ma senza che ciò corrisponda all'intrinseca necessità dialettica della teoria stessa, produrremmo la negazione della dialettica. Nella famosa lettera che menzionavo prima a Engels è esattamente questa la critica che Marx rivolge a Lassalle: dice che egli vorrebbe fare un'opera dialettica ma avrebbe capito lui stesso la differenza tra applicare schematicamente categorie a un contenuto esterno o arrivare al punto di poter sviluppare la dialettica del contenuto stesso. In realtà è una critica che in qualche modo richiama quella del 1843 rivolta a Hegel: secondo Marx, Hegel avrebbe applicato al tema della filosofia del diritto un'astratta logica a sé stante, senza mostrare invece la dialettica intrinseca al sistema del diritto (“la logica specifica dell’oggetto specifico”). 

§ 5

Nella teoria del capitale, Marx cerca di svolgere la cosa stessa, sviluppare la sua dialettica intrinseca, la logica specifica dell’oggetto specifico, non applicare la dialettica a un qualcosa di dato. Sembra dunque un hegelismo metodologico in senso forte, in cui la teoria del capitale si costruisce nell'articolazione dell'intrinseca razionalità a partire dal concetto di merce per giungere a credito e capitale fittizio come suo culmine. Questo permette secondo me di mostrare anche come Marx abbandoni quelli che inizialmente erano effettivamente degli schematismi, per esempio l’articolazione in universale, particolare e singolare che menzionavo sopra: quando la redige la usa un po' a priori, schematicamente; per ordinare il materiale pensa a questa astratta struttura e ci mette dentro vari passaggi. In realtà quando poi scrive effettivamente la teoria apporta delle modifiche proprio perché lo svolgimento della cosa stessa lo richiede. Se si vanno a seguire le trasformazioni tra le prime versioni e le versioni "finali", si vede come esse rendano più coerente la struttura dialettica che altrimenti sarebbe risultata schematica. 

Se metodologicamente Marx è coerente con Hegel, che cosa intende quando lo critica? Marx capisce benissimo che chi ha letto Hegel e poi legge il suo libro non può non vedere la filiazione e per questo è lui il primo ad aver paura di essere accusato di hegelismo.  Nella prima edizione tedesca del Capitale addirittura nelle note fa esplicito riferimento alle categorie di Formgehalt e Forminhalt, insomma nella cultura del tempo la conoscenza di Hegel era così comune che non poteva non saltare agli occhi in maniera evidente di quanto stesse utilizzando categorie hegeliane. Questo mettere le mani avanti è dire che metodologicamente egli seguisse l'intrinseca necessità dialettica, il metodo dialettico, però ciò non implicasse che fosse uno spiritualista era per intendere quanto poi afferma esplicitamente: pensare concettualmente (il metodo dialettico) non è il modo in cui il mondo si crea - perché è questo che loro pensavano di Hegel, cioè loro pensavano che il processo di produzione concettuale della realtà fosse la realtà stessa -, ma il modo in cui viene ricreata nel pensiero una realtà esterna preesistente. In questi stessi termini si esprime anche in un passo dei Grundrisse, in cui addirittura afferma che successivamente sarebbe stato meglio cancellare la forma di esposizione dialettica per non essere preso per uno hegeliano spiritualista. Marx, sulla scia della cultura del tempo, pensava questo di Hegel; questo oggi non pare più sostenibile.

Questo giudizio su Hegel come una sorte di spiritualista è sicuramente un punto di continuità con la lettura giovanile; la discontinuità sta invece nel forte apprezzamento del metodo, che viene addirittura dichiarato l’unico veramente scientifico: rivaluta la forza della concettualizzazione dialettica come strumento di comprensione della realtà. Per differenziare la sua posizione rispetto a Hegel, Marx afferma che la dialettica è il processo di ricostruzione della realtà nel pensiero e che come tale esso è solo un momento del conoscere; prima è stato preceduto da un processo di ricerca che permette di analizzare la realtà fino a individuare le categorie fondamentali sulla base delle quali si potrà farne la concettualizzazione. La riformulazione del metodo dialettico in chiave anti-hegeliana che Marx propone risulta più hegeliana dopo la “correzione” di quanto non fosse prima e di quanto egli stesso non credesse. 

§ 6

Un'altra accusa dalla quale Marx vuole sicuramente difendersi, e concludo,  è quella di teleologismo. Era un'altra delle critiche che tradizionalmente veniva rivolta a Hegel: la storia avrebbe un corso predeterminato che tende in maniera deterministico-finalistica verso un culmine. Marx teme che si possa dire la stessa cosa di lui e affronta la questione ponendo il tema dei “limiti del metodo”. Che cosa intende parlando di questi limiti? Se la teoria del materialismo storico, anche se egli non usa questa espressione, implica una dinamica di sviluppo per cui determinati processi storico-sociali vanno avanti in forza di una meccanica che non è semplicemente individuale ma per certi aspetti sovraindividuale, nella quale gli individui si trovano ad essere soggetti operanti ma non necessariamente coloro che indirizzano il corso finale, se c'è una necessità storica, motorietà storica che va avanti di per sé, si potrebbe allora sollevare lo stesso tipo di accusa, nel senso che sembrerebbe come se la storia andasse da qualche parte.

I limiti del metodo sembrano la risposta a questo tipo di critica: Marx intende che la ricostruzione scientifica di un'epoca storica non permette generalizzazioni arbitrarie, cioè non di estendere automaticamente le leggi che valgono in una determinata epoca storica, alla meccanica storica in generale. In altri termini i punti di partenza del modo di produzione capitalistico non sono spiegabili a partire dalla teoria del modo di produzione capitalistico stesso. Ciò implica che ci siano delle rotture storiche, che non consentono di tracciare una storia universale finalistica in astratto, ma impongono piuttosto che, epoca per epoca, questo processo vada ripensato sulla base degli sviluppi storici correnti di ciascuna epoca. Qualcuno, insistendo su questo concetto, ha parlato di “metodo revocabile”, valido limitatamente al modo di produzione che all’interno del quale si è dato, vale a dire che la scienza di questa epoca storica corrente non può essere la scienza di altre epoche storiche.

Se si va a vedere quanto Marx afferma delle altre epoche storiche, la delusione è cocente: scrive molto poco e, soprattutto, funzionalmente al modo di produzione capitalistico; dato che il modo di produzione capitalistico ha dei presupposti, sembra studiare come essi si siano formati. Determinare questi punti di partenza e quelle tendenze non significa elaborare una teoria di altri modi di produzione, né feudale, né schiavistico, ecc. Se ciò vale per il passato, si applica ovviamente anche a come il modo di produzione presente sia la possibile premessa di uno futuro: sulla base di queste stesse premesse metodologiche, la società futura potrà essere teorizzata solo una volta che la struttura essenziale si sarà data realmente e sarà quindi possibile ripensarla a posteriori. 

Se ho solo rievocato un complesso ambito di tematiche, mi premeva sottolineare come tutto ciò possa essere di nuovo studiato e criticamente indagato solo sulla base di una forte testualità e della sua coerenza complessiva. Si possono infatti prendere pezzi di Marx per farne altre cose, ma nella prospettiva di chi vuole ricostruire il percorso marxiano nei suoi termini propri perché si ritiene il suo discorso un paradigma scientifico ancora adeguato a pensare il presente, la strada maestra è ancora quella della ricostruzione.




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Quanto qui esposto è una sintesi delle conclusioni cui sono giunto dopo un ventennio di studi. Chi volesse approfondire in maniera analitica i temi qui solo evocati, può consultare le seguenti pubblicazioni a loro volta sono ricche di rimandi bibliografici.




R. Fineschi, Marx e Hegel. Contributi a una rilettura, Roma, Carocci, 2006.

----, La logica del capitale. Ripartire da Marx, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 2021.

---, Tempo e storia nelle Formen. Riflessioni sul materialismo storico. In: Karl Marx (1818-2018): eredità e prospettive, a cura di G. Sgro' - I. Viparelli. p. 95-108, Napoli, La Città del Sole, 2021.

---, “Astrazione reale”. Un tentativo di ricostruzione filologica. In: Soggettività e trasformazione. Prospettive marxiane. Roma, Manifestolibri, 2021.

---, Critica tra Marx e Hegel. “Revista dialectus”, vol. 9, 2020, p. 189-201.

---, L'ideologia tedesca dopo la nuova edizione storico-critica (MEGA2), in “Historia Magistra”, vol. XI, 2019, p. 89-104.

---, Note provvisorie per una teoria della Rivoluzione, in: (a cura di): Stefano G. Azzarà, Rivoluzioni e restaurazioni, guerre e grandi crisi storiche: cento anni dall’ottobre russo (parte prima), vol. III, 2018, p. 43-53.

---, Un nuovo Marx. Interpretazione e filologia dopo la nuova edizione storico-critica, Roma, Carocci, 2008.

“𝑷𝒂𝒓𝒂 𝒖𝒏𝒂 𝒐𝒏𝒕𝒐𝒍𝒐𝒈𝒊́𝒂 𝒅𝒆𝒍 𝒑𝒓𝒐𝒄𝒆𝒔𝒐 𝒅𝒆 𝒕𝒓𝒂𝒃𝒂𝒋𝒐. 𝑫𝒆𝒔𝒂𝒓𝒓𝒐𝒍𝒍𝒐𝒔 𝒚 𝒑𝒓𝒐𝒃𝒍𝒆𝒎𝒂𝒔 𝒆𝒏 𝒍𝒂 𝒕𝒆𝒐𝒓𝒊́𝒂 𝒉𝒆𝒈𝒆𝒍𝒊𝒂𝒏𝒂 𝒅𝒆 𝒍𝒂 𝒔𝒐𝒄𝒊𝒆𝒅𝒂𝒅 𝒄𝒊𝒗𝒊𝒍” por Roberto Fineschi

“𝑷𝒂𝒓𝒂 𝒖𝒏𝒂 𝒐𝒏𝒕𝒐𝒍𝒐𝒈𝒊́𝒂 𝒅𝒆𝒍 𝒑𝒓𝒐𝒄𝒆𝒔𝒐 𝒅𝒆 𝒕𝒓𝒂𝒃𝒂𝒋𝒐. 𝑫𝒆𝒔𝒂𝒓𝒓𝒐𝒍𝒍𝒐𝒔 𝒚 𝒑𝒓𝒐𝒃𝒍𝒆𝒎𝒂𝒔 𝒆𝒏 𝒍𝒂 𝒕𝒆...