Monday, 12 February 2018

Epoca, fasi storiche, Capitalismi* di Roberto Fineschi

Epoca, fasi storiche, Capitalismi*

di Roberto Fineschi

Relazione al Forum Nazionale della Rete dei Comunisti, Roma 17/18 dicembre 2016
Milite quadro 340x200Con questo intervento cercherò, sulla base dei miei studi1, di precisare che cosa significa per Marx "storia" e "fase storica" Quando in altre occasioni ho presentato questo stesso tema, ho spesso preso come punto di riferimento i miei studenti, ai quali chiedo che cosa intendano per storia; loro guardano l'orologio e dicono che, partendo da ieri e andando all'indietro, più o meno tutto è storia, non facendo molte distinzioni in questo lungo lasso di tempo, cioè non riuscendo sostanzialmente ad andare oltre una definizione generica e non strutturata di che cosa storia significhi.

Dialettica di continuità e discontinuità storica
Marx, l'autore del quale mi sono interessato e in base al quale cercherò di argomentare questa tesi, si è impegnato per tutta la vita nel tentativo di elaborare un'idea di storia molto più strutturata e complessa, che tenesse insieme non un generico "prima", rispetto ad un altrettanto generico "presente", ma che dimostrasse come questo "prima” e questo "presente" avessero delle leggi di funzionamento, potessero essere strutturati in periodi. Si trattava di tenere insieme due aspetti, che poi nel dibattito successivo avrebbero prodotto tendenze conflittuali: la continuità e la discontinuità storica. Elaborare una teoria della storia che parlasse della storia degli uomini, per cui si potesse dire che tutto quello che è successo possa essere riferito in qualche modo agli esseri umani che lavorano insieme, ma al tempo stesso come questa non fosse una storia indefinita di uomini, ma si articolasse in periodi con dei punti di rottura, di discontinuità, per cui esse fossero diverse fasi di una stessa cosa.
Le due derive che si determinano se non teniamo insieme le due cose sono, da una parte, teorie della storia essenzialiste, cioè teorie della storia in cui sostanzialmente c'è un'essenza umana o in origine, in un tempo non meglio definito, o delle caratteristiche intrinseche dell'uomo, che non cambiano mai e che poi vengono più o meno traviate negli eventi successivi. In questa prospettiva in realtà abbiamo una lunga storia di una non meglio definita alienazione, dalla quale alla fine si può venir fuori ristabilendo quella condizione originaria. È una teoria per cui l'uomo in fondo è sempre se stesso e nel tempo cambia fino ad un certo punto. Cambia nella misura in cui le sue qualità essenziali sono negate, quindi l'obiettivo politico sarà quello di riconciliare essenza ed esistenza.
L'altra deriva è lo "storicismo invertebrato", come lo definiva Luporini negli anni 70, cioè una teoria della storia per cui i vari periodi non "dialogano" tra di sé: ogni epoca ha una sua essenza irriducibile che non comunica con le altre. Il compito della ricerca storica è quindi quello di "rivivere" lo spirito del tempo. Non è però possibile dire che una fase è superiore o inferiore ad un'altra fase, perché l'idea di fondo è che queste fasi tra di sé non comunichino; sono modelli, ciascuno dei quali ha una sua irriducibile, intrinseca natura, che lo rende incomparabile agli altri. La deriva di questo approccio è che non esistono argomenti contro lo schiavismo, contro il nazismo, contro il fascismo, contro niente, perché non c'è un modo razionale argomentativo per dire che i principi fondanti di una certa concezione del mondo sono sbagliati, perché si risponderebbe "e beh quelli sono i miei principi fondanti". Qui, tra l’altro, si vede la deriva potenziale del "ritorno alle radici" di tutte quei movimenti che ancora oggi si appellano all'idea di queste radici fondamentali da sostenere e riproporre come valore regolativo del vivere sociale. Marx, secondo me, cerca di evitare queste due cose e cerca di mettere insieme continuità e discontinuità, cioè una teoria della storia in cui tutte le fasi siano umane e quindi comparabili tra di sé in quanto fasi della stessa cosa, cioè della riproduzione umana, ma allo stesso tempo abbiano delle rotture, ogni periodo abbia una sua specificità che permetta di identificarlo come tale.
Secondo Marx lo snodo è il processo lavorativo. Il processo lavorativo è quell'elemento che permette di tenere insieme, in primo luogo, la continuità e la discontinuità con la natura. Questo è ancora un altro punto: gli esseri umani non agiscono nel vuoto ed essi stessi sono un prodotto dell'evoluzione naturale; ad un dato momento si differenziano dalle altre specie animali in quanto riescono a lavorare, ad instaurare questo processo che si articola attraverso la loro attività, attraverso la loro azione finalizzata a scopo su un oggetto di lavoro, attraverso dei mezzi di lavoro, con un risultato, il prodotto, che può essere altro da loro stessi. Riescono a dare una oggettualità esterna allo stesso individuo che agisce. Alcuni animali riescono a farlo, ma comunque è l'uomo che ne fa la sua attività principale. Questo primo elemento determina una continuità e una discontinuità con il processo naturale in generale, perché l'uomo, elemento naturale, agisce su altri elementi naturali, per creare un mondo tipicamente umano, quindi naturale-umano.
Su questa prima continuità/ discontinuità fra uomo [a sua volta natura) e natura insiste l’altra, cui accennavo prima, fra storia umana in generale e fasi specifiche di essa in particolare: gli uomini, che sono tali in quanto producono, non produrranno sempre nello stesso modo; ciò che li accomuna è che sempre produrranno, sempre produrranno in forme associate, però non lo faranno sempre nella stessa maniera. Le diverse modalità, attraverso le quali gli elementi del processo lavorativo, che prima ricordavo, vanno ad unirsi [questa unione permette l'effettiva realizzazione del processo lavorativo) caratterizzano le diverse fasi storiche della produzione. Per esempio, nel mondo schiavistico la forza-lavoro e i mezzi di produzione sono tutte cose, anche la forza-lavoro è una cosa, che appartiene al proprietario come gli appartengono gli altri strumenti che vengono utilizzati.
Nella corvée il pluslavoro si estrinseca come prestazione gratuita nel campo del signore o chi per lui. Il processo lavorativo in forma capitalistica invece si caratterizza perché questa unione dei mezzi di produzione e della forza-lavoro avviene attraverso la libera compravendita, cioè attraverso la volontaria vendita da parte della forza-lavoro della propria capacità di lavorare, che poi si estrinseca come momento del capitale.
Il punto chiave è questo: sono tutte diverse epoche del produrre; esse inizialmente si differenziano per le modalità attraverso cui questi elementi, che compongono il processo lavorativo, si uniscono e permettono l'effettiva estrinsecazione dell'attività. Quello che è tipico del modo di produzione capitalistico è che sia il capitalista che il lavoratore sono individui liberi, nel senso che il codice riconosce a ciascuno il diritto di vendere o non vendere, comprare o non comprare. Questa poi si rivelerà essere una parvenza, ma formalmente il codice riconosce questo come atto volontario e sono liberi di farlo e stanno gli uni di fronte a l'altro come uguali, tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge. I principi fondamentali dei codici borghesi sono

Soggetti storici. Lavoratore e operaio
Questo è, tuttavia, allo stesso tempo solo un punto di partenza perché poi i diversi modi di produzione si differenziano ulteriormente per le specifiche dinamiche che si innescano nella loro processualità. Da questo punto di vista, nel modo di produzione capitalistico quali sono le classi? Quali sono i soggetti che entrano in relazione? Prima di affrontare più esplicitamente questo tema, vorrei ricordare un modo di interpretare il primo libro del Capitale, che è possibile, ma che secondo me è molto limitante, perché non permette di capire a fondo la potenza delle categorie che Marx sviluppa in questa parte. Qual è il punto fondamentale di questo approccio che secondo me è sbagliato? Quello di "storicizzare’' questo libro, nel senso di considerarlo una trattazione della storia del capitalismo del 1800, della rivoluzione industriale dell'Inghilterra del tempo. Verso questa lettura ha spinto per primo lo stesso Engels per esempio. Egli introdusse l'idea che i primi tre capitoli del primo libro del Capitale dedicati a merce e denaro ed alla circolazione semplice trattassero non del capitalismo, ma di una "produzione mercantile semplice", cioè di un'epoca della produzione precapitalistica. Lui lo faceva perché aveva in mente il problema della trasformazione dei valori in prezzi; propose come via d'uscita da quella che sembrava un'impasse irrisolvibile l'idea di considerare la legge del valore funzionante in questa società precapitalista; essa sarebbe poi stata sostituita dalla teoria dei prezzi di produzione del terzo libro in una società pienamente capitalistica. Introducendo questa idea, dava l'impressione che si trattasse di un'evoluzione storica, di una sorta di fenomenologia dello sviluppo storico del capitalismo. Anche il modo in cui per esempio lo sviluppo della forma di valore viene trattata: sembra che prima si consideri uno scambio occasionale, poi uno scambio più diffuso, poi uno scambio generalizzato. A quel punto la trasformazione del denaro in capitale poteva essere interpretata come la descrizione dell'avvento storico del capitalismo e poi, soprattutto, tutta la sezione del plusvalore relativo poteva essere letta proprio come una narrazione un po' teorizzata dello sviluppo storico del capitalismo in Inghilterra. Per dare una visione più concreta di questo, soprattutto nel capitolo sulla produzione sul plusvalore relativo, Marx tratta argomenti come cooperazione, manifattura, grande industria, tutti chiaramente esempi che avevano un riferimento empirico molto facile e diretto nell'esperienza storica di quel periodo in Inghilterra. Se andiamo avanti secondo questa ricostruzione, facilmente si individuano i soggetti antagonisti in quelli descritti in queste sezioni e quindi sostanzialmente si tende a limitarli all'operaio della fabbrica. Secondo me questa lettura è possibile, perché il testo la consente, però è estremamente limitante, poiché perde di vista tutta una serie di punti teorici e formali che permettono di utilizzare questa teoria in maniera più ampia, al di là dell'effettiva presenza di questi elementi storici che menzionavo.
Il primo punto è: chi è l'altro del capitale? Qual è l'antagonista del capitale? Qui è anche una questione di come si traduce il testo tedesco. Nelle edizioni italiane tradizionali e non solo, anche nelle edizioni in altre lingue, si riscontrano due parole in questo contesto: una è "lavoratore", una è "operaio". In realtà nel testo tedesco c'è sempre la stessa parola che è “Arbeiter". Qui il punto non è meramente linguistico, è una questione chiave. Quando nelle traduzioni trovate talvolta "lavoratore" e talvolta "operaio" è stato il traduttore a fare questa scelta più o meno legittimamente.2 “Arbeiter"deriva da "arbeiten" che significa "lavorare" e la "-er" finale è come "-tore" in italiano. Questo non significa che l'operaio non sia un lavoratore, ma, a mio parere, Marx sta pensando in maniera più ampia. Il rapporto che si instaura è tra il salariato, portatore materiale del lavoro in potenza, e il capitale sono la forma storica di esistenza della forza-lavoro e dei mezzi di produzione nella fase capitalistica e quindi la forma salariata di questo rapporto è più larga dell'operaio. Ripeto, non esclude assolutamente l'operaio, né significa che l'operaio non sia stato in certi momenti, e possa essere nuovamente, un punto su cui fare leva, però la soggettualità storica non è limitata a questo. Perché ciò è importante? Perché, secondo me, incide anche sul modo di interpretare tutta la sezione del primo libro del Capitale dedicata al plusvalore relativo. Il punto chiave è infatti: a quale livello di astrazione si sviluppa l'analisi di Marx? Marx di che cosa sta parlando? Del capitalismo dell'Inghilterra dell'ottocento o sta facendo una teoria del funzionamento del modo di produzione capitalistico, vale a dire una cosa molto più astratta. Io penso che sia il secondo caso. Egli elabora una teoria generale che dà le definizioni di che cosa è capitale", "lavoro salariato", "plusvalore" etc., che definisce cioè la grammatica del modo di produzione capitalistico, che di per sé non è nessun capitalismo. Nessun capitalismo è descritto nel Capitale e un po' tutti. Questo è il punto: è una teoria astratta di come questo modello funziona, ma come tale questo modello non è mai esistito nella sua purezza e mai esisterà. Marx usa infatti la parola "capitalismo" in tutti i libri e manoscritti del Capitale una sola volta, nel secondo. È qualcosa di simile alla trattazione delle leggi astratte della fisica rispetto ai fenomeni concreti in cui esse si realizzano. Marx parla dunque anche del capitalismo dell'Inghilterra, ma non teorizza quel capitalismo specifico, teorizza il modo di produzione capitalistico come tale. 11 modo di produzione non è il capitalismo e non è nessuno dei capitalismi che conosciamo, perché per parlare della crisi attuale, del capitalismo italiano nel contesto della crisi europea abbiamo bisogno di una serie infinita di integrazioni, di scendere dal livello di astrazione altissimo della teoria del modo di produzione e aggiungere la teoria dello Stato, etc., diciamo tutti i libri che Marx avrebbe voluto scrivere e che non ha mai scritto. È una teoria molto potente, ma che, per essere utilizzata, va ampliata, approfondita, come lo stesso Marx del resto suggeriva.

Sussunzione del lavoro sotto il capitale. Forme e figure
Torno alla sezione che menzionavo prima, quella dedicata alla produzione del plusvalore relativo; in essa si descrive come il capitale cerchi, nella maniera a lui più consona, di aumentare l’espropriazione di plusvalore. Normalmente la giornata lavorativa si divide in una parte di lavoro necessario - quella necessaria alla riproduzione della forza-lavoro - e in una parte in cui il capitalista si appropria; egli infatti paga "giustamente” la forza-lavoro al suo valore, ma poi, facendo lavorare il lavoratore per più ore di quelle necessarie alla riproduzione della forza-lavoro, estorce un plusvalore. Se il limite della giornata lavorativa è fissato, come fa ad aumentare il plusvalore?
Riducendo il lavoro-necessario attraverso l’incremento della produttività del lavoro. Per far questo, il modo di produzione capitalistico modifica il modo di produrre, inizia a introdurre delle modifiche strutturali al modo in cui si produce che determineranno la specificità del modo di produzione capitalistico. Lo stesso Marx distingue tra "sussunzione formalistica”3 e "sussunzione reale” del processo lavorativo sotto il capitale; la prima non modifica il modo di produrre dato, la seconda sì. . La cosa straordinaria è che non è che si può lavorare o non lavorare, non è una scelta “libera” come sembrerebbe secondo la parvenza della circolazione semplice, la "libera" compravendita di forza-lavoro; infatti non si può non lavorare se l’umanità vuole riprodursi. Quindi, in realtà, quello che succede è che la riproduzione umana avviene sotto forma di capitale. Questo significa che è un rapporto di produzione. La riproduzione del corpo umano associato avviene come momento del capitale. Quali sono le caratteristiche peculiari di questo processo riproduttivo in forma capitalistica? In questa parte Marx introduce i capitoli su cooperazione, manifattura e grande industria, che, come dicevo, sono stati letti più storicamente o sociologicamente che logicamente. La mia proposta è di leggere queste parti anche storicamente, ma con un occhio alle determinazioni di forma, cioè alla comprensione di come il processo lavorativo si modifichi in forma capitalistica; ciò permette di individuale modalità più generali che si possono applicare a diverse configurazioni storiche del capitale.
Iniziamo con la cooperazione. Il punto chiave è che con il modo di produzione capitalistico il carattere cooperativo del lavorare diviene una forma strutturale del lavorare, cioè tendenzialmente si lavorerà cooperando. La singola persona che lavora da sé sarà sempre più marginale. Questo non necessariamente ha una forma giuridica predefinita, per esempio il giornalista free-lance che è indipendente, in realtà non è indipendente per niente, perché senza un giornale che gli pubblica un articolo, o il direttore di testata che dà la linea lui non lavorerebbe. Il punto è: come opera? Può operare da solo? Con il sistema di produzione capitalistico l'individuo che opera da solo tende a non esistere più. Cioè il carattere del lavoro cooperativo del lavorare diventa strutturale. Introducendo la manifattura Marx fa un altro passaggio, vale a dire mostra come il singolo lavoratore non solo cooperi genericamente, ma perda la capacità di realizzare tutto il prodotto da solo e, quindi, riesca a farne solo una parte. La parte la farà meglio ma non è più in grado di fare tutto. Attraverso questo passaggio vediamo che il carattere cooperativo diventa intrinseco, perché non si può più tornare indietro, la capacità di tornare indietro è persa. Si potrà solo cooperare perché io so fare solo un pezzetto del prodotto finale. Qui, in maniera ancora più evidente, c'è una scissione tra la finalità complessiva del processo e la mia finalità individuale di lavoratore, lo non ho più il controllo del processo complessivo, che è sopra di me, eterodiretto in quanto gestito dal capitalista ed è la mia finalità individuale che deve integrarsi in modo che poi funzioni con il tutto. La decisione di come il mio pezzettino si integri con il tutto non è mia. Qual è il limite storico, ma anche concettuale di questo? L'abilità personale del lavoratore nel realizzare il bene ancora ha un valore. Ciò viene superato con la grande industria: abbiamo la completa subordinazione dell'attività individuale in un processo sempre più meccanizzato in cui il lavoratore diventa appendice; da qui inizia un processo che con la robotizzazione e l'intelligenza artificiale tendenzialmente può portare all'esclusione della forza-lavoro stessa dal processo lavorativo.
In sostanza, quello che propongo in questa analisi è di distinguere tra "forme” e "figure". Abbiamo delle figure storiche: la cooperazione, la manifattura, la grande industria, che sono esempi di come il modo di produrre si sia modificato. Quali sono le modifiche del modo di produrre? La natura cooperativa, parziale, di appendice dell'attività lavorativa; come tali esse non si limitano affatto alle figure attraverso le quali sono apparse storicamente. Se invece di limitarsi a considerare 1'esistenza di queste figure storiche, ci si concentra sulle forme, si vede come, in realtà, le modificazioni al modo di produrre instaurate dal modo di produzione capitalistico sono tutt'ora presenti, perché la stragrande maggioranza dei processi lavorativi avviene in forma cooperativa, parcellizzata e subordinata e porta tendenzialmente all'estromissione della forza-lavoro dal processo stesso. In questo modo la teoria è molto più potente, abbiamo infatti una teoria del modo di lavorare tipica del modo di produzione capitalistico, che esisterà in figure storiche determinate; in questo modo non importa se l'operaio non c'è più, ammesso e non concesso che questo sia vero ovviamente; anche se così fosse, questo non inficia in niente la validità della teoria di Marx, perché questa teoria mostra le forme attraverso le figure.
Questo tipo di approccio funziona così bene, che permette di spiegare limiti e valore di celebri interpretazic r.. del passato; per esempio, quando in passato si è fatto leva sulla classe operaia come antagonista del capitai-, era giusto, perché in quel momento lì la figura storica che corrispondeva nella maniera più efficace alle forme era propria la classe operaia. Se però si riduce la forma sulla figura che succede? Insieme alla figura, la classe operaia come soggetto antagonista principale scompare anche la forma. Questo è un errore capitale. Se invece distinguiamo fra forme a figure, la scomparsa della figura non implica la scomparsa della forma. Oggi, infatti, le figure sono potenzialmente altre, ma le forme non sono andate via: il rapporto salariato, che sia formalmente o non formalmente riconosciuto, il carattere cooperativo, parziale, subordinato dell'attività lavorativa; il carattere eterodiretto del processo in cui la finalità complessiva viene dal capitalista, tutto questo non è scomparso per niente. Ciò permette di applicare questa teoria ad una casistica molto più ampia e permette anche di cercare i soggetti potenzialmente antagonisti in una più ampia stratificazione sociale4.

La missione storica del capitale
Altra cosa cui vorrei solo brevemente accennare e che non svilupperò è che il modo di produzione capitalistico instaura delle tendenze di lungo periodo che pure ne determinano la specificità storica; Marx le formulò su basi puramente teoriche quando scrisse il Capitale; esse si sono dimostrate tutt'altro che fallaci. Se, infatti, osserviamo almeno due delle tendenze più importanti che Marx ritiene intrinseche al modo di produzione capitalistico vediamo che oggi, ben più che ai suoi tempi, esse si sono verificate. Una è la cosiddetta "globalizzazione". Secondo Marx, un esito di lungo periodo dello sviluppo del modo di produzione capitalistico sarà l'integrazione della produzione a livello mondiale. L'altra tendenza fondamentale è l'aumento della produttività del lavoro: secondo la teoria di Marx, il modo di produzione capitalistico tenderà ad incrementare questa attività in un modo così poderoso che alla fine entrerà in contraddizione con le stesse capacità del sistema di dar esito a questa incredibile forza produttiva.
Ha visto lontano, dunque, anche sulla dialettica di funzione e conflitto; la funzione che le forze produttive hanno nell'integrazione dell'umanità e nell'aumento della loro potenza ad un certo punto entra in conflitto con le forme nelle quali esse stesse si sono esplicate e che quindi ora bloccano il loro ulteriore sviluppo5. Questo è il limite storico del modo di produzione capitalistico6. Qui il limite è la limitazione intrinseca del modello, non è tanto un limite esterno, non è una cosa che sta di fronte, è proprio una limitatezza interna per cui da un certo punto di vista esso crea delle condizioni che lui stesso non riesce a sviluppare. Pensiamo all'umanità: per secoli l'ideale umano è un'idea astratta, la comune umanità. Il modo di produzione capitalistico crea anche l'idea dell'essere umano in astratto ma non solo, esso crea l'umanità concretamente. Come sappiamo bene l'interconnessione della produzione mondiale fa sì che un problema mio in Italia sia il mediato effetto di una crisi negli Stati Uniti, in Cina, etc.. Significa che esistono problemi che solo a livello mondiale si possono porre e superare. Quindi la contraddizione non è tra un'origine che sta chissà dove e il presente; la contraddizione è dentro al presente. È lo stesso modo di produzione capitalistico che crea gli ideali universali e li nega. È lo stesso modo di produzione capitalistico che crea la produttività più potente mai esistita e la nega. Quindi "storicità" significa che questi sono limiti intrinseci di questo modello. Da ciò non si deve dedurre che dopodomani il capitalismo per questo crolli. Il passaggio da questo livello teorico delle contraddizioni fondamentali all'applicabilità di questa teoria con finalità politiche richiede tutta una serie di passaggi che in parte sono già stati fatti, ma che ancora necessitano di ulteriori momenti di analisi. Questo è il lavoro che ci sta di fronte.

* Ringrazio la compagna Rosalba Scinardo Ratto per aver sbobinato la registrazione, sulla cui base questo testo è stato redatto.

Note
1 Mi riferisco in particolare a Ripartire da Marx, Napoli, La città del sole, 2001 e Per una teoria politica ispirata al Capitale, in Un nuovo Marx, Roma, Carocci, 2008, pp. 130-156. Versioni più divulgative sono disponibili su “Proteo”; vedi: La “storia” nel Capitale http://www.proteo.rdbcub.it/article. php3(id_article-266 e Modelli teorici o descrizioni storico-sociologiche? Per una rilettura della sussunzione del lavoro sotto il capitale,http://www.proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=236.
2 Nell’edizione francese curata da Marx si distingue tra “lavoratore” e “operaio”, ma completamente a caso, a volte usa operaio per indicare il contadino feudale. La nuova edizione italiana del I libro del Capitale a mia cura uscita presso La città del sole ha ovviato a queste incongruenze.
3 Traduzione da preferire alla tradizionale “sussunzione formale”.
4 Per una lucida ricostruzione del concetto di classe, si vedano gli articoli di A. Mazzone su "Proteo": Le classi nel mondo moderno, http://www.proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=333 Le classi nel mondo moderno. La complessità del conflitto, http://www.proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=345 e Le classi nel mondo moderno (parte terza) Nuove frontiere della produzione e dello sfruttamento, http://www.proteo.rdbcub.it/article.php3?id_article=386
5 Su questo tema sempre attuale il classico testo di G. M. Cazzaniga, Funzione e conflitto. Forme e classi nella teoria marxiana dello sviluppo, Napoli, l.iguori, 1981.
6 Sempre fondamentale lo studio di A. Mazzone, La temporalità specifica del modo di produzione capitalistico, (ovvero: La “missione storica del capitale”), In: Marx e suoi critici, Urbino 1987, pp. 225-260

Roberto Fineschi (Epoca, fasi storiche Capitalismi)

IL VECCHIO MUORE MA IL NUOVO NON PUO' NASCERE: Roberto Fineschi (Epoca, fasi storiche Capitalismi)

199 Anni di Karl Marx. Di Roberto Fineschi. Da La città futura.

Il 5 maggio è il 199° anniversario della nascita di Marx. La sua teoria non ha tutt'oggi uguali per spiegare i meccanismi e le dinamiche del modo di produzione capitalistico.


“Ei fu, siccome immobile, / dato il mortal sospiro”, e via dicendo. Così inizia la celeberrima ode manzoniana, Il cinque maggio, che tutti gli studenti italiani, molti di essi obtorto collo, hanno studiato se non addirittura imparato a memoria durante gli anni scolastici. La stessa data in cui nel 1821 a Sant’Elena morì Napoleone era stata, tre anni prima, la data in cui un altro gigante della storia era nato a Treviri: Carlo Enrico Marx. Con una qualche ironia della sorte, proprio Napoleone, insieme al nipote Napoleone III, è il personaggio storico che Marx dichiara di amare di meno rispondendo alle domande di un “album di famiglia” della figlia Jenny.
Date a parte ed in attesa delle grandi celebrazioni del prossimo anno per i 200 anni, dedicherò un paio di riflessioni all’attualità del pensiero del vecchio “Moro”, come lo chiamavano amici e familiari. Sin da subito tuttavia, è bene dire chiaramente che la teoria di Marx non ha tuttoggi eguali per la sua capacità di comprensione e spiegazione delle tendenze di fondo del modo di produzione capitalistico, quindi della struttura della società in cui viviamo. Questo non significa ovviamente che sia perfetta, che non necessiti di essere criticata, approfondita o continuata ove necessario, come del resto il suo stesso autore auspicava; ma non significa neppure che essa non funzioni più. Anzi, nessuna meglio di essa ha delle risposte - non tutte sfortunatamente - a molti dei processi storico-economico-sociali tutt’ora in corso.
Le teorie mainstream di economia e di politica ci spiegano come il mondo dovrebbe essere: senza conflitto sociale, senza crisi economiche, senza sopraffazione e sfruttamento. Ci spiegano a chiare lettere in celebrati manuali come siano illegittime le rivendicazioni sociali, errori passeggeri le crisi e via dicendo, perché così è nel mondo armonico ed idilliaco che i loro autori costruiscono (e che ahimè gli studenti sono costretti a studiare). Per la teoria di Marx, invece, non è una sorpresa che ci siano crisi, sfruttamento, conflitto, ecc. Marx non è così banale da dire al mondo ed alle persone come dovrebbero essere, questo già lo fanno i “preti” di tutte le parrocchie, religiose o laiche; Marx spiega le cose per quello che sono. Insomma, la scienza contro l’ideologia.
La borghesia ha ancora paura del vecchio Moro. Per questo motivo, considerato il momento favorevole, si cerca di eliminarne l’eredità politica ed intellettuale ove possibile: scomparso dalle università, scomparso dal dibattito pubblico, superstite in poche cerchie. Ciononostante il maledetto non sparisce, perché? Perché è uno dei pochi ad avere delle risposte e, al bisogno, pure l’intellettualità borghese, bontà sua, gli dà ragione. La sua forza ha fatto diventare alcuni dei suoi concetti fondamentali senso comune, cultura. Queste le solide fondamenta su cui ricostruire.
Tocchiamo alcune delle questioni più attuali ed interessanti. La prima, su cui non vorrei soffermarmi a lungo ma che non si può almeno non menzionare, è che Marx è un autore nuovo. Pare incredibile ed è forse paradossale, ma solo oggi, a così grande distanza dalla sua morte, è possibile leggere per intero la sua opera per quella che è stata. Ciò grazie alla nuova edizione storico-critica delle sue opere, la Marx-Engels-Gesamtausgabe. Nonostante sia in corso di pubblicazione dal 1975, molti, inclusi vari esperti di Marx, non ne sanno niente; non si sa neppure che molte delle opere “classiche” letteralmente non esistono nella forma in cui le si sono lette storicamente. Non si tratta di opere marginali ma di scritti come i Manoscritti economico-filosofici, l’Ideologia tedesca, il secondo ed il terzo libro de Il Capitalecome dire, l’ossatura di moltissime interpretazioni tradizionali. Prenderne atto è difficile, ma è anche il primo, necessario, passo per ripartire.
Uno dei punti chiave della ricostruzione critica della teoria di Marx è che essa si colloca ad un livello di astrazione molto alto, epocale. L’altro punto chiave è che questa teoria è incompiuta, un grande torso. Se intesa in questi termini, essa è tutt’altro che contraddetta dalle tendenze di fondo del capitalismo contemporaneo da una parte, ed aperta a integrazioni e ampliamenti dall’altra. Questa la prospettiva in cui, mi pare, abbia senso muoversi.
Quali sono i risultati epocali su cui Marx ci ha preso? Uno, fondamentale, la cosiddetta globalizzazione, ovvero la tendenza delleconomia mondiale ad integrarsi tanto sul piano produttivo che distributivo. Marx la prevede quando tale sviluppo era praticamente embrionale. Il secondo, altrettanto decisivo, l’incremento esponenziale della produttività del lavoro, anch’esso sotto gli occhi di tutti. Terzo, la trasformazione in salariato, non necessariamente solo in operaio, di chi lavora; l’estensione del rapporto lavoro salariato/capitale a rapporto di produzione dominante, un processo progressivo tutt’ora in atto (ciò ovviamente a prescindere dalla parvenza giuridica di tale rapporto, che quasi sempre, sotto la parvente “autonomia” del lavoratore contraente, solo nasconde forme di inasprimento del rapporto salariale). La finanziarizzazione dell’economia; questo aspetto appare drasticamente ridimensionato nell’edizione engelsiana del terzo libro, dove ciò che nel manoscritto era l’ultima sezione - “Credito e capitale fittizio” -, vale a dire il culmine dello sviluppo della teoria del capitale, viene trasformato in un mero capitolo ed annacquato in mezzo ad altri, facendo sostanzialmente perdere di vista come si trattasse del più concreto grado di sviluppo della teoria complessiva del modo di produzione capitalistico. Ancora? La crisi come elemento strutturale, organico e necessario dello sviluppo del sistema. Non basta? Lascienza l’automazione come esito inevitabile della sussunzione del lavoro sotto il capitale; proprio il contrario di quanto vogliono farci credere Marx avrebbe pensato: il capitale, contraddittoriamente, allo stesso tempo tende a ridurre asintoticamente a zero il lavoro necessario (attraverso l’aumento della produttività e quindi l’estromissione del lavoro vivo) e, contemporaneamente, basa su di esso la propria valorizzazione. Il capitale è questa contraddizione in processo. Una endemica e, progressivamente, non riassorbibile disoccupazione di massasono conseguenza necessaria di tutto ciò. Mi fermo qui, ma si potrebbe andare oltre.
Dove non ci ha preso e perché? Consapevole dell’alto livello di astrazione della sua teoria, Marx si rese conto che mai sarebbe riuscito a svilupparla organicamente e coerentemente fino a giungere ad una concretezza che permettesse un immediato uso politico di essa. Quindi, lui per primo, saltò le mediazioni. Ciò spiega le sue fallaci previsioni sugli sviluppi politici in occidente e oriente. Il grado di avanzamento dell’articolazione della sua teoria non gli permetteva, scientificamente, di spiegare il concretissimo, ma solo le linee di fondo del generale. La mancata articolazione di molti passaggi intermedi, di teorie cuscinetto che aggiungessero lo Stato, il Commercio internazionale, il Mercato mondiale, e probabilmente altro ancora spiegano la fallacia delle sue previsioni politiche. Per le stesse ragioni, molti, sbagliando, hanno cercato la teoria delle classi nel primo libro; essa vi trova sicuramente un importante fondamento, ma mai bisognerebbe scordare che un capitolo dal titolo “classi” lo si trova, incompiuto, solo alla fine del manoscritto del terzo libro.
Altre questioni teoriche chiave, da sempre controverse, sono quella della trasformazione dei valori in prezzi e la caduta tendenziale del saggio del profitto. Sarebbe troppo lungo e complicato anche solo accennare a tali complessi dibattiti; quello che mi preme dire però è che una rilettura dei manoscritti per quello che sono, ovvero articolati abbozzi incompiuti, permette di rivedere in una prospettiva assai diversa non solo la soluzione, ma l’impostazione tradizionale, fortemente influenzata dalla ricezione che ne dette Boehm-Bawerk con la sua trasformazione della teoria marxiana di “Merce e denaro” in “teoria del valore-lavoro”; una definizione così influente che quasi tutti, erroneamente, pensano essere di Marx. Anche la questione della caduta tendenziale, riletta nei manoscritti, appare più complessa e legata alla loro incompiutezza nel contesto dello sviluppo di diversi livelli di astrazione.
Insomma, per farla breve, problemi complessi e in parte da risolvere di una teoria che, ciononostante, spiegamolto meglio il mondo contemporaneo di quanto non facciano quelle mainstream.
Un ultimo accenno a Marx ed il marxismo: non sono la stessa cosa. Quale marxismo poi? ce ne sono a bizzeffe ed assai variegati. Questo, ovviamente, non per dire la banalità che Marx è buono ed il marxismo cattivo. Il marxismo è stato ed è, nella misura in cui ancora esiste, il tentativo di utilizzare la teoria di Marx con finalità politiche. Talvolta il legame con Marx è assai labile, puramente ideale; in altri casi è più concreto, tangibile. In ogni caso ci sono delle mediazioni e dei passaggi che aggiungono, interpretano, estendono, ecc. I successi ed i fallimenti dei marxismi storici non sono immediatamente imputabili a Marx, tanto nel bene quanto nel male. Del resto, come si sa, il Moro, essendo uno scienziato e non un mistico veggente, ha detto assai poco della società futura e si è sostanzialmente espresso in termini assai vaghi. Ciò di cui si è occupato scientificamente èl’analisi del modo di produzione capitalistico (non del capitalismo o dei capitalismi); tale analisi, a suo modo di vedere, pone le premesse di una possibile società futura; ma Marx non costruisce castelli in aria, modelli di società perfette da mettere in piedi facilmente… dallutopia alla scienza si diceva da qualche parte.
Ciò non significa neppure, ovviamente, sostenere che Marx non avesse espliciti interessi politici o che, scrivendo le sue opere, non intendesse contribuire ed incidere sostanzialmente nella lotta politica. È infatti proprio per la forza e per l’effetto sulla borghesia del Capitale, il “missile” che egli le scagliò contro, che ancora parliamo di lui. Ciò però non deve condurre a fallaci semplificazioni del suo pensiero in chiave politicistica, a lasciarsi schiacciare dall’ossessione dell’agire immediato, del trovar risposte pronte al qui e ora dalle singole pagine di quell’opera. Per trovare le risposte c’è una sola via da percorrere: riprendere la strada interrotta delle mediazioni, continuare il lavoro cui Marx ha pazientemente dedicato tutta la vita senza riuscire a portarlo a termine, scendere dallastratto al concreto. Questo oggi è parte dei nostri compiti rivoluzionari ed il miglior modo per festeggiare il centonovantanovesimo compleanno del vecchio Moro.

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