I promessi sposi e i rapporti di forza
I Promessi sposi sono un testo troppo "scolarizzato" per essere letto con la stessa attitudine con cui si approccio un romanzo qualsiasi. È questa la celebre premessa del discorso di Sciascia che afferma di averlo letto prima di studiarlo a scuola e che ciò gli ha permesso di maturare un'idea che, di primo acchito, lascia un po' a bocca aperta: il vero "vincitore" della vicenda è Don Abbondio, l'unico che attraversa tutte le vicende e che resta al suo posto, andando in tasca ai promessi sposi, a Don Rodrigo, a Perpetua, alla peste, ai lanzichenecchi, al mondo intero. È una Provvidenza dunque ben miope a giudicare con gli occhi di chi vuole cercare qualche segnale di progresso nelle vicende umane.
In verità il romanzo finisce con Renzo e Lucia che un accomodamento progressivo lo trovano: Renzo diventa imprenditore/proprietario, Lucia addirittura riesce a dire la sua e a concordare il sugo della storia insieme al marito, i figlioletti imparano a leggere a scrivere, ecc. Certo... non è il paradiso in terra: il male è inevitabile e viene anche se non lo si cerca e spesso pare vincere, ma la fede permette di affrontarlo con più fermezza e quindi anche con qualche possibilità si scamparla in più.
I promessi sposi sono allora il romanzo della necessità storica, dei meccanismi storico-sociali sovradeterminanti e direzionanti all'interno dei quali l'azione umana è possibile e limitata; e soprattutto è efficace solo se quei meccanismi riesce a comprenderli e a inserirvisi in maniera ponderata e precisa. È il romanzo della frustrazione dell'azione umana che al di fuori di quei meccanismi cerca di porsi, di tutti coloro che non sanno muoversi conoscendo le regole del sistema e dei successi parziali di chi, in parte e limitatamente, quei meccanismi con l'esperienza (e sopravvivendo a quelle esperienze) impara a conoscere.
Almeno questa è la lettura che ne dà Italo Calvino all'inizio degli anni Settanta, uscendo da una lunga fase (progressivamente sempre più critica) di prassismo moderatamente ottimista, scottato dall'impasse storico-politica dell'ideologia in cui aveva creduto e per la quale aveva attivamente militato.
Non è un debacle della volontà, ma una presa di coscienza dell'assoluta urgenza di cogliere i rapporti di forza reali, non meramente contingenti ma legati alle tendenze epocali, con la consapevolezza dei limiti stringenti all'interno dei quali l'azione umana è possibile.
I promessi sposi diventano allora il romanzo del dramma storico dell'umanità che fa i conti con l'assoluto (non necessariamente trascedente), ovvero con quei processi che si può rinunciare a pensare (la "fortuna" machiavelliana se la vogliamo casuale o la "Provvidenza" cristiana se la vogliamo intelligente e direzionata ma incomprensibile) o che si può tentare di ricondurre a leggi di movimento (il materialismo storico marxiano).
I. Calvino, I Promessi Sposi: il romanzo dei rapporti di forza, in Una pietra sopra, ora in Saggi, a cura di M. Barenghi, Milano, Mondadori, 1991.
L. Sciascia, Goethe e Manzoni, in Cruciverba, ora in Opere. 1971-1983, a cura di C. Ambroise, Milano, Bompiani, 2001.