Wednesday, 6 June 2012

Discorso di Roberto Fineschi alla commemorazione di Alessandro Mazzone

Queste le poche parole che ho detto ieri alla commemorazione del mio maestro, Alessandro Mazzone. In memoriam.


Con Alessandro Mazzone ebbi la mia prima lezione universitaria nell’ottobre del 1992. Si trattava di un corso sulla Filosofia del diritto di Hegel. Ricordo che mi ci vollero mesi prima di riuscire a comprendere che cosa stavo studiando. Provavo a scrivere meccanicamente quello che il professore diceva nella speranza, prima o poi, di capirci qualcosa, anche se un po’ disperavo.
Eppure, alla fine, ha funzionato. L’idea che un classico della filosofia è una complessa ed intricata trama, la cui decifrazione richiede tempo e fatica e che di esso non è possibile fare un riassunto credo sia alla base di tutto quello che ho fatto dopo.
Il gruppo di studenti che a suo tempo iniziò la propria carriera accademica con lui - i “mazzoniani” ci chiamavano - ha conservato un ricordo indelebile di quegli anni. Avevamo sicuramente subito la fascinazione di una personalità poliedrica e misteriosa, coltissima e provocatoria; la difficoltà dell’entrare nell’articolato mondo hegeliano e marxiano non era semplificata; si era introdotti alla complessità, non alla soluzione facile. Ci sembrava di crescere, di capire di più, di superare degli ostacoli esterni che erano anche ostacoli interni.
Pur nell’estrema difficoltà di quel percoso, abbiamo imparato che potevamo migliorarci, non mettere da parte le difficoltà, ma affrontarle ed uscirne.
Prima di seguire Alessandro Mazzone la maggior parte di noi parlava italiano; un piccolo mondo di provincia attanagliava in una morsa invincibile le prospettive del nostro conoscere. Mazzone ci ha spinto a viaggiare, ad imparare altre lingue, ad ampliare a dismisura i confini del nostro piccolo mondo. Non c’era più l’Italia, il libro tradotto, il testo fotocopiato senza bibliografia. C’era piuttosto l’universo del sapere nelle sue complesse sfaccettature che aspettava noi.
Intorno a lui si creò un gruppo di allora studenti che fecero una scommessa su se stessi, partecipando ad un progetto collettivo, eterodosso per l’università italiana, di cui tutti conserviamo un segno vivido, pur nella diversità di quello che abbiamo fatto dopo.
Sicuramente giovani ed un po’ infatuati, senza scordare le difficoltà caratteriali e gli inevitabili momenti meno sereni che questo tipo di cammino ha comportato, siamo riusciti come gruppo, sotto la sua guida, a maturare una consapevolezza nuova. Siamo cresciuti come persone.

Personalmente, unico ad aver continuato pur in maniera semi-professionale un certo tipo di studi, non posso pensare neppure ad una cosa delle varie che ho fatto che non sia “mazzoniana”.

Alessandro Mazzone è stato un esempio di metodo e scrupolo intellettuale; alieno ad ogni faciloneria, fin troppo responsabile nei confronti delle cose che scriveva, ha lasciato pochi, ma ineguagliati contributi.
Le sue interpretazioni, estremamente complesse e di non facile ricezione, sono per molti aspetti un unicum nel panorama della letteratura marxiana. I suoi contributi sulla teoria del feticismo e dell’ideologia, condotti su rigorosa base testuale, non hanno eguali; come il suo studio sulla struttura della teoria del capitale e delle classi.
Ad Alessandro Mazzone va soprattutto riconosciuto il merito storico di aver portato in Italia la Mega, la nuova edizione critica delle opere di Marx ed Engels. Altri se ne erano occupati con merito negli stessi anni, ma lui solo non ha mai cessato di sostenerne l’importanza ache nei periodi culturalmente più difficili, facendone una discriminante nell’interpretazione teorica.

Questa per concludere, l’immagine che viene alla mia mente e con la quale lo voglio ricordare: in un’aula seminari annebbiata dal fumo di pipa, circondato dai suoi studenti intenti a discutere i loro elaborati, scrive meditando uno dei suoi famosi “verbali”.

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