Friday 6 September 2019

Ascanio Bernardeschi. Recensione di Saggi sull’(in)attualità di Marx, Consecutio Rerum, n. 5 /2018, Marx Inattuale, a cura di Riccardo Bellofiore e Carla Maria Fabiani, Edizioni Efesto, Roma, pp.541, € 20,00. Visibile anche su (http://www.consecutio.org)

Ascanio Bernardeschi. Recensione di Saggi sull’(in)attualità di Marx, Consecutio Rerum, n. 5 /2018, Marx Inattuale, a cura di Riccardo Bellofiore e Carla Maria Fabiani, Edizioni Efesto, Roma, pp.541, € 20,00. Visibile anche su (http://www.consecutio.org)
La penosa sorte in Italia degli sparsi movimenti politici che ancora si dichiarano anticapitalisti fa il paio con la fiacca ricezione di Marx e degli studi su Marx nell’editoria, nell’accademia e perfino nella politica. Probabilmente le due cose – le disfatte pratiche e l’ignoranza teorica – si alimentano a vicenda in una spirale perversa, quando invece gli insuccessi politici dovrebbero consigliare di dedicarsi un po’ di più allo studio e alla meditazione.
Per esempio la pregevole edizione del primo libro del Capitale ad opera di Roberto Fineschi non ha suscitato particolare interesse e discussione, tanto da determinare l’interruzione del progetto che prevedeva la pubblicazione anche degli gli altri libri. La stessa cosa si può dire degli studi connessi alle importanti acquisizioni derivanti dalla ripresa su nuove basi dell’edizione completa delle opere di Marx (MEGA2).
Neppure l’ultima, gravissima crisi del capitalismo, che pure all’estero ha determinato un importante risveglio dell’interesse e riconoscimenti sull’importanza delle opere del Moro, ha prodotto analoghi risultati nel Belpaese. Eppure, a mio modo di vedere, questa crisi non è
possibile decifrarla senza utilizzare la “cassetta degli attrezzi” di Marx.
Il 2018, bicentenario della sua nascita, è stato l’occasione per far tornare ad essere un business – in senso lato, cioè anche dal punto di vista politico, di audience, carrieristico etc. – il grande teorico del comunismo. Personalmente non amo la moda di saltare addosso ai centenari, ai bicentenari e così via, per affrontare gli argomenti che la ricorrenza pone al centro dell’attenzione. Mi sembrerebbe più razionale che l’oggetto delle diverse analisi, approfondimenti etc. fosse scelto in base alle necessità e alle urgenze teoriche e pratiche del momento, non alle occasioni commemorative.
Tuttavia, nel penoso quadro italiano, ben venga che l’occasione del bicentenario abbia stimolato la fioritura di iniziative editoriali, convegnistiche etc. Sennonché nella maggior parte dei casi ha prevalso il business sull’approfondimento, il civettare con le mode culturali sulla
serietà della ricerca, gli aspetti secondari del lascito marxiano su quelli principali.
Fra le eccezioni è da segnalare il numero 5 dell’anno 2018 della rivista Consecutio Rerum che tende a misurarsi molto seriamente con la questione centrale, con il capolavoro di Marx: la critica dell’economia politica. Nella quarta di copertina viene precisato il senso del titolo del poderoso volume, Marx Inattuale, riportando un motto ietzscheiano: inattuale perché si pone “contro il tempo” per superarlo “a favore di un tempo a venire”. E contro il tempo attuale
è anche la coraggiosa scelta dei curatori, Riccardo Bellofiore e Carla Maria Fabiani, di mettere in sequenza 26 saggi, talvolta di non facile lettura e alcuni dei quali in lingua inglese, seguendo tuttavia un filo conduttore che, sull’onda della Neue Marx-Lektüre, ma progredendo oltre, va dal metodo (prima parte della rivista) alla rilettura del primo libro del Capitale (seconda parte) e ad alcune “letture” (terza parte) incentrate sulla teoria marxiana del valore e le riflessioni sull’argomento di Suzanne de Brunhoff, Lucio Colletti, Christopher Arthur, Moishe
Pistone, Michael Heinrich, Augusto Graziani, Claudio Napoleoni, Max Horkheimer, Theodor Adorno, Helmut Reichelt, Hans Georg Backaus e Bellofiore stesso.
È impossibile in una recensione, entrare nel merito, neppure per cenni, degli argomenti affrontati in numerosi articoli, tutti assai interessanti e che nel loro insieme, pur fra la pluralità di opinioni su alcuni nodi, ci mettono in condizione di rileggere Marx alla luce di una corretta comprensione del suo metodo. A questo proposito di grande valore è la puntuale ricostruzione filologica di Roberto Fineschi. Sullo stesso tema, nonché sulle recenti
interpretazioni del lascito marxiano, e talvolta sulle ricostruzioni intente a colmare le lacune di un capolavoro incompiuto, si sofferma Heinrich.
Altro lavoro che mi è parso particolarmente interessante è quello di Elena Louise Lange, che riguarda ancora il metodo di Marx da valutare, secondo l’autrice, alla luce dei suoi risultati (“the proof is in eating the pudding”. Sempre sul metodo è da segnalare un interessante contributo di Redolfi Riva. Altri argomenti trattati sono il lavoro astratto (Bonefeld, Bellofiore, Pozzoni, Arthur), il denaro e la moneta, spesso in connessione con l’astrazione del lavoro, cosa condivisibile visto che il denaro è la misura fenomenica del valore e che quest’ultimo viene effettivamente realizzato attraverso lo scambio della merce con il denaro (Engster, Carson, Balibar, Bellofiore), il
processo di valorizzazione basato sulla ricchezza esclusivamente quantitativa, astratta e non sui valori d’uso (Tomba), la giornata lavorativa (Meriggi), il plusvalore relativo e il sistema delle macchine (Turchetto e Micaloni), la legge dell’accumulazione capitalistica e le recenti
trasformazioni del mercato del lavoro (Forges Davanzati), l’accumulazione originaria (Taccola), la fenomenologia dello stato moderno capitalistico e la sussunzione dello stato al capitale (Fabiani), la teoria della colonizzazione (Masi), il contributo di Suzanne de Brunhoff (Carson e Balibar), la parabola di Lucio Colletti (Pozzoni), la lettura di Moishe Postone (O’Kane), la teoria macromonetaria della produzione capitalistica (Bellofiore).
Dopo questa sorta di sommario e l’espressione del massimo apprezzamento per questa iniziativa editoriale, mi rimane di soffermarmi sui soli, pochissimi, elementi che,
inevitabilmente in quanto siamo di fronte a una pluralità di opinioni, mi sono parsi meno convincenti.
Comincio con la pregevole introduzione di Bellofiore secondo il quale non ha senso cercare con sotterfugi di salvare Marx dai fallimenti dei marxismi reali, come – a suo modo di vedere – fa anche la Mega2, mentre invece ritengo che la restituzione dei testi veri di Marx non solo ci
consenta di replicare a una serie di critiche infondate, effettuate per secoli alla sua teoria, ma anche di avere maggiori strumenti per superare i limiti dei marxismi reali. Forse c’è un rapporto fra quel giudizio di Bellofiore e le sue affermazioni sulla crisi e sulla caduta del saggio del profitto in termini di “profit squeeze” e non come effetto della crescente composizione organica del capitale. Viene così buttato a mare un elemento non secondario dell’analisi marxiana che è confermato dall’evidenza empirica: è stata rilevata infatti una stretta correlazione fra l’innegabile andamento declinante del saggio del profitto nel lungo
periodo e la crescente composizione del capitale.
Su questa “legge” si sofferma anche il pur prezioso contributo di Heinrich. Egli parte da una osservazione a margine di Marx apposta nella sua personale copia del primo libro del Capitale e che Engels riporta in nota alla terza edizione. Scrive Marx che se l’ampliamento del capitale è qualitativo, “salirà allo stesso tempo il saggio del profitto per il capitale maggiore” (cioè, si intuisce, con una maggiore composizione organica del capitale). Heinrich vi vede una contraddizione fra questa osservazione e la legge della caduta tendenziale del saggio del profitto illustrata nel terzo libro. Se così fosse si tratterebbe di un ripensamento di Marx, visto che l’annotazione è successiva alla stesura dei manoscritti poi pubblicati da Engels come terzo libro. Mi sembra che Heinrich cada in un fraintendimento che ha dell’incredibile per uno studioso del suo valore. Il capitale avente una maggiore composizione organica per effetto dell’introduzione di una innovazione, in effetti ricava un maggiore saggio profitto individuale perché si appropria di un extraprofitto ai danni dei concorrenti, potendo vendere a un prezzo maggiore del valore individuale del suo prodotto. Ma la medesima innovazione diminuire il saggio medio allorquando l’innovazione si generalizza e con essa la maggiore composizione organica. Viene confuso cioè il confronto fra saggi individuali in un dato momento con il confronto fra i saggi medi del profitto in due successivi momenti, prima e dopo l’introduzione generalizzata delle innovazioni che risparmiano lavoro. Per Marx il fattore tempo e le ripercussioni nel tempo di un investimento iniziale giocano un ruolo fondamentale.
Nel corposo saggio finale, Bellofiore, dopo un’analisi critica utile e puntuale dei contributi di molti autori, ribadisce la sua già nota teoria macromonetaria della produzione capitalistica, compresa l’enfatizzazione del ruolo dell’ante-validazione monetaria da parte del credito per la generazione del valore. A mio modo di vedere invece l’ante-validazione non gioca un ruolo così rilevante nella teoria del valore.
L’ultima annotazione è sulla scelta dei saggi pubblicati che evidentemente è conseguente agli argomenti messi a tema. È quindi comprensibile che manchino nella rassegna altri contributi contemporanei quali quelli per esempio della scuola della Temporal Single System Interpretation (a proposito dell’importanza del tempo) che avrebbero determinato un interessante confronto con le tesi di Bellofiore, oppure quelli di Giovanni Mazzetti sull’orario
di lavoro o di Gianfranco Pala sul salario. Ma un solo numero di una rivista non poteva certo rimediare a tutte le vistose lacune dell’editoria nostrana e l’iniziativa di Consecutio Rerum è senz’altro da salutare con compiacimento e gratitudine.
Ascanio Bernardeschi

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