Thursday, 28 May 2020

"Schiarimenti" sul mio aritcolo "Alle origini della Filosofia della prassi. Letture italiane delle Tesi su Feuerbach", in Marx in Italia a cura di C. Tuozzolo

Vorrei spiegare meglio il senso del mio saggio dal titolo Alle origini della "Filosofia della prassi". Letture italiane delle Tesi su Feuerbach, apparso in Marx in Italia a cura di C. Tuozzolo.

Il contesto complessivo del volume dal punto di vista del curatore, se capisco bene anche dalla presentazione di oggi durante il seminario on-line, mi pare sviluppi, in un mio riassunto estremamente sommario, la seguente logica:

1.1) La filosofia della prassi è un'interpretazione interessata di Marx da parte di Gentile e come tale passa in Gramsci;
1.2) Il marxismo italiano senza Capitale del PCI di ispirazione gramsciana viene in realtà da Gentile; Gentile travisa Marx e il marxismo italiano di conseguenza fa lo stesso; 
1.3) Croce, liberale, invece studia Il capitale e quindi è più solido, ergo: 
1.4) la via di uscita è mettere insieme Marx col liberalismo.

Si tratta ovviamente di una schematizzazione estremamente sommaria che non fa giustizia alla complessità dell'argomentazione, ma a me serve per spiegare dove mi colloco io. 

Un'altra variante riemergente con punti di contatto con la precedente è:

2.1) La filosofia della prassi è un'interpretazione interessata di Marx da parte di Gentile e come tale passa in Gramsci;
2.2) dunque fascismo e comunismo sono contigui nel bene (anticapitalismo) e/o nel male (totalitarismo), a seconda delle prospettive interpretative.
2.3) Per l'oggi, se ne deduce un'utilità di Marx/Gentile/Gramsci in chiave anti-capitalistica.

Entrambi questi approcci potrebbero usare il mio saggio per portare acqua al proprio mulino, quindi intendo chiarire meglio, sempre sommariamente, perché invece questo non sia il mio punto di vista e perché non ritengo legittimo questo eventuale uso.

Nel saggio cerco di mostrare filologicamente che quanto si intende con Filosofia della prassi non viene da Labriola - per quanto egli inventi l'espressione che, si badi bene, non è di Marx - ma da Gentile. Mostro poi come Gramsci assorba questo concetto da Gentile e non da Labriola. Infine, cerco di argomentare come la Filosofia della prassi nei termini tradizionali sia un'interpretazione inadeguata del pensiero di Marx. Un lettore frettoloso potrebbe pensare che ciò sia coerente con le posizioni sopra espresse, in particolare 1.1, e 2.1 da cui a cascata di dedurrebbe tutto il resto; invece credo di no, per i seguenti motivi:

A) Sostenere che la Filosofia della prassi nei suoi termini tradizionali sia un'interpretazione di Gentile e che Gramsci la riprenda da lui, non significa affatto dire che Gramsci e Gentile sono la stessa cosa. Ed infatti non lo sono affatto, perché Gramsci cerca di digerire la Filosofia della prassi dentro, per parlare alla spiccia, il materialismo storico. Anche se Gramsci non è esegeta del Capitale, ha in mente lotta di classe, rapporti di produzione e tendenzialità epocali, ecc. Insomma, mentre Gentile riduce tutto alla Filosofia della prassi, Gramsci cerca di inquadrarla come, sempre semplificando, una teoria della sovrastruttura da pensare insieme alla struttura. Si può discutere se egli riesca o meno in questo suo tentativo e se vi sia coerente fino alla fine, ecc. ecc., ma non è Gentile.
B) Di conseguenza, se non è del tutto sbagliato che il PCI abbia sviluppato un marxismo senza Capitale, non bisogna scordare che, considerando le circostanze storiche in cui quel conflitto si è sviluppato, si propose un piano di "riforme di struttura", che già erano iniziate con il fascismo e che continuavano nel dopoguerra. I processi reali erano già maturi o in via di maturazione. Si può discutere all'infinito sui limiti di tutto ciò, ma non credo si possa dire che non ci fosse una considerazione delle dinamiche epocali della "struttura" del capitalismo (probabilmente insufficiente e sempre più nell'ultima fase, ma non assente).
C) Per quanto quindi il fascismo possa essere considerato una rivoluzione passiva, esso non è il comunismo, non solo di fatto, ma neanche nell'interpretazione di Gramsci, se non altro per la questione nodale della lotta di classe, un punto strutturale/sovrastrutturale per eccellenza (non solo sovrastrutturale).
Quindi, A, B, C credo mostrino che non c'è alcuna deduzione automatica da 1.1 e 2.1 a 1.2 e 2.2.

Vediamo 1.3 e 1.4. È vero che Croce studia Il capitale, ma la sua interpretazione è sbagliata, soprattutto nelle due questioni cruciali del cosiddetto Paragone ellittico e anche nella Critica della caduta tendenziale del saggio di profitto (argomento più delicato). Per riprendere un tema a me caro, Croce imposta in maniera sbagliata il tema cruciale dei livelli di astrazione (come ho cercato di dimostrare in Ripartire da Marx soprattutto per la questione del paragone ellittico).
Se filosoficamente Croce si pone su di un piano esplicitamente diverso rispetto a Marx, nel merito la sua interpretazione non è meno erronea di quella di Gentile. Sembra dunque a me estremamente problematica un'interpretazione liberale di Marx sulla scia di Croce. 

Infine 2.3. Ho cercato di mostrare con un po' più di precisione come si articoli il rossobrunismo in questa paginette alle quali mi permetto di rimandare: Orientamenti politici e materialismo storico. Solo omettendo la struttura si può giungere alle conclusioni rossobrune.

Quindi, se le due interpretazioni di cui sopra non sono affatto in linea con il mio pensiero e, secondo me, neanche con una corretta esegesi testuale, perché questo articolo?
Perché l'elemento gentiliano, che credo innegabile, non permette, come non ha permesso a Gramsci, una adeguata teorizzazione del nesso struttura-sovrastruttura. A mio modo di vedere bisogna prendere atto di questo limite e riprendere il lavoro ipotizzando correzioni/nuove teorizzazioni che tengano ben presente questo caveat.







Tuesday, 12 May 2020

Transcripción en castellano de la intervención de Roberto Fineschi, filósofo, en la emisión en directo de “Violencia, clases y Estado en el Capitalismo crepuscular”, organizado por Rete dei Comunisti en su página fb el domingo 3 de mayo de 2020.

Transcripción en castellano de la intervención de Roberto Fineschi, filósofo, en la emisión en directo de “Violencia, clases y Estado en el Capitalismo crepuscular”, organizado por Rete dei Comunisti en su página fb el domingo 3 de mayo de 2020.


(agradecimiento por la invitación). Espero conseguir explicarme, cosa que, generalmente, a los filósofos no se les da bien.
Mi discurso es un poco más teórico (que el anterior) en el sentido que mi esfuerzo se centra en pensar las dinámicas generales de clase y de cómo se configuran los sujetos que actúan históricamente, políticamente, en esta fase que, como recordábais, llamo “Capitalismo crepuscular” y cómo el nodo de la violencia, que es el tema específico a tratar, nace intrínsicamente en el seno de esas dinámicas. Es decir, cómo la violencia y el endurecimiento de la violencia es algo que necesariamente trae el desarrollo de las situaciones que se dan.
Digamos, para explicar sintéticamente la idea, que uno de los puntos centrales es la crisis del concepto de persona. El concepto de persona es la clave ideológica, institucional y jurídica del mundo burgués. Y por un largo período de tiempo, es una lucha progresista. Si pensamos en el período de revoluciones y conflictos de la clase burguesa contra las fuerzas del Antiguo Régimen, es precisamente la afirmación de la universalidad de la persona, del hombre como principio, lo que en esa fase histórica tiene un carácter absolutamente positivo.
En este sentido surge ya un punto clave, el de la historicidad de estas categorías. Esta historicidad implica que una categoría como la de persona tiene una función históricamente progresista en un determinado momento del desarrollo de las relaciones de fuerza y que puede tener una función negativa o diferente en otras fases.
Porque en la teoría de Marx, que es la que más he estudiado y ha hecho de horizonte a amplios frentes de fuerzas progresistas, un concepto clave es el de la HISTORICIDAD DE LOS SUJETOS Y DE LOS MODOS DE PRODUCCIÓN. Equivale a decir que, según Marx, el “hombre” en general no existe, la “persona” en general no existe como un hecho natural, sino que ella misma es resultado de procesos históricos, cambios del modo de producción que implican precisamente que este mismo concepto de “hombre” en general se produce históricamente.
Y este es un punto realmente clave porque toda la ideología burguesa se basa en el naturalismo de la persona. Es decir, sobre considerar que hombre y persona son la misma cosa. Esta es la gran función histórica de la filosofía de Locke, por ejemplo, que teoriza como derechos naturales la
igualdad, la libertad y, obviamente, la propiedad. Porque el paquete va por junto.

Si nosotros pensamos en términos de persona al hombre como tal y, por tanto, reducimos nuestras reivindicaciones políticas las reducimos a las reivindicaciones de la “condición de persona”, esto nos vincula a un contexto de sentido burgués que no somos capaces de romper porque (y aquí el discurso es complicado otra vez) porque en las condiciones actuales, por ejemplo, la reivindicación de los derechos de las personas, se ha convertido de nuevo en un elemento progresista porque a muchos seres humanos les es negada la condición de persona y, por tanto, reivindicar para ellos el derecho a ser persona es claramente positivo.
Pero el punto no es negar la reivindicación de la condición de persona, sino creer que esto es suficiente. Es decir, que restablecer los derechos de la persona como tal a nivel universal, nos libre del modo de producción capitalista (en adelante, mpc). Al contrario, es precisamete el mpc el que impone la persona como estructura universal de sentido.
Y, de nuevo, Marx nos enseña, en los primeros capítulos de El Capital, pero ya antes en el Grundrisse, cómo la persona es la forma de subjetividad que nos viene impuesta por la circulación de las mercancías: libertad e igualdad son las precondiciones del mercado. Sólo en la medida en la que se es libre, igual y titular de propiedad, se puede intercambiar. Y es el mpc el que universaliza este concepto a toda la especie humana.
Por tanto, de nuevo, en su dimensión progresista, si nos limitamos a reivindicar la libertad y la igualdad en el contexto personal, nos convertimos en Proudon, somos los utópicos. Es como decir que queremos estos aspectos positivos del mpc, pero sin comprender que son el fruto del mpc. Muchos movimientos libertarios, reivindicando la libertad individual, son progresistas en determinadas fases, pero, si luego se radicaliza esta posición, se recae en una ideología individualista que es el fundamento conceptual del capitalismo, del mpc y de la propia burguesía.
Por tanto, de nuevo, el concepto de persona tiene dos caras: tiene su dimensión progresista, en ciertas fases históricas es una legítima reivindicación progresista. Pero no puede ser el horizonte de sentido de una conflictividad social y de un cambio de estructuras.
Y, en este sentido, Marx insiste en mostrar que libertad, igualdad y propiedad son una apariencia fenoménica. Es decir, son la manera en que los sujetos del proceso se relacionan en la superficie de la sociedad.
Pero NO SON EL ANÁLISIS ESTRUCTURAL de la dinámica histórica de trasformación. Y según Marx,  LOS  SUJETOS  ESTRUCTURALES   DE  ESTA   DINÁMICA  HISTÓRICA  SON  LAS
CLASES.  Esta  es  la  crítica  fundamental  de  Marx  al  mundo  político,  económico,  ideológico
burgués: los sujetos históricos no son los individuos, son las clases.

Y también aquí hay que prestar mucha atención porque es muy sencillo proponer una interpretación reduccionista de clase que se basa sustancialmente en parámetros sociológicos. Yo qué sé...”los de la fábrica”, “los que tienen un cierto nivel de renta”... Esto no son clases. Esto son estratos. Es decir, son agrupamientos de determinados grupos de individuos organizados en base a criterios sociológicos.
La definición que propone Marx es una DEFINICIÓN FUNCIONAL de clase. Es decir, según el rol que las clases como sujetos, como encarnación de las fuerzas de producción , desarrollan en las relaciones de producción. Y el nexo conceptual fundamental es la relación entre capital y trabajo asalariado. Es éste el dualismo de fondo que Marx propone.
Y por tanto, es una perspectiva mucho más amplia que ver al obrero de fábrica. No es sólo el trabajador de fábrica. La FUNCIONALIDAD del trabajo asalariado desde la perspectiva de la valorización, y con todas las modificaciones que el mpc impone a las dinámicas del trabajo, son categorías que todavía funcionan.
Ese es el punto clave para entender el cambio de fondo, las mutaciones que el proceso de trabajo sufre una vez que se hace capitalista. Éstos son, sustancialmente: el carácter cooperativo del trabajo, el carácter parcial del trabajo, el carácter subordinado del trabajo... Y todo ello subordinado a la valorización del capital.
En estos términos, estas categorías son realmente de amplio espectro, identifican como eventuales sujetos políticos antagonistas del capital a toda una serie de sujetos que antes se excluían porque no eran el trabajador de fábrica o no eran traducibles a esta figura.
Y en este sentido, esta distinción es para mí muy importante porque abre muchísimo el espectro de aplicación de la teoría marxiana de las clases.
Digo esto como premisa al discurso propiamente dicho, que abordo ahora: el capitalismo crepuscular.
Según la teoría de Marx, el mpc tiene mecanismos de funcionamiento que implican una dinámica. Es decir, que no repiten mecánicamente el mismo proceso idéntico a sí mismo, sino que le dan a este proceso una dirección. Dinámicas de fondo que, al progresar, modifican la propia estructura dinámica del proceso. El proceso no se repite nunca igual a sí mismo, sino que en su desarrollo cambia de funcionamiento, tiene ajustes estructurales a medida que progresa.
¿Cuál es la dinámica de fondo del proceso? El mpc funciona en cuanto proceso de valorización del
capital. Esta es la reducción al mínimo del capitalismo. La inversión de dinero debe producir más dinero del que se ha invertido.
¿De dónde viene este “más” del que el capital se apropia? Viene del plus-trabajo, plus-explotación de los trabajadores, etc.
El punto es que, para aumentar esta explotación, para aumentar la producción de plusvalía, el mpc modifica sustancialmente la forma de trabajar y modifica también su estructura. En la práctica, lo hace para aumentar la productividad, aumenta la parte que se invierte en maquinaria, “capital constante” lo llama Marx, lo que no es capital variable. Es cecir, el “trabajo vivo” es capital constante.
Este mecanismo de aumento del capital constante y, por tanto, de aumento de la productividad del trabajo, permite, por varios motivos que no se pueden resumir ahora, el aumento de la explotación y
, por tanto, de la plusvalía.

Esta es una dinámica AUTOCONTRADICTORIA porque para aumentar la plusvalía, el mpc tiende a excluir al “trabajo vivo” del proceso de trabajo (a través de la automatización, a través del incremento de la productividad del trabajo...).
Esta dinámica de fondo es constante, pero va por ciclos, hay ciclos en los que es más fuerte y ciclos en los que se reduce. Pero, de fondo, tiende a aumentar. Es lo que se llama el aumento de la composición técnica de la composición orgánica del capital.
Esto determina las transformaciones de fondo por las que, en procesos particularmente avanzados, la necesidad del “trabajo vivo” se reduce cada vez más. ¿Por qué? Porque las máquinas pueden hacer antes, mejor y en mayor cantidad toda una serie de producciones que antes requerían un amplio empleo de “trabajo vivo”.
Está a la vista de todos que, gracias a la informatización, a la inteligencia artificial, este nivel de sustitución del trabajo vivo a través de las máquinas está alcanzando niveles antes impensables. Sustituye incluso el trabajo intelectual: leía hace un tiempo sobre bufetes de abogados que, para hacer el trabajo de síntesis y recogida de leyes sobre un determinado caso, ahora usan un software que lo hace antes que un equipo de personas que antes tenian que hacerlo. O a nivel periodístico, todas las selecciones de artículos sobre un determinado tema, una especie de resumen de contenidos, ahora hay software que lo hace.
Por tanto, el proceso de sustitución ya no afecta sólo al trabajo material, como se decía antes, sino que está afectando ya al trabajo más sofisticado, al intelectual.
Como consecuencia de este proceso tiene lugar un cambio estructural en el mpc que tiene que ver con el ejército industrial de reserva. En la teoría del capital de Marx está teorizada la desocupación. Este ejército industrial de reserva es la teoría de la desocupación. Es decir, que el mpc determina que una gran masa de trabajadores no encontrarán trabajo. Marx la define como “elástica”, es decir, que va y viene, tiene dinámicas de expulsión y dinámicas de reabsorción.
En el capitalismo crepuscular, precisamente a causa de este aumento espantoso de la composición técnica (a causa de la automatización), esta dinámica del ejército industrial de reserva, tiende a hacerse rígida, tiende a dejar de ser elástica y, por tanto, el proceso de reabsorción es, o lentísimo, o no existe. Esto implica tasas de desocupación terribles o tasas de subempleo.La flexibilidad, claramente,se corresponde con ésto, o los minijobs alemanes (hacemos que tres personas hagan el mismo trabajo y tenemos a tres ocupados en lugar de uno. Pero el trabajo era uno.)
¿Por qué? Porque, de hecho, hay una sobreabundancia increíble de trabajo vivo. Esta sobreabundancia de trabajo vivo es la precondición de toda una serie de dinámicas que, efectivamente, llevan a la violencia como último factor.
En términos generales, el mpc es un mp basado en la violencia porque, en la base, el plustrabajo es una expropiación del trabajo de los trabajadores y, por tanto, esto está en el ADN del mpc.
Ahora, el punto que hay que entender es cómo esta dimensión de la violencia se extiende más allá de estas dinámicas de fondo hasta llegar a atacar las propias ideas burguesas fundamentales y el propio concepto de persona.
¿Qué quiero decir? Si la elasticidad del ejército industrial de reserva se hace rígida, si la oferta de trabajo supera con mucho a la demanda, esto significa que el trabajo cualificado también, que la potencial capacidad contractual del trabajo más sofisticado, disminuye mucho. ¿Por qué? Porque hay demasiados. Hay demasiados buenos. No sólo hay demasiados normales o demasiados regulares, sino que hay demasiados buenos. Quiere decir que ya no existe una conflictividad basada en “dado que esta cualidad sólo la tengo yo, tienes que acercarte a lo que pido”. También ésto tiende a desaparecer porque hasta el trabajo de ingeniero está infrapagado. ¿Por qué? Precisamente por ese exceso de oferta.
Y, por tanto, ¿qué pasa? Más allá de la capacidad contractual, lo que desaparece es un concepto fundamental de la ideología burguesa: LA RELACIÓN ENTRE MÉRITO Y GANANCIA. En la ideología burguesa se dice: “si estudias, te esfuerzas, pones de tu parte..., tendrás éxito”. No es así. Porque, teniendo ésto en cuenta, tampoco un trabajo altamente cualificado (una inversión en capital humano, como les gusta decir a los ideólogos contemporáneos) rinde necesariamente.
La relación MÉRITO-TRABAJO-GANANCIA es uno de los conceptos fundamentales de la ideología burguesa a partir del Protestantismo, es un pivote de este mundo ideal. Y esto se despedaza.
Volvamos a las PERSONAS de las que hablábamos antes:

¿qué significa ser persona? Ser libres, ser iguales, tener propiedad, tener capacidad de decidir qué hacer... Pero, ¿cuál es la condición estructural para que estos individuos, personas, puedan hacer estas cosas? La condición estructural es que estas personas tengan dinero. Tener una renta es la condición material de la práctica de la condición de persona: ser libre quiere decir “puedo comprar lo que quiero” Pero si no tengo dinero, no puedo comprar nada; ser iguales quiere decir que yo puedo hacer lo que hacen todos los demás. Pero, de nuevo, si no tengo dinero, no puedo poner en práctica mi igualdad porque, de hecho, no tengo las condiciones materiales.
LA CARENCIA DE TRABAJO Y LA CARENCIA DE RENTA PONE EN CRISIS, MATERIALMENTE, EL CONCEPTO DE PERSONA.
Porque si la práctica de la condición de persona pasa por la disposición de renta, el no tener renta, crea las condiciones materiales para que yo no pueda ser persona.
Entonces, desde la perspectiva del individuo singular, ¿qué puedo hacer yo para ser persona? Tener una renta. ¿Cómo puedo tener una renta si no existen las condiciones de empleo? Aquí comienza estructuralmente una dinámica por la cual muchos individuos son propensos a tener una renta de forma ilegal. Ilegal no quiere decir simplemente trabajar en negro, sino también recomendaciones, conseguir una pensión gracias al primo del ministro, encontrar trabajo porque ya trabaja mi padre... Es decir, todas dinámicas que me permiten ser persona teniendo una renta.
PERO PARA TENER ESTA RENTA YO VIOLO EL CONCEPTO DE PERSONA. El concepto de
persona entra en crisis en la práctica de estos individuos: yo, para ser persona, violo la condición de persona. Yo, para tener una renta y practicar mi libertad e igualdad, actúo prácticas que violan la libertad y la igualdad.
Y, por tanto, el punto clave es que esto se convierte en una práctica de masas: la violación de la condición de persona para ser persona.
Es una práctica contradictoria que culmina en la destrucción ideológica del concepto de persona o, al menos, de su universalidad. Muchos individuos, en su práctica, violan sistemáticamente el concepto de persona para ser persona.
¿Qué consecuencias tiene? Las consecuencias de este concepto son fundamentales porque,
ideológicamente, se convierten en la base del fascismo o de cualquier ideología racista: si no es posible que el concepto de persona se haga universal porque no existen las condiciones estructurales, no por capricho mío ni de ningún otro, no existen las condiciones estructurales para universalizar el concepto de persona.
Si yo para ser persona violo el concepto, entonces, pienso yo, individuo: ¿por qué no organizar un sistema por el cual el concepto de persona no sea universal, sino sub-universal? Es decir, por qué no restringir el concepto de persona en base a determinadas características. Por ejemplo, por citar algún ejemplo histórico, los arios, ¿por qué no consideramos persona sólo a los arios? Así, mi capacidad de acceder a la condición de persona está mejor garantizada. Yo, ario, obviamente. ¿Por qué no limitamos el concepto de persona sólo a los italianos?, ¿por qué no limitamos el concepto de persona sólo a los cristianos?, ¿o por qué no ponemos dos o tres juntos? Y hacemos una ideología estupenda.
Espero explicarme porque creo que es la clave para entender ésto.

¿Y por qué este concepto se ha hecho popular? Porque ya existe en la praxis. En la praxis de los individuos que para ser persona violan la condición de persona. Está bien, ya está en la práctica que se limita la condición de persona. Porque ya lo hacen. Ellos ya lo violan. Y, entonces, ¿por qué no organizar esta violación como un sistema ideológico que garantice la condición de persona sólo a algunos? Y, por tanto, antes los italianos, antes los del Norte, antes lo que sea, ¿entendéis? Los mejores consiguen organizar ese aparato ideológico de tal manera que resulta súper penetrante.
Pero no sólo ideológicamente. Está también el aspecto práctico porque, si el concepto de persona no es universal, a las no personas yo no tengo que garantizarles una pensión, no tengo que garantizarles el paro, no tengo que garantizarles la sanidad.
Y esto, a aquellos que sin embargo sí son personas, les suena bien ¡porque hay más dinero para nosotros!, ¿comprendéis? Si yo soy italiano y el inmigrante no lo es, yo tengo derecho a esto y aquello; el inmigrante no. Si tuviese derecho también el inmigrante, yo pierdo algo porque lo que se gasta en mí también se gasta en él. ¿Entendéis? Son discursos ideológicos que escuchamos todos los días de representantes políticos bien conocidos. Pero el mecanismo de fondo es éste y se hace hegemónico y de masas porque crea estructuras corporativas: crea un consenso corporativo con respecto al Estado nacional que hace el Socialismo en una nación, el nacional-socialismo. La importancia ideológica de ésto es realmente gigantesca.
Por tanto, si nos quedamos en el contexto personal, lo que se configura son sustancialmente tres grupos: el primero son aquellos que tienen la suerte de ser personas y que, por tanto, tienen
derechos; los desdichados que en Occidente son iguales a los demás, pero no son personas porque están excluídos; y hay un tercer grupo ENORME, el “tercer mundo”. Es decir, todas aquellas naciones y poblaciones que no han llegado a tiempo a la fase progresista del mpc y que, por tanto, para ellos, el sueño de la persona ni siquiera es un concepto, ni se les pasa por la cabeza. El paso a través de la condición de persona para superarla y adquirir una figura superior ni siquiera existe. Para ellos la condición de persona significa sólo explotación occidental, explotación sin límite de recursos y de personas, esclavitud, etc.
De esta forma, el concepto de persona, disminuyendo en el propio occidente por los motivos que decía, ¿qué implica? Implica que la no-persona no es titular de derechos: si yo mato a una no- persona, no he matado a un hombre. Este paso ideológico hace que, también a nivel de percepción, el umbral de tutela de otro ser humano desaparezca. Porque si el otro ser humano no es una persona, mi deber de respetar la integridad humana también falla: puedo descuartizarlo, quitarle los órganos, puedo reducirlo a la esclavitud, lo puedo hacer trabajar hasta morir... No es una persona.
Y por tanto, desde esta perspectiva un poco catastrofista, las actitudes posibles hacia un montón de individuos que no pueden acceder por principios al mundo dorado de las personas, son dos: unos pueden intentar que “sobrevivan” creando cualquier tipo de renta básica de supervivencia. La opción dos es que los maten. Ambas son prácticas que hemos visto en la historia reciente no sólo en nuestro país.
¿Por qué, dadas las circunstancias, la reivindicación de la persona es progresista? Porque la propia ideología burguesa la ha abandonado. La ideología burguesa ha optado por el neoesclavismo, directo o indirecto, evidente o enmascarado. Y por tanto, reivindicar para todos la condición de persona, hoy se presenta como una dimensión progresista. Y lo es. De hecho lo es.
Pero, de nuevo, si nos quedamos encadenados en la dimensión de la persona como sujeto, no salimos de estos vínculos. Para salir de ellos el punto es comprender la dimensión de clase de este conflicto. Y LA DIMENSIÓN DE CLASE SE ENCUADRA EN TÉRMINOS FUNCIONALES.
El centro del trabajo es trabajo asalariado, y trabajo asalariado quiere decir muchas cosas: la declaración del IVA de autónomos, los trabajos a destajo, los becarios son trabajadores sin salario. Quiero decir que no debemos dejarnos engañar por el enmascaramiento jurídico de ésto.
Pero también, dado que en el trabajo asalariado, quien tiene efectivamente un trabajo es una parte no total de quien potencialmente trabaja, el punto a entender es que también quien no trabaja, está desempleado o trabaja en formas paracapitalistas, está de la misma parte. Es decir, está subordinado funcionalmente a la producción de plusvalía y trabaja con modalidades que son
dictadas, gestionadas y orientadas por el capital. Y por tanto, este es el nodo del que partir para pensar la reconfiguración de clase. Pensar en cómo funcionalmente todos estos sujetos heterogéneos se pueden integrarpara superar la explotación capitalista con los efectos perversos que implica.
Pero no la persona. La persona es ese concepto contradictorio que puede ser positivo en determinadas fases. Ahora lo es seguramente, pero no puede ser el horizonte de sentido porque es el del mundo burgués.

Monday, 4 May 2020

VIOLENZA, CLASSI E STATO NEL CAPITALISMO CREPUSCOLARE

VIOLENZA, CLASSI E STATO NEL CAPITALISMO CREPUSCOLARE



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Primo intervento Fineschi 16:10
Primo intervento Casadio 49:16
Secondo intervento Fineschi 1:05:55
Secondo intervento Casdadio 1:24:29
Terzo intervento Fineschi 1:39:08




Violenza, classi e Stato nel capitalismo crepuscolare



Violenza, classi e Stato nel capitalismo crepuscolare

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