Marx e Hegel
Trascrizione leggermente rivista della relazione dal medesimo titolo presentata al convegno internazionale “Marx e la tradizione filosofica” organizzato in occasione del bicentenario della nascita di Karl Marx presso l’Università di Pavia, Dipartimento di Studi Umanistici – Sezione di Filosofia, dal Consorzio di Dottorato in Filosofia Nord-Ovest (FINO) e dal Collegio Ghislieri (Pavia, 13-14 dicembre 2018).
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Ringrazio innanzitutto per il gradito invito. È per me un vero piacere essere presente in questa conferenza, sia per il tema che per un risvolto personale: il mio maestro Alessandro Mazzone fu allievo del Ghislieri e, poiché il rapporto Marx-Hegel era uno dei temi a lui più cari, essere qui a parlarne un po', confesso, mi emoziona.
L’argomento che mi è stato assegnato è ovviamente molto, troppo complesso per essere affrontato in 40 minuti; chi ha familiarità con l'opera di Marx sa benissimo come il rapporto con Hegel attraversi tutto lo sviluppo della sua produzione scientifica e come sia stato inevitabilmente al centro di vastissimi dibattiti nella tradizione successiva; inevitabilmente non potrò che essere sommario.
Vorrei partire proprio con un accenno alla ricezione, perché chi si avvicina a questo tema attraverso la letteratura critica onestamente non può che rimanere disorientato: si è praticamente sostenuto tutto e il suo contrario. Si sono viste da una parte rotture radicali, quella più famosa è sicuramente la althusseriana, legata all'Ideologia tedesca oppure quella di della Volpe che la individuava invece ma nel Manoscritto del '43, ecc.; d'altro lato si trovano letture che sostengono una coerenza, una presenza costante di Hegel attraverso tutta l'opera di Marx, ma anche qui con accenti molto diversi e, paradossalmente, disorientanti: in alcuni casi l'enfasi è stata messa soprattutto sull'opera giovanile - Lucàks per es. tanto per fare qualche nome -, basando molto questa continuità sul concetto di alienazione (proprio nell’abbandono della quale Althusser invece vedeva il grande cambiamento). In questo orizzonte vanno annoverate anche le grandi letture continuistiche nel marxismo occidentale legate al concetto di feticismo, ecc.; insomma solo fare l'elenco di tutti i nomi richiederebbe probabilmente tutti i 40 minuti a mia disposizione. Oppure altre versioni dello hegelo-marxismo, invece di insistere sull'opera giovanile, hanno puntato sulla presenza nell'opera matura di categorie della logica hegeliana in un approccio più metodologico
In questo complesso dibattito inevitabilmente ci si appoggia a fasi, talvolta si evidenziano determinati passaggi della ricezione marxiana di Hegel a discapito di altri o si enfatizza la preminenza di un'opera rispetto ad altre. Nella mia ricerca ho cercato di basarmi soprattutto sulla nuova edizione storico-critica delle opere di Marx ed Engels, che, mi permetto di fare una piccola parentesi, in parte ridefinisce alcune delle loro opere tradizionali proprio da un punto di vista testuale: non cambiano solo le interpretazioni, ma diversi testi tradizionali che hanno una veste del tutto nuova. Faccio questa premessa perché alcune di queste opere sono proprio tra quelle più interessati per un’analisi del rapporto Marx-Hegel.
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Benché in particolare io mi sia occupato del Capitale, inizierei dai più importanti scritti "giovanili", vale a dire i Manoscritti del '44 e l'Ideologia tedesca, che alla luce della nuova edizione storica-critica vengono addirittura, in maniera un po' provocatoria, dichiarati non esistenti, prodotti creati dagli editori della prima Marx-Engels-Gesamtausgabe degli anni venti-trenta che, sull'entusiasmo dell'aver trovato alcuni materiali mancanti nel lascito marxiano, si son fatti prendere la mano e li hanno trasformati in opere. Nel caso dei Manoscritti del '44, le edizioni storiche hanno presentato ai lettori una versione tematica, cioè hanno riorganizzato vari materiali effettivamente scritti da Marx. Ovviamente non hanno scritto loro un testo dicendo che era di Marx, ma hanno utilizzato dei manoscritti marxiani riorganizzandoli in maniera tematica e dando l'idea che esistesse un'opera effettivamente progettata, quando in realtà si tratta di materiali di studio che vanno contestualizzati insieme a un'altra gamma di manoscritti dello stesso periodo che mostrano effettivamente il contesto di pura ricerca in cui furono scritti. Anche nel caso dell'Ideologia tedesca, non avremmo di fronte un'opera concepita, ma una serie di articoli sulla sinistra hegeliana, sulla cui base, a un certo punto, hanno iniziato a progettare un capitolo su Feuerbach - il primo dell'Ideologia tedesca tradizionalmente letta - che in realtà è quello editorialmente più costruito, in base a materiali incompleti e parziali che si erano accumulati. Per quanto riguarda Il capitale, il secondo e il terzo libro, anche qui pubblicati da Engels, sono testi che il curatore inevitabilmente ha dovuto “finire” per presentarli come opere compiute. Anche qui l'edizione critica mette a disposizione i manoscritti originali di Marx che, confrontati con l'opera stampa, inevitabilmente mostrano quanto lontani fossero da una compiutezza effettiva. Il mio progetto consiste nel rivisitare il rapporto tra Marx e Hegel anche alla luce di questi testi adesso finalmente disponibili.
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Venendo allo specifico del tema, Marx quando legge Hegel inevitabilmente lo fa con delle idee in testa e con degli obiettivi, ne dà quindi una lettura inevitabilmente selettiva e orientata. Questo per tagliare la testa al toro, perché si potrebbe a lungo discutere quanto l'interpretazione marxiana di Hegel sia filologicamente sostenibile; secondo me non è così difficile mostrare che è sostenibile fino a un certo punto. Su questo dirò alcune cose dopo, però di fatto Marx legge Hegel per pensare la propria filosofia, più o meno come hanno sempre fatto tutti, non è che in questo sia stato particolarmente originale; bisogna però averne consapevolezza, perché in base a questa lettura orientata, egli seleziona che cosa leggere.
Da un lato evidentemente Hegel è “il” filosofo quando Marx si confronta con lui; come emergeva anche dalle altre relazioni, è vero che legge Spinoza, però attraverso Hegel, legge il materialismo, però chiaramente c'è un'influenza di come lo legge Hegel, e via dicendo. Per questa generazione Hegel aveva detto un po' tutto quello che c’era da dire nella storia della filosofia e quindi guardavano a lui avendo in mente questa (discutibile quanto si voglia) idea.
Una delle prime letture significative è il Manoscritto del '43 sulla critica del diritto statuale hegeliano, testo fondamentale per es. nella tesi dellavolpiana, del galileismo metodologico. Quando ci confrontiamo con esso non si può non tener conto di quanto Marx già sapesse di economia politica, di quanto si fosse cimentato con quello che poi sarà il prodotto maturo della sua opera. La risposta è che non ne sapeva niente, ancora non l'aveva studiata. Quindi, la serie di problemi che ha in mente in questa fase non sono quelli che poi prevarranno nella maturità; non si può non tenerne conto nell’analisi della critica dei concetti politici espressi da Hegel in questo testo, della selezione marxiana di questi passaggi. Sicuramente la cosa è diversa per i Manoscritti del '44, paralleli ad altri manoscritti parigini che menzionavo prima; qui Marx inizia a studiare economia politica in Francia e gli estratti fatti da classici come Ricardo ecc. sono da traduzioni francesi. Lavoro e capitalismo sono adesso concetti forti nella sua mente e questo lo spinge a utilizzare un altro testo di Hegel che è La fenomenologia dello spirito; la limitazione non è solo relativa all’opera, infatti non la utilizza neppure tutta: è ossessionato dall'ultimo capitolo sul “sapere assoluto” che addirittura trascrive interamente. Notoriamente alienazione ed estraniamento sono tra i temi cardine di questo manoscritto e si capisce bene da dove vengano: da questo capitolo della Fenomenologia dello spirito; in una trentacinquina di pagine dell'edizione Suhrkamp vi si riscontrano ben 40 occorrenze, in ogni pagina c'è due volte. Prima ci si chiedeva: quanto è filologicamente legittimo interpretare Hegel sulla base del concetto di alienazione? Evidentemente poco, perché, se si fa un'analisi più generalizzata di questo concetto nella filosofia hegeliana nel suo complesso, quello che emerge è che è una categoria prettamente fenomenologica. Praticamente Hegel lo usa quasi esclusivamente nella Fenomenologia dello spirito e addirittura neanche in tutta l'opera ma solo in tre capitoli. Tra l’altro lo usa con significati non solo negativi, come prevalentemente sembrerebbe nell'opera marxiana. Anche qui ci troviamo di fronte a una lettura molto orientata, in cui Marx ha in mente l'idea di una nuova essenza umana, che è il lavoro, e che il processo di uscita da sé, rientro a sé, che lui vede così ben espresso nel capitolo sul Sapere assoluto va rigenerato alla luce di questo concetto sostanzialista e materialista, un po' di stampo feuerbachiano, che lui appunto reinterpreta con il concetto di lavoro come essenza dell'uomo (Gattungswesen). Questa lettura è stata la base di molte interpretazioni che poi hanno cercato anche un aggancio nell'opera matura, soprattutto ricollegando il concetto di lavoro alienato a quello di feticismo, tentativo non solo di filosofi ma anche di economisti. Ma non la faccio troppo lunga, i relativi riferimenti sono noti.
Il forte peso dato all’ultimo capitolo della Fenomenologia dello spirito spinge Marx a ignorare la complessa stratificazione enciclopedica, per cui “pensiero” non significa solo “pensante”, non solo “pensamento”, ma individua la dimensione del concetto, della natura e poi dello spirito cosciente di sé, e quindi dell'autocoscienza e via dicendo, come momenti diversi del dispiegamento della totalità. Marx tende invece, sulla scia dei suoi epigoni, ad appiattire questi livelli su quello di autocoscienza e a pensare a una sorte di “soggettone”, se mi consentite questa grossolana semplificazione, che invece di alienarsi, di estrinsecarsi e di rientrare in sé come categoria dello spirito lo fa come categoria del lavoro.
Altra influente ricezione è legata alla Filosofia della prassi che si basa soprattutto sulla lettura delle Tesi su Feuerbach. Queste 11 note, pubblicate solo dopo la morte di Marx in una versione rimaneggiata in maniera decisiva, hanno avuto un peso notevole, particolarmente in Italia attraverso la filiazione gramsciana. Anche questa è una questione molto interessante, perché Marx non ha mai utilizzato l'espressione "filosofia della prassi", come non ha mai utilizzato l'espressione "materialismo storico". Il ritorno ai testi si legittima, non perché sia impossibile dedurre queste interpretazioni, ma perché la precisione filologica ci aiuta anche a ripensare queste tradizioni. Quella della filosofia della prassi letta come chiave del rovesciamento hegeliano è una questione molto spinosa che sarebbe oggetto di una relazione a sé.
Altra opera in cui emerge una rilettura sostanziale del dettato hegeliano è la Miseria della filosofia. In un celebre passo sul metodo hegeliano, Marx parla di tesi, antitesi e sintesi, categorie che, se andiamo effettivamente a leggere le pagine sul metodo di Hegel, riscontriamo che, a dispetto di molti manuali in circolazione, non ci sono affatto… Come dire: sembra anche qui trattarsi di una lettura “culturale”, ispirata da un ambiente in cui si pensava che fosse proprio così.
Secondo me il complesso della visione di Marx fino a questo punto si articola sostanzialmente in alcuni concetti fondamentali che sono i seguenti: egli pensa sostanzialmente che Hegel sia una sorta di spiritualista in cui la dimensione diciamo soggettiva del pensiero non è tanto ben distinta da un'ontologia del pensiero, e quindi la dimensione della filosofia dell'autocoscienza prevale sulla strutturazione ontologica enciclopedica complessiva (irriducibile alla mera autocoscienza). Interpretato Hegel in questi termini, Marx ritiene che egli sbagli perché proietterebbe su di un livello astratto-spiritualistico le dinamiche reali della produzione e riproduzione umana, una sorta di trasfigurazione mentale dei processi obiettivi e in questo senso tutta da combattere. Nella Sacra Famiglia c'è un altro celeberrimo passo sul “frutto”, che dalla sua astratta “fruttità” si determina come frutti particolari; qui Marx scimmiotta chiaramente in maniera sarcastica la processualità hegeliana del concetto che dall'astratto si determina come concreto ecc. ecc. La forte ironia, lo spirito dissacratorio e caustico di Marx fanno pensare a un giudizio largamente negativo su Hegel, sia nel merito ma anche nella metodologia.
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Su alcuni di questi aspetti Marx non cambierà mai idea. Dal 1857 però qualcosa succede e questo va notato non per proporre un’altra rottura alternativa alla precedenti. L’elemento da mettere in evidenza grazie all'edizione critica è che a partire dal 1857 Marx inizia a scrivere in maniera molto più convinta e sistematica la propria teoria del modo di produzione capitalistico. Questo ovviamente non significa che prima non si fosse occupato di economia, bisogna però prendere atto che fino a quel momento non aveva mai cercato di strutturare e articolare in maniera complessa una teoria propria. Questo è un processo che andrà avanti fino alla morte e resterà incompiuto. In particolare fino al 1865 scrive tre grandi manoscritti: uno noto come Grundrisse, redatto nel periodo 1857/8 (nel 1859 pubblica Per la critica dell'economia politica, che in teoria doveva essere la prima parte della sua opera); però una volta che lo finisce inizia a scriverne la continuazione, ma questo manoscritto a un certo punto diventa di nuovo un manoscritto di ricerca, il Manoscritto 61-63, che è quello che contiene le Teorie sul plusvalore come parte centrale, in cui riprende vari temi che aveva già trattato nello scritto precedente, ma anche temi nuovi, che non aveva esplicitamente considerato.
Una volta finito questo secondo manoscritto pensa di aver capito come scrivere effettivamente Il capitale, e redige un terzo grande manoscritto secondo lo schema dei tre libri nel periodo 1863-65: processo di produzione, di circolazione e configurazione complessiva. Quando finisce anche questo finalmente pensa di poter scrivere Il capitale in bella. Marx era un eterno insoddisfatto e quindi scriveva e riscriveva. Nel 1867 esce la prima edizione tedesca del Capitale che, ovviamente, trova inadeguata, e quindi ne fa altre. Complessivamente, lui vivo, escono due edizioni tedesche del primo libro, l'edizione francese, e poi lavora regolarmente al secondo libro e pochissimo al terzo, entrambi restano incompiuti. In quest'ultima fase però si mette a studiare di tutto, dall'agronomia alla matematica, nella quarta sezione della MEGA stanno pubblicando i lavori e gli estratti di questo periodo; è veramente impressionante lo sterminato campo di interessi che sviluppa Marx in questo periodo.
Nell’elaborazione della teoria del modo di produzione capitalistico alcuni hanno visto l'evidenza della rottura famosa di cui sopra, in cui Marx diventerebbe scienziato e non sarebbe più hegeliano o filosofo, non più teorico dell'alienazione dell'essenza umana. Altri hanno visto invece qui il luogo in cui effettivamente Marx è hegeliano, in cui l'evidente presenza di tutta una serie di categorie chiaramente derivate dalla Scienza della logica mostrerebbero che la metodologia adottata da Marx è quella di Hegel nella maniera più cogente, più forte. Tuttavia anche qui, pur assumendo quest’ultima prospettiva per cui effettivamente Hegel e la sua dialettica sarebbero presenti nel Capitale da un punto di vista metodologico, si riscontrano divisioni: alcuni sostengono che solo nei Grundrisse o nelle prime opere di questa ampia elaborazione ci sarebbe effettivamente una sistematica hegeliana, mentre man mano che va avanti, Marx ridurrebbe la dialettica. Altri invece hanno cercato di dimostrare attraverso delle tavole sinottiche come l’articolazione della teoria di Marx corrisponderebbe esattamente a sezioni, capitoli della Scienza della logica, mettendo in parallelo le due strutture. Anche qui il dibattito è molto ampio. Chi fa forza su questa interpretazione di coerenza metodologica in genere menziona sempre la lettera che Marx scrive ad Engels nel gennaio del 1858, mentre sta redigendo i Grundrisse, dove afferma che per puro caso ha risfogliato La scienza della logica e che questo gli è stato molto utile; aggiunge che prima o poi avrebbe scritto un libercolo dove si sarebbe mostrata l’essenza del metodo dialettico. Gli altri due passi che in genere si menzionano in questo contesto sono il capitolo sul metodo della cosiddetta introduzione ai Grundrisse e la postfazione alla seconda edizione tedesca del Capitale in cui, nel caso della postfazione esplicitamente, Marx dice nero su bianco che il suo metodo è il metodo dialettico e che Hegel è sicuramente suo maestro in questo senso, salvo poi mettere le mani avanti aggiungendo una differenza fonamentale: Marx è materialista mentre Hegel è idealista, bisogna dunque trovare il nocciolo razionale della dialettica hegeliana. Ora, trovare questo nocciolo razionale è appunto quello che ha scatenato l’infinito dibattito parzialmente sopra esposto in cui si rischia di perdersi. In quest'ultima parte cercherò di spiegare secondo me come si può andare nella direzione dell'individuazione di questo nocciolo razionale.
Da un lato, a chiunque abbia un minimo di familiarità con Hegel, pare onestamente innegabile una massiccia presenza di categorie della Scienza della logica nella teoria del Capitale. Per fare solo un paio di esempi, Marx nei Grundrisse scrive vari specchietti di come lui avrebbe articolato la teoria; per organizzare la materia usa le categorie di universale, particolare e singolare evidentemente mutuate dalla teoria hegeliana del giudizio e del sillogismo. Quando parla della concorrenza dei capitali, esplicitamente parafrasa i paragrafi dell'uno-molti, attrazione e repulsione della Logica dell'essere. Esplicitamente parla di attrazione e repulsione, uno-molti. Parlando del concetto di capitale, inserisce la distinzione tra capitale diveniente e capitale divenuto, di nuovo sono concetti che vengono dalla teoria concetto di Hegel. Alcuni dicono che questo vale solo per i Grundrisse, ma in realtà tali categorie sono ben presenti anche nell'opera pubblicata. Se si guarda lo sviluppo dell'equivalente nella teoria della forma di valore si ha la triade singolare-particolare-universale - qui le vecchie traduzioni italiane e sono un po' fuorvianti, perché talvolta traducono singolare con individuale e universale con generale. Sono di nuovo categorie della teoria del sillogismo e del giudizio della logica. In un passo della critica dell'economia politica, Marx parla del processo di circolazione come di un sillogismo. Lo sviluppo della contraddizione di valore e valore d’uso interna alla merce praticamente ricalca la struttura dei paragrafi della teoria hegeliana della contraddizione. Negare che questo patrimonio concettuale venga da Hegel significa negare l’evidenza.
Concesso questo, l'errore secondo me sarebbe pensare però semplicemente, come è stato fatto, al calco, cioè ipotizzare che ci sia una sorta di speculare simmetria fra le due strutture; ciò sarebbe la cosa meno dialettica che si possa concepire: secondo l'impostazione hegeliana, in realtà il sistema è concepibile solo come Auslegung der Sache selbst, svolgimento della cosa stessa (in cui il genitivo è tanto soggettivo che oggettivo); se invece ci limitiamo a riprodurre una struttura astrattamente, formalisticamente dialettica perché così “suona”, ma senza che ciò corrisponda all'intrinseca necessità dialettica della teoria stessa, produrremmo la negazione della dialettica. Nella famosa lettera che menzionavo prima a Engels è esattamente questa la critica che Marx rivolge a Lassalle: dice che egli vorrebbe fare un'opera dialettica ma avrebbe capito lui stesso la differenza tra applicare schematicamente categorie a un contenuto esterno o arrivare al punto di poter sviluppare la dialettica del contenuto stesso. In realtà è una critica che in qualche modo richiama quella del 1843 rivolta a Hegel: secondo Marx, Hegel avrebbe applicato al tema della filosofia del diritto un'astratta logica a sé stante, senza mostrare invece la dialettica intrinseca al sistema del diritto (“la logica specifica dell’oggetto specifico”).
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Nella teoria del capitale, Marx cerca di svolgere la cosa stessa, sviluppare la sua dialettica intrinseca, la logica specifica dell’oggetto specifico, non applicare la dialettica a un qualcosa di dato. Sembra dunque un hegelismo metodologico in senso forte, in cui la teoria del capitale si costruisce nell'articolazione dell'intrinseca razionalità a partire dal concetto di merce per giungere a credito e capitale fittizio come suo culmine. Questo permette secondo me di mostrare anche come Marx abbandoni quelli che inizialmente erano effettivamente degli schematismi, per esempio l’articolazione in universale, particolare e singolare che menzionavo sopra: quando la redige la usa un po' a priori, schematicamente; per ordinare il materiale pensa a questa astratta struttura e ci mette dentro vari passaggi. In realtà quando poi scrive effettivamente la teoria apporta delle modifiche proprio perché lo svolgimento della cosa stessa lo richiede. Se si vanno a seguire le trasformazioni tra le prime versioni e le versioni "finali", si vede come esse rendano più coerente la struttura dialettica che altrimenti sarebbe risultata schematica.
Se metodologicamente Marx è coerente con Hegel, che cosa intende quando lo critica? Marx capisce benissimo che chi ha letto Hegel e poi legge il suo libro non può non vedere la filiazione e per questo è lui il primo ad aver paura di essere accusato di hegelismo. Nella prima edizione tedesca del Capitale addirittura nelle note fa esplicito riferimento alle categorie di Formgehalt e Forminhalt, insomma nella cultura del tempo la conoscenza di Hegel era così comune che non poteva non saltare agli occhi in maniera evidente di quanto stesse utilizzando categorie hegeliane. Questo mettere le mani avanti è dire che metodologicamente egli seguisse l'intrinseca necessità dialettica, il metodo dialettico, però ciò non implicasse che fosse uno spiritualista era per intendere quanto poi afferma esplicitamente: pensare concettualmente (il metodo dialettico) non è il modo in cui il mondo si crea - perché è questo che loro pensavano di Hegel, cioè loro pensavano che il processo di produzione concettuale della realtà fosse la realtà stessa -, ma il modo in cui viene ricreata nel pensiero una realtà esterna preesistente. In questi stessi termini si esprime anche in un passo dei Grundrisse, in cui addirittura afferma che successivamente sarebbe stato meglio cancellare la forma di esposizione dialettica per non essere preso per uno hegeliano spiritualista. Marx, sulla scia della cultura del tempo, pensava questo di Hegel; questo oggi non pare più sostenibile.
Questo giudizio su Hegel come una sorte di spiritualista è sicuramente un punto di continuità con la lettura giovanile; la discontinuità sta invece nel forte apprezzamento del metodo, che viene addirittura dichiarato l’unico veramente scientifico: rivaluta la forza della concettualizzazione dialettica come strumento di comprensione della realtà. Per differenziare la sua posizione rispetto a Hegel, Marx afferma che la dialettica è il processo di ricostruzione della realtà nel pensiero e che come tale esso è solo un momento del conoscere; prima è stato preceduto da un processo di ricerca che permette di analizzare la realtà fino a individuare le categorie fondamentali sulla base delle quali si potrà farne la concettualizzazione. La riformulazione del metodo dialettico in chiave anti-hegeliana che Marx propone risulta più hegeliana dopo la “correzione” di quanto non fosse prima e di quanto egli stesso non credesse.
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Un'altra accusa dalla quale Marx vuole sicuramente difendersi, e concludo, è quella di teleologismo. Era un'altra delle critiche che tradizionalmente veniva rivolta a Hegel: la storia avrebbe un corso predeterminato che tende in maniera deterministico-finalistica verso un culmine. Marx teme che si possa dire la stessa cosa di lui e affronta la questione ponendo il tema dei “limiti del metodo”. Che cosa intende parlando di questi limiti? Se la teoria del materialismo storico, anche se egli non usa questa espressione, implica una dinamica di sviluppo per cui determinati processi storico-sociali vanno avanti in forza di una meccanica che non è semplicemente individuale ma per certi aspetti sovraindividuale, nella quale gli individui si trovano ad essere soggetti operanti ma non necessariamente coloro che indirizzano il corso finale, se c'è una necessità storica, motorietà storica che va avanti di per sé, si potrebbe allora sollevare lo stesso tipo di accusa, nel senso che sembrerebbe come se la storia andasse da qualche parte.
I limiti del metodo sembrano la risposta a questo tipo di critica: Marx intende che la ricostruzione scientifica di un'epoca storica non permette generalizzazioni arbitrarie, cioè non di estendere automaticamente le leggi che valgono in una determinata epoca storica, alla meccanica storica in generale. In altri termini i punti di partenza del modo di produzione capitalistico non sono spiegabili a partire dalla teoria del modo di produzione capitalistico stesso. Ciò implica che ci siano delle rotture storiche, che non consentono di tracciare una storia universale finalistica in astratto, ma impongono piuttosto che, epoca per epoca, questo processo vada ripensato sulla base degli sviluppi storici correnti di ciascuna epoca. Qualcuno, insistendo su questo concetto, ha parlato di “metodo revocabile”, valido limitatamente al modo di produzione che all’interno del quale si è dato, vale a dire che la scienza di questa epoca storica corrente non può essere la scienza di altre epoche storiche.
Se si va a vedere quanto Marx afferma delle altre epoche storiche, la delusione è cocente: scrive molto poco e, soprattutto, funzionalmente al modo di produzione capitalistico; dato che il modo di produzione capitalistico ha dei presupposti, sembra studiare come essi si siano formati. Determinare questi punti di partenza e quelle tendenze non significa elaborare una teoria di altri modi di produzione, né feudale, né schiavistico, ecc. Se ciò vale per il passato, si applica ovviamente anche a come il modo di produzione presente sia la possibile premessa di uno futuro: sulla base di queste stesse premesse metodologiche, la società futura potrà essere teorizzata solo una volta che la struttura essenziale si sarà data realmente e sarà quindi possibile ripensarla a posteriori.
Se ho solo rievocato un complesso ambito di tematiche, mi premeva sottolineare come tutto ciò possa essere di nuovo studiato e criticamente indagato solo sulla base di una forte testualità e della sua coerenza complessiva. Si possono infatti prendere pezzi di Marx per farne altre cose, ma nella prospettiva di chi vuole ricostruire il percorso marxiano nei suoi termini propri perché si ritiene il suo discorso un paradigma scientifico ancora adeguato a pensare il presente, la strada maestra è ancora quella della ricostruzione.
R. Fineschi, Marx e Hegel. Contributi a una rilettura, Roma, Carocci, 2006.
----, La logica del capitale. Ripartire da Marx, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 2021.
---, Tempo e storia nelle Formen. Riflessioni sul materialismo storico. In: Karl Marx (1818-2018): eredità e prospettive, a cura di G. Sgro' - I. Viparelli. p. 95-108, Napoli, La Città del Sole, 2021.
---, “Astrazione reale”. Un tentativo di ricostruzione filologica. In: Soggettività e trasformazione. Prospettive marxiane. Roma, Manifestolibri, 2021.
---, Critica tra Marx e Hegel. “Revista dialectus”, vol. 9, 2020, p. 189-201.
---, L'ideologia tedesca dopo la nuova edizione storico-critica (MEGA2), in “Historia Magistra”, vol. XI, 2019, p. 89-104.
---, Note provvisorie per una teoria della Rivoluzione, in: (a cura di): Stefano G. Azzarà, Rivoluzioni e restaurazioni, guerre e grandi crisi storiche: cento anni dall’ottobre russo (parte prima), vol. III, 2018, p. 43-53.
---, Un nuovo Marx. Interpretazione e filologia dopo la nuova edizione storico-critica, Roma, Carocci, 2008.
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