Thursday, 27 April 2023

Klossowski e la moneta vivente Considerazioni di un avvocato del diavolo di Roberto Fineschi


Klossowski e la moneta vivente. Considerazioni di un avvocato del diavolo1


di


Roberto Fineschi





Dal mio intervento traspariranno chiaramente le mie limitate conoscenze su questo tema. Spero che mi scuserete e che considererete i miei commenti come delle note da parte di un non addetto ai lavori che cerca di entrare in un mondo con il quale non ha particolare familiarità. Questo per avvisare, da una parte, di prendere con la dovuta cautela i miei rilievi e, dall’altra, di considerarli come interventi dell’avvocato del diavolo, di qualcuno che legge e solleva delle possibili obiezioni.

Ho studiato con interesse il testo di Klossowski, trovando alcune difficoltà interpretative sulla sua articolazione complessiva. Naturalmente non posso che commentarlo alla luce della mia specializzazione, vale a dire la filosofia classica tedesca e, soprattutto, Marx, autore nel quale il tema del denaro è assolutamente centrale e in maniera trasversale, tanto nell’opera giovanile che in quella matura. Partiamo dal titolo: moneta vivente. Qui il primo dubbio: moneta o denaro? C’è infatti subito un problema di traduzione che si riscontra anche nelle edizioni francesi del Capitale; in Marx denaro e moneta sono categorie distinte e questo in francese creò problemi a lui stesso, costringendolo a spiegare in nota le sfumature di significato e le differenze categoriali tra i due termini2. La domanda per Klossowski dunque è: a quale delle due categorie sta pensando? Secondo me intende quello che, in termini marxiani, è il denaro.

L’aggettivo “vivente”, invece, immediatamente mi ha fatto pensare alla teoria del feticismo dove il punto chiave per Marx è che il denaro non è una cosa, ma un rapporto sociale che si “cosifica” in un oggetto materiale, ma non per questo cessa di essere un rapporto sociale. In questo senso è di per sé un vivente; non in


termini eminentemente biologici evidentemente, ma perché esiste solo nella misura in cui si dà una società mercantile, di scambio e, anzi, in questa società mercantile rappresenta l’incarnazione assoluta della socialità in un oggetto; è quindi un simulacro per eccellenza, l’universalità della società mercantile resasi oggettuale in un materiale. Questo suo carattere “vivente” non si deve certo alla sua fisicità, ma al fatto che esiste la società mercantile. La connessione tra l’oggetto inerte e la vita in Marx assume tale forma: l’oggetto denaro è di per sé vivente nella misura in cui rappresenta questo rapporto sociale. A mio parere, qui si riscontrano delle differenze tra la concezione giovanile di Marx e quella del
Capitale, che saranno utili per sollevare dei rilievi a Klossowski3.

Negli appunti marxiani su Mill degli anni quaranta c’è già l’idea dell’assoluta alienazione della totalità dell’umano nell’oggetto denaro ed è calzante il parallelo con le metafore teologiche; è già stato rilevato come in questi passi Marx si rifaccia alla lettera di Paolo di Tarso ai Filippesi, al concetto di κένωσις, incarnazione e svuotamento, ecc.4 Il punto chiave secondo me è comprendere che cosa o chi si oggettiva nel denaro. Nella riflessione giovanile questo qualcosa è sicuramente l’essere umano, una personalità universale, che aliena la propria essenza in questa materialità oggettuale che gli sta di fronte. Un primo punto è vedere se anche nella teoria matura del feticismo le cose stiano esattamente in questi termini; io credo solo in parte. Perché dico questo? Non per parlare di Marx, ma perché secondo me questa idea di una “persona universale” che si oggettiva alienandosi in un rapporto materiale oggettuale fa forse da retroterra anche al discorso di Klossowski, in particolare nell’ultimo paragrafo dal titolo “La moneta vivente”, dove viene propria menzionata la “persona umana” come il soggetto in questione5. Ecco è il retroterra filosofico di questo tipo di oggettivazione, cioè l’idea di una essenza universale data, in qualche modo a priori, che si esteriorizza in un rapporto materiale. Klossowski usa termini e concetti assenti in Marx, ma mi sembra che ci sia un concetto di individualità che in qualche modo preesiste, che fa da precondizione all’effettiva esplicazione del concetto di moneta. A partire da queste premesse, quali sono alcune delle questioni chiave?


Sempre facendo l’avvocato del diavolo, mi saltano agli occhi alcune questioni problematiche. La prima è una non chiara definizione del problema della continuità e discontinuità storica. Questo emerge in una forse scivolosa definizione di che cosa significa “utile”.
Soprattutto nella prima parte6 mi pare che troppo rapidamente Klossowski colleghi il concetto di utilità a quello di profittabilità, che lo intenda soprattutto in termini di utilità al fine della valorizzazione, anche se non usa questa parola: l’inserimento di questo utile in un processo di produzione industriale finalizzato alla valorizzazione. Da questo punto di vista secondo me c’è il rischio di “naturalismo”. In che senso? Utilizza un concetto largo di utilità che invece risulta essere, paradossalmente, l’utilità del capitalismo, ovvero finalizzata alla valorizzazione; lo si vorrebbe universale, ma in realtà è quello ristretto del capitalismo che viene esteso senza mediazione all’utilità in generale. C’è dunque forse il rischio di perdere il rapporto tra la storicità determinata dei processi di valorizzazione capitalistici e un più generico concetto di utile che non necessariamente si esprime in termini capitalistici.

Sempre se non capisco male, tale scarto viene fuori anche nel concetto di “fabbricabilità”, legato all’industrializzazione, definita come un processo di produzione artificiale di beni che non sono naturali o consuetudinari7. Anche qui secondo me è un po’ una forzatura identificare la fabbricabilità di per sé con il processo di valorizzazione capitalistico: non tutti i processi di fabbricabilità sono capitalistici. Di nuovo, la tensione è tra delle dinamiche storicamente determinate in cui anche la produzione, la sublimazione, la negazione della soddisfazione, il gioco erotico, assumono specificamente una dinamica capitalistica, e la loro generalizzazione a un umano che non è detto che in ogni epoca possa funzionare come funziona nelle dinamiche della produzione capitalistica. Se fabbricabilità e processo di valorizzazione capitalistico non coincidono, non necessariamente lo fanno anche le dinamiche più o meno perverse che questo processo instaura dal punto di vista della pulsione erotica, ecc. Non possono essere appiattite in una generica generalizzazione, in un umano come tale. È questa una questione che io non sono riuscito a sciogliere nel testo, ma forse è un limite della mia lettura.

In questo senso anche la questione della via di uscita dai rapporti alienanti, anche se Klossowski non usa questa espressione, del modo di produzione capitalistico dipende molto da come si intendono i soggetti; quali sono i soggetti che effettivamente rimuovono, sublimano la pulsione? L’individuo in astratto? Sono individui storicamente determinati? Sono classi sociali? Qui è legittimo in qualche modo il parallelo con il giovane Marx che aveva effettivamente un concetto abbastanza generico di soggetto storico, il Gattungswesen, l’essenza di specie. Se il soggetto storico è l’umanità in quanto specie, essa si aliena in condizioni storicamente determinate e supera l'alienazione rimuovendo quelle condizioni che determinano lo stato di scissione tra essenza ed esistenza. Secondo me il giovane Marx pensa proprio in questi termini. I cosiddetti Manoscritti del 1844 e il relativo concetto di comunismo, il lavoro come essenza, ecc. si inquadrano in questo contesto. Nel Capitale la questione si fa più complessa; lì i soggetti storici si articolano diversamente e non a partire da un concetto generico di essere umano; non sono gli individui, ma enti collettivi storicamente determinati che si caratterizzano per la loro funzione, cioè in base al ruolo che giocano nella riproduzione sociale: le classi. Non è quindi il generico essere umano, ma un processo di determinazione e sviluppo che si articola in differenze. Questo concetto astratto di essere umano nel Marx del Capitale diventa essa stesso una specie di feticcio: è esattamente la figura soggettuale della circolazione semplice che emerge come risultato parvente della dinamica mercantile; è dunque la stessa alienazione dell’essenza di specie, nella quale lui stesso credeva profondamente da ragazzo, a risultare ai suoi occhi l’altra faccia del feticismo della merce: quel soggetto che si aliena totalmente del denaro esiste solo nella circolazione di merci come suo prodotto parvente. Il concetto universale di essere umano, che lui immaginava essere il soggetto generale della storia, in realtà è la soggettualità per come essa appare all’interno della circolazione delle merci, come feticcio soggettuale, l’altra faccia del feticismo oggettivo della merce.



Se così fosse, tornando a Klossowski, secondo me c’è il rischio anche in lui che si ricada in un ragionamento di questo tipo: cercando di ricondurre il concetto di moneta, denaro, a un dinamica di oggettualizzazione contraddittoria e di rimozione della pulsione individuale, ci potrebbe essere un rischio di individualizzazione, cioè non di negare ma di ricondurre tutto a individuo. La domanda è se è possibile pensare il denaro, quello che Marx definisce un rapporto sociale, solo a partire dallo sviluppo di pulsioni individuali, come aggregato sociale in una cosa risultante dalla sommatoria di tante soggettualità individuali date che si compongono sì, ma che non vanno anch’esse a definirsi in base alla relazione sociale di cui sono momento. C’è in sostanza un rischio di individualismo metodologico. In questo senso, se così fosse, la posizione di Klossowski si può prestare, paradossalmente, alla critica di essere, detto in maniera estremamente provocatoria, un’ideologia borghese. Se alla fine il soggetto è l’individuo astratto, esso è l’assunto fondamentale dell’ideologia borghese che considera la socialità come una sommatoria di individui che la costituiscono a partire da se stessi. Lascio questi commenti come spunti di riflessione per chi con più competenza di me potrà valutare nel merito.

Per venire a una seconda tranche di rilievi, non riesco a capire in che modo la moneta vivente possa funzionare da denaro se non vogliamo staccarci troppo da una definizione convenzionale di denaro - per quanto problematica possa essere - nel cui concetto c’è un’idea di una intersoggettività oggettuale in qualcosa, di un equivalente che è tale in quanto tutti vi si riflettono come qualcosa di uguale e quindi tra sé si rapportano come uguali e diversi grazie a questa cosa che fa da specchio di fronte a loro; io non riesco a capire come la moneta vivente possa svolgere questa funzione. Se intuisco come essa possa diventare un simulacro di una soggettività che si rende palese e si nasconde al tempo stesso in un concetto sociale, non riesco invece a capire come possa adempiere alle funzioni che normalmente svolge il denaro da un punto di vista operativo: misura dei valori, mezzo di scambio, mezzo di pagamento, elemento della tesaurizzazione e dell’accumulazione, ecc. Probabilmente non è questa l’intenzione o l’oggetto di interesse, però se, come dire, la moneta vivente deve diventare un’alternativa praticabile a quella esistente del capitalismo, questo diventa forse più problematico.

Infine un’ultima riflessione sul “conio”, sulla determinazione della personalità individuale e della funzione della moneta in ciò. Se moneta è la sintesi in un oggetto o in un simulacro di un rapporto sociale, questo imprinting che cade sull’individuo che natura ha? Si definisce a partire dal rapporto di questa socialità che va a co-definirlo anche come individuo o nella mera limitazione della sua pulsionalità come singolo pre-sociale? Se fosse la seconda opzione secondo me c’è il rischio di ricadere, di nuovo, nell’individualismo metodologico, perché a quel punto si vuole definire il denaro, che è un rapporto sociale, a partire dall’individuo.

Se invece fosse una più complessa co-determinazione di come questa limitazione della pulsionalità individuale sia in qualche modo co-costitutiva dell’individualità, nel senso che è un punto di mediazione tra come la storia del mondo, lo spirito sviluppato fino a quel momento, e la sua costituzione, la cosa sarebbe più interessante, perché andrebbe a considerare la dimensione sociale anche nella costituzione psicanalitica dell’individuo. Se fosse la prima opzione in cui c’è solo la limitazione esterna dell’individualità già data e costituita a prescindere dalla socialità, a mio modo di vedere si ricade di nuovo nell’individualismo metodologico e nell’ideologia borghese; anche le prospettive di emancipazione in cui si rivendica una piena pulsionalità, in cui esterno e interno (essenza e fenomeno) si corrispondono in base alla libera pulsionalità dell’individuo finiscono per collocarsi in questo quadro.

Anche se scomparisse la merce-denaro, tema complesso su cui non posso entrare in questa sede, il denaro continuerebbe a essere un rapporto sociale perché svolgerebbe tutta una serie di funzioni che sussistono nella maniera articolata che conosciamo solo all’interno del modo di produzione capitalistico. Per rimuoverlo, passerò da marxista vecchio stile, bisogna rimuovere le condizioni materiali che lo generano; solo un modo di produzione e distribuzione diverso potrà, in base a come funziona, evitare l’esistenza del denaro. Da questo punto di vista è una grossa incognita perché i tentativi storici passati sono stati fallimentari, non solo negli esiti politici, ma anche nella meccanica che prevedeva l’esistenza del denaro: nel cosiddetto “socialismo reale” c’erano il denaro, gli stipendi, dinamiche di allocazione che di fatto, anche se limitatamente, conservavano queste forme e insieme a esse il feticcio della merce, del capitale e via dicendo. Pensare l’alternativa è la grande sfida; a mio modo di vedere, anche se in maniera problematica, il testo di Klossowski aiuta a riflettere in questa direzione.

1 Trascrizione leggermente rivista della conferenza tenutasi on line sulla pagina facebook di Settima lettera il 1 aprile 2022.

2 Karl Marx, Le capital, Paris, Lachâtre, 1872-5, p. 27, nota 24.

3 Per una ricostruzione più analitica dei temi marxiani qui trattati, mi permetto di rimandare ai miei Marx e Hegel. Contributi a una rilettura, Roma, Carocci, 2006 (seconda parte) e al più recente “Astrazione reale”. Un tentativo di ricostruzione filologica, in Soggettività e trasformazione. Prospettive marxiane, a cura di L.Basso, G.Cesarale, V.Morfino e S.Petrucciani, Manifestolibri, Roma, 2020, pp. 77 ss.

4 Un contesto teorico non certo estraneo al retroterra culturale di Klossowski a giudicare da quanto dice A. Marroni nella sua introduzione a P. Klossowski, La moneta vivente, a cura di Aldo Marroni, Mimesis, Milano, 2008, p. 23.

5 P. Klossowski, La moneta vivente, cit. pp. 98 ss.

6 Ivi, pp. 58 ss.

7 Ivi, pp. 62 s. e p. 72. 

Saturday, 22 April 2023

Presentazione di La rivoluzione come problema pedagogico. Politica e educazione nel marxismo di Antonio Labriola, di Massimo Gabella

La rivoluzione come problema pedagogico. Politica e educazione nel marxismo di Antonio Labriola, di Massimo Gabella. Insieme all'autore ne discuteranno Michelangelo Caponetto e Roberto Dainotto; modera Roberto Fineschi.








Thursday, 20 April 2023

I venerdì critici

In attesa del "venerdì critico" di domani con la presentazione del libro di Massimo Gabella, con Caponetto e Dainotto, sono felice di annunciare l'aggiunta di un quinto evento con Vittorio Morfino​ e il suo Intersoggettività e transindividuaità.
Ecco la locandina aggiornata!


Monday, 17 April 2023

Per un marxismo teorico. Alessandro Mazzone e l’associazione Laboratorio Critico

 Uscito originariamente su La città futura

Per un marxismo teorico. Alessandro Mazzone e l’associazione Laboratorio Critico

di Roberto Fineschi

È sorta l'Associazione culturale Laboratorio Critico che si prefigge, sulle orme del lascito di Alessandro Mazzone, di costituire un punto di riferimento per coloro che intendono arricchire la militanza con l'indispensabile substrato teorico.


Per un marxismo teorico. Alessandro Mazzone e l’associazione Laboratorio Critico

1. Dieci anni fa moriva Alessandro Mazzone, rilevante figura intellettuale del marxismo italiano. Nell’occasione della ricorrenza alcuni ex-studenti - “i mazzoniani” - insieme alla figlie hanno deciso di dar vita a un’associazione culturale dal nome Laboratorio Critico. Il suo obiettivo non è una mera commemorazione rituale, ma la ripresa e il rilancio di un approccio critico, di un metodo di studio, di un campo di ricerche che oggi faticano a trovare spazio non solo nel panorama universitario, ma in quello intellettuale in senso più ampio.

Qualcuno potrebbe affibbiare la generica etichetta di “marxismo” a questo ambito culturale; al di là dei luoghi comuni e delle intenzioni dispregiative, se ben intesa, non credo che questa sarebbe alla fine una definizione sbagliata o in contraddizione con le intenzioni di Mazzone. L’importante è intendersi. Se il marxismo è il tentativo di trovare un nesso plausibile tra la riflessione teorica e la sua “traduzione” pratica o, viceversa, di formulare spiegazioni sistematiche e razionali a prassi storiche, sicuramente è questo un contenitore all’interno del quale l’operazione che si sta cercando di mettere in piedi si colloca. Il contesto è quella della complessa mediazione tra teoria e prassi.

In questa prospettiva, una deriva da evitare è il “prassismo”, vale a dire la riduzione della teoria a mera ancella della pratica, a formulazione posticcia e strumentale dell’azione immediata o spontanea dei soggetti politici (del resto non meglio definiti e/o occasionalmente individuati nella contingenza). È una strada esiziale che facilmente degenera nell’opportunismo e nel tatticismo senza strategia (se in qualche modo riesce a darsi una forma organizzata), o peggio in mera manovalanza del nemico se resta informe. L’altro estremo, altrettanto pernicioso, è il teoreticismo fine a se stesso, una turris eburnea fatta di bizantinismi e di un nuovo latinorum che, difficile da leggere, fornisce astratti formulari buoni per i convegni e per confondere le poche buone idee sopravvissute rendendole a loro volta inutilizzabili. 

Il marxismo teorico a cui si ambisce è invece un tentativo di formulazione, evidentemente a partire dalla teoria marxiana del capitale, di un contesto quadro, epocale, di funzionamento del modo di produzione capitalistico. La formulazione del vecchio Moro è rimasta notoriamente incompiuta, ma già in questa sua forma ha dimostrato capacità di previsione che nessun altro apparato teorico è stato in grado di eguagliare. Accontentarsi di questo ovviamente non avrebbe senso, ma ne ha ancora meno gettare alle ortiche quanto di buono è stato fatto e che non è stato superato da altri paradigmi teorici. Ecco, questo è il punto: si ritiene che il paradigma teorico sia solido; di nuovo: incompleto, migliorabile, sviluppabile, ma ciononostante solido nelle strutture portanti. L’associazione muove da questo punto di partenza e, sulla scia della lettura che né ha dato Mazzone, cercherà di orientarsi in due direzioni: 

1) da una parte alfabetizzazione, nel senso di organizzare seminari, progetti, pubblicazioni che non solo non lascino morire questo patrimonio, ma che aumentino il numero di persone che hanno dimestichezza con esso. Infatti c’è una differenza profondissima tra ascoltare Tizio che ti racconta come funziona il capitalismo e studiare con metodo, sistematicità e tempo la teoria marxiana del Capitale. O tra orecchiare che le classi sono in conflitto e studiare il Manifesto. Un processo formativo non può non passare dalla “ri-digestione” personale di un lascito teorico. L’associazione intende creare le occasioni affinché ciò possa accadere, da una parte organizzando seminari di lettura, dall’altra “fidelizzando” chi ha intenzione di imbarcarsi in questa avventura: i pur importanti eventi pubblici saranno relativi a occasioni specifiche, ma nella sostanza si preferirà lavorare con i membri, cioè con coloro che accetteranno il gratificante onere di seguire un percorso in cui ci si sarà da faticare con lo studio personale;

2) dall’altra realizzare/pubblicare ricerche più specialistiche, sempre a partire dal lascito di Mazzone e dagli sviluppi che un certo orientamento degli studi ha avuto in Italia e all’estero. 

Ma non è questa tutta teoria? E la pratica? Questa obiezione è quella ingenua del prassismo, ovvero di chi si illude che qualsiasi tipo di formazione intellettuale debba essere immediatamente spendibile nella mia attività politica di oggi pomeriggio. Invece qui l’obiettivo è sviluppare una serie di nozioni teoriche che permettano di conoscere la “grammatica” del modo di produzione capitalistico. Capirne i meccanismi di fondo è la premessa perché io, oggi, questa settimana, questo mese, riesca a comprendere come ciò che sto facendo nella mia attività politica di ora si collochi in un processo più ampio che ha delle linee di tendenza solo alla luce delle quali posso formulare delle strategie e quindi dare un senso, un orizzonte e un contesto alla mia azione puntuale. Sapere come funziona il corpo umano non cura a priori tutte le malattie, ma dà al medico la possibilità di capire se la persona che gli sta di fronte sta bene o male e di stabilire che cosa è necessario fare per curarla. Le cose non stanno diversamente per chi si prefigge lo scopo di cambiare il mondo per renderlo un posto migliore. Se è sbagliato limitarsi a interpretarlo (il malato non guarisce se non si passa alla cura), è altrettanto vero che senza interpretarlo quanto più correttamente possibile non si riesce a cambiarlo (il malato non guarisce se gli do la cura sbagliata). 

Con tutti i limiti di un’associazione di questo tipo, ci si auspica di contribuire almeno un po’ alla ripresa del dibattito teorico informato e del processo trasformativo della realtà effettuale.

2. Il primo risultato concreto dell’associazione è stata la pubblicazione di una raccolta di scritti di Alessandro Mazzone del periodo 1999-2012 con il titolo Per una teoria del conflitto. Il progetto è stato realizzato in collaborazione con la Rete dei comunisti e raccoglie importanti contributi di carattere teorico-politico in cui l’autore si è sforzato di scendere dal rarefatto mondo dell’astrazione filosofica a quello più concreto e complesso del conflitto storico-politico, di cui la riflessione teorica stessa è parte integrante. Il testo si articola in tre parti: la prima è dedicata al concetto di classe, alla sua storia, alla sua articolazione nella configurazione contemporanea del modo di produzione capitalistico; la seconda alla teoria della storia, con particolare attenzione al concetto di formazione economico-sociale, alle forme del dispotismo del capitalismo attuale e alle possibile strutture di transizione a una società futura; la terza parte, infine, affronta questioni più concrete nel quadro delineato nelle parti precedenti, come gli effetti sulla comunicazione, sull’università, sui concetti di democrazia e imperialismo. A conclusione troviamo un importante contributo che getta un ponte tra la riflessione teorico-politica più diretta e la possibilità di un approfondimento di tipo più formale legato alla dimensione filologica della nuova edizione storico-critica delle opere di Marx ed Engels (la Marx-Engels-Gesamtausgabe – MEGA2).

Chi fosse interessato al libro o all’attività dell’associazione, può consultare il sito laboratoriocritico.org.

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