Sunday, 7 December 2025

Silloge Leopardiana



Silloge di post leopardiani da facebook

In vista di un lavoro su "Leopardi politico", raccolgo un po' di post "leopardiani" dal passato :)





10 settembre 2021

Il primo periodo leopardiano a Firenze non fu tra i più felici. Vi arrivò il 21 giugno 1827 e, prima di lasciare la città incerto se “svernare” a Pisa o Roma, il 16 agosto scrisse a Francesco Puccinotti a Macerata:

“Sono stanco della vita, stanco della indifferenza filosofica, ch’è il solo rimedio de’ mali e della noia, ma che in fine annoia essa medesima. Non ho altri disegni o altre speranza che di morire”.

Non nella migliore disposizione d’animo, il nostro, fortunatamente, decise di andare a Pisa che ebbe su di lui, da subito, un effetto rigenerante. Il suo umore cambiò repentinamente in meglio. Il clima, l’aria, il sole, la vista, l’ambiente… insomma tutto. Il 12 novembre, pochi giorni dopo il suo arrivo, scrisse una famosa lettera alla sorella Paolina:

“Sono rimasto incantato di Pisa per il clima: se dura così, sarà una beatitudine. Ho lasciato a Firenze il freddo di un grado sopra il gelo; qui ho trovato il caldo, che ho dovuto gittare il ferraiuolo e alleggerirmi di panni. L’aspetto di Pisa mi piace assai più di Firenze. Questo lung’Arno è uno spettacolo così bello, così ampio, così magnifico, così gaio, così ridente, che innamora: non ho veduto niente di simile né a Firenze né a Milano né a Roma; e veramente non so se in tutta l’Europa si trovino molte vedute di questa sorta. Vi si passeggia poi nell’inverno con gran piacere, perché v’è quasi sempre un’aria di primavera: sicché in certe ore del giorno quella contrada è piena di mondo, piena di carrozze e di pedoni: vi si sentono parlare dieci o venti lingue, vi brilla un sole bellissimo tra le dorature dei caffè, delle botteghe piene di galanterie, e nelle inventriate dei palazzi e delle case, tutte di bella architettura. Nel resto poi, Pisa è un misto di città grande e di città piccola, di cittadino e di villereccio, un misto così romantico, che non ho mai veduto altrettanto. A tutte le altre bellezze, si aggiunge la bella lingua. E poi vi si aggiunge che io, grazie a Dio, sto bene; che mangio con appetito; che ho una camera a ponente, che guarda sopra un grand’orto, con una grande apertura, tanto che si arriva a veder l’orizzonte, cosa di cui bisogna dimenticarsi in Firenze”.

E lo stesso giorno si espresse in termini analoghi in una lettera a Giampietro Vieusseux a Firenze. A Pisa si sente a casa; per certi aspetti gli ricorda Recanati e ridesta nella sua mente rasserenata le “rimembranze” del passato. Il 25 febbraio del 1828 racconta sempre alla sorella:

“Io sogno sempre di voi altri, dormendo e vegliando; ho qui in Pisa una certa strada deliziosa, che io chiamo Via delle rimembranze: là vo a passeggiar quando voglio sognare a occhi aperti. Vi assicuro che in materia di immaginazioni, mi pare di esser tornato al mio buon tempo antico”.

Come è ben noto, questo processo di lento adattamento e maturazione al nuovo ambiente porta, nell’aprile del 1828, alla ripresa del poetare. Ce lo dice di nuovo Giacomo in una lettera sempre a Paolina del 2 maggio:

“[…] e dopo due anni, ho fatto dei versi quest’Aprile; ma versi veramente all’antica, e con quel mio cuore d’una volta”.

Si tratta delle prime stesure de Il risorgimento (7-13 aprile) e di A Silvia (19-20 aprile), i primi dei cosiddetti Grandi Idilli o Canti Pisano-Recanatesi.

Insomma, bisogna proprio ringraziare Pisa, che mise di buon umore anche Leopardi. Visse in “via Fagiuoli” (ora via della faggiola 17) in casa Soderini (“impiegato non so in qual tribunale […] La gente di casa è buona”), dove insieme a Giuseppe viveva la moglie a la cognata, tal Teresa Lucignani, che racconterà come Giacomo facesse colazione alle 8 con cioccolata e caffè e uscisse alle 2 a passeggiare per un paio d’ore.

Una targa un po’ retorica ricorda l’ispirato periodo e ieri, girovagando per la città, ci sono passato sotto :) :)



1 giugno 2024

Primato della politeia

"Del resto, sebbene la morale per se stessa è più importante, e più strettamente in relazione con tutti, di quello che sia la politica, contuttociò a considerarla bene, la morale è una scienza puramente speculativa, in quanto è separata dalla politica: la vita, l'azione, la pratica della morale, dipende dalla natura delle istituzioni sociali, e del reggimento della nazione: ella è una scienza morta, se la politica non cospira con lei, e non la fa regnare nella nazione. Parlate di morale quanto volete a un popolo mal governato: la morale è un detto, e la politica è un fatto: la vita domestica, la società privata, qualunque cosa umana prende la sua forma dalla natura generale dello stato pubblico di un popolo".

(G. Leopardi, Zibaldone, 9 nov. 1820)



9 giugno 2024

Proto-marxismo leopardiano? ;)

C'è tanto di rovesciamento (Verkehrung), ma manca il passaggio dall'interpretazione alla prassi (se non fischiando) :) :)

"... ridiamo insieme alle spalle di questi coglioni, che possiedono l'orbe terracqueo. Il mondo è fatto a rovescio, come quei dannati di Dante che avevano il culo dinanzi ed il petto di dietro; e le lagrime strisciavano giù per lo fesso. E ben sarebbe più ridicolo il volerlo raddrizzare, che il contentarsi di stare a guardarlo e fischiarlo".

(G. Leopardi, Lettera a Pietro Brighenti del 22 giugno 1821).



13 giugno 2024
Leopardi aulicamente sulla virtù :) :)

"Domando io: è vero o non è vero che la virtù è il patrimonio dei coglioni[?]

...tale che nessuno de' più infiammati nello scriverla, vorrebb'esser quello che l'adoperasse, e nemmeno esser creduto un di quelli che l'adoprino? (cioè un minchione)"


24 giugno 2024

Il primo soggiorno di Leopardi a Firenze iniziò il 21 giugno 1827. Il 3 settembre dello stesso anno vi incontrò Manzoni, giunto in città pochi giorni prima per “risciacquare i panni in Arno” dopo la pubblicazione della “ventisettanta” tra il 1825 e 1827. L’occasione fu un ricevimento organizzato in onore del grande e celeberrimo autore milanese da Vieusseux presso Palazzo Buondelmonti.

Del romanzo si faceva un gran parlare e Leopardi sembrò dapprima averne un giudizio poco informato, ma apparentemente prevenuto, probabilmente per l’ideologia cattolica del suo autore. In una lettera a Stella del 23 Agosto 1827 afferma: “Del romanzo di Manzoni (del quale io ho solamente sentito leggere alcune pagine) le dirò in confidenza che qui le persone di gusto lo trovano molto inferiore all’aspettazione. Gli altri generalmente lo lodano”.

Insomma, chi se ne intende ne sarebbe stato deluso. A rinforzare questa prima valutazione negativa scrive a Brighenti il 30 Agosto 1827 (pochi giorni prima del ricevimento): “Qui si aspetta Manzoni a momenti. Hai tu veduto il suo romanzo, che fa tanto rumore, e val tanto poco?”.

L’impressione che però ebbe di Manzoni dall’incontro e, a quanto afferma nelle lettere, da una qualche frequentazione (Manzoni sarebbe restato con la famiglia a Firenze per tutto il mese di settembre), fu invece positiva. Al padre Monaldo scrive l’8 settembre di averlo conosciuto (“Tra’ forestieri ho fatto conoscenza e amicizia col famoso Manzoni di Milano, della cui ultima opera tutta l’Italia parla, e che ora è qui colla sua famiglia”). Nel marzo del 1828, oramai a Pisa e poco prima di rimettersi a scrivere poesie, commenta con Papadopoli (lettera del 25 Febbraio 1828): “Ho veduto il romanzo del Manzoni, il quale, non ostante molti difetti, mi piace assai, ed è certamente opera di un grande ingegno; e tale ho conosciuto il Manzoni in parecchi colloqui che ho avuto seco a Firenze. È un uomo veramente amabile e rispettabile”.

Il giudizio positivo sia sulla persona che sull’opera è confermato in un’altra lettera a Monaldo del 17 giugno 1828: “Ho piacere che Ella abbia veduto e gustato il romanzo cristiano di Manzoni. È veramente una bell’opera; e Manzoni è un bellissimo animo, e un caro uomo”.

Addirittura, quando si giustificherà con il padre per aver precisato che i dialoghetti filo-cattolici scritti dal genitore non erano opera sua, come invece molti pensavano, cita Manzoni come autore per antonomasia e il suo romanzo come opera per eccellenza: avrebbe smentito anche se i Promessi sposi gli fossero stati attribuiti (lettera a Mondalto del 28 maggio 1832: “L’una, che mi è parso indegno l’usurpare in certo modo ciò ch’è dovuto ad altri, e massimamente a Lei. Non son io l’uomo che sopporti di farsi bello degli altrui meriti. Se il romanzo di Manzoni fosse stato attribuito a me, io non dopo 4 mesi, ma il giorno che l’avessi saputo, avrei messo mano a smentire questa voce in tutti i Giornali”).

Nella continuazione precisa di non essere un rivoluzionario, di avere rispetto della morale cattolica, ma che essa non è la sua.

Insomma, viva Leopardi, viva Manzoni e Firenze, la città che li ha fatti conoscere.


25 giugno 2024

Leopardi visse a Firenze in tre diversi periodi: nell’estate del 1827 per poi trasferirsi a Pisa; di ritorno da Pisa l’anno seguente; quindi per un più lungo periodo dal 1830 al 1833 (con un intervallo romano al seguito di Ranieri a suo volta al seguito di una delle sue amate).

Pur non amando la città – di cui si lamenta per il vento, il costo, le contadine, il freddo, la mancanza di orizzonte (cfr. lettere al fratello Carlo del 23 Agosto 1827, Francesco dell’8 Settembre 1827, a Paolina del 12 Novembre 1827) – qui scriverà testi importanti tra cui le prime poesie del ciclo di Aspasia “ispirate" a Fanny Targioni Tozzetti e le ultime due operette morali (Dialogo di un venditore d’almanacchi e di un passeggere e Dialogo di Tristano e di un amico nel 1832, comprese nell’edizione Piatti, Firenze 1834; forse anche Dialogo di Plotino e di Porfirio nel 1827). Uscì a Firenze nel 1831 sempre presso Piatti la prima edizione dei Canti, dedicata agli "amici suoi di Toscana".

Ecco alcuni luoghi leopardiani: Palazzo Buondelmonti (pre-restauro) in Piazza Santa Trinita casa di Vieusseux, l’appartamento in Via del Fosso dove visse la maggior parte del tempo presso le sorelle Busdraghi, il palazzo dove vivevano i Targioni Tozzetti in via Ghibellina dove Fanny apriva il suo celebre salotto.


3 settembre 2024

Ma quanto vale la filosofia nel mondo? Leopardi se n'era fatta un'idea precisa :D

Meglio la filologia ;)

"Dovete però sapere che la filosofia, e tutto quello che tiene al genio, insomma la vera letteratura, di qualunque genere sia, non vale un cazzo cogli stranieri: i quali non sapendo quasi niente d'italiano, non gusterebbero un cazzo le più belle produzioni che si mostrassero loro in questa lingua; e non prendono nessun interesse per chi brilla in un genere di studi inaccessibile per loro. lo dunque ho mutato abito, o piuttosto ho riassunto quello ch'io portai da fanciullo. Qui in Roma io non sono letterato (il qual nome, se vero, è inutile coi romani, inutile coi forestieri), ma sono un erudito e un grecista. Non potete credere quanto m'abbiano giovato quegli avanzi di dottrina filologica ch'io ho raccolto e raccapezzato dalla memoria delle mie occupazioni tanciullesche. Senza questi, io non sarei nulla cogli stranieri, i quali ordinariamente mi stimano. e mi danno molti segni d’approvazione".

LETTERA A CARLO LEOPARDI - RECANATI, Roma 22 Gennaio 1823.


1 ottobre 2024
Quanto era pessimista Leopardi? Nello Zibaldone il termine ricorre una sola volta per dire che all'ottimismo del migliore dei mondi possibili non avrebbe senso sostituire il pessimismo del peggiore.

... e "pessimismo storico" e "cosmico" sono definizioni ancora non è tanto chiaro inventate da chi (Bonaventura Zumbini all'inizio del Novecento fece per primo la distinzione tra storico e cosmico, ma per parlare di leggi e sofferenza, non di pessimismo).

Almeno dagli anni Venti però erano diventate canoniche (le usa Croce, le usa Gentile come definizioni assodate).

La filosofia di Leopardi (che si definiva filosofo, parlava ricorrentemente di "mio sistema" e sosteneva che non si può fare filosofia se non per sistemi) andrebbe ripresa con maggiore attenzione (stay tuned :D ).

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