La neutralità della scienza
La scienza come tale è un prodotto umano e quindi il suo sviluppo non avviene nel vuoto ma in fasi determinate dello sviluppo sociale, evidentemente in collegamento stretto con esse. Marx per esempio mostra efficacemente come il modo di produzione capitalistico faccia dello sviluppo scientifico uno degli elementi fondamentali della sua riproduzione e che dunque spinga sempre verso nuove scoperte e invenzioni.
Ciò significa che la scienza non è “neutrale”? Che sia storicamente determinata non vuol dire che sia arbitraria o soggettiva. La formulazione delle leggi della fisica ha una sua storia, ma, date certe premesse (certo modificabili, ma non arbitrarie), chiunque segua le procedure arriva agli stessi risultati. In questo senso è “oggettiva” (premesso ovviamente che questi risultati siano sperimentalmente verificati, ecc.).
Che i fisici (o chi per loro) siano poi anche dei cittadini e quindi abbiano posizioni politiche, ecc. ecc. è un altro ordine di discorso. Che essi possano decidere come comunità di smettere di investigare in una certa direzione o meno è evidentemente una scelta politica, ma non riguarda come tale la “oggettività (storicamente determinata)” della scienza. Se con l’energia atomica vogliamo farci centrali o bombe non dipende dalla fisica di per sé; se con l’uranio vogliamo produrci energia o avvelenare i pozzi di nuovo non è una questione scientifica ma di uso delle scoperte scientifiche; che con la polvere da sparo ci si sparino fuochi d’artificio o pallottole, ecc. Che singoli scienziati possano anche essere stati individui riprovevoli non cambia niente alle cose che hanno scoperto.
Le opportunità di utilizzo e la discussione pubblica sui risultati della scienza non riguarda solo gli scienziati, ma *tutti i cittadini* ed è questa sì una questione squisitamente politica. Ma le due cose non coincidono e farle coincidere porta a conseguenze poco sane, vale a dire ridurre la scienza a pura ideologia.
Per fare un esempio: le teorie economiche mainstream sono deprecabili perché non stanno in alcun modo in piedi; il loro problema è essere diventate un’ideologia di classe perché le si impone nonostante non abbiano alcuna validità scientifica. Se però riduciamo la scienza a opinione non è più possibile argomentare la loro fallibilità, perché la nostra argomentazione diventerebbe a sua volta una mera ideologia e quindi la decisione sarebbe alla fine delegata a meri rapporti di forza in cui lo strumento scientifico-razionale viene annullato (e questo per noi è una grande perdita, perché abbiamo una teoria migliore).
Se si intende dunque che la scienza è politica nel senso che si dà e non può che darsi in determinate forme, in determinate fasi storiche dello sviluppo umano, a un suo certo grado di sviluppo, ecc. ecc. va da sé che non può che essere così. Se invece si intende che il suo contenuto teorico-argomentativo è arbitrario perché legato a interessi politici di chi la fa (la cosa è ovviamente possibile ma a questo punto non è più scienza), qui si scade nell’ideologismo, una delle tante forme di pensiero reazionario, e ci si priva di un’arma efficace nella lotta politica, ma anche nella discussione pubblica.
Ciò significa che la scienza non è “neutrale”? Che sia storicamente determinata non vuol dire che sia arbitraria o soggettiva. La formulazione delle leggi della fisica ha una sua storia, ma, date certe premesse (certo modificabili, ma non arbitrarie), chiunque segua le procedure arriva agli stessi risultati. In questo senso è “oggettiva” (premesso ovviamente che questi risultati siano sperimentalmente verificati, ecc.).
Che i fisici (o chi per loro) siano poi anche dei cittadini e quindi abbiano posizioni politiche, ecc. ecc. è un altro ordine di discorso. Che essi possano decidere come comunità di smettere di investigare in una certa direzione o meno è evidentemente una scelta politica, ma non riguarda come tale la “oggettività (storicamente determinata)” della scienza. Se con l’energia atomica vogliamo farci centrali o bombe non dipende dalla fisica di per sé; se con l’uranio vogliamo produrci energia o avvelenare i pozzi di nuovo non è una questione scientifica ma di uso delle scoperte scientifiche; che con la polvere da sparo ci si sparino fuochi d’artificio o pallottole, ecc. Che singoli scienziati possano anche essere stati individui riprovevoli non cambia niente alle cose che hanno scoperto.
Le opportunità di utilizzo e la discussione pubblica sui risultati della scienza non riguarda solo gli scienziati, ma *tutti i cittadini* ed è questa sì una questione squisitamente politica. Ma le due cose non coincidono e farle coincidere porta a conseguenze poco sane, vale a dire ridurre la scienza a pura ideologia.
Per fare un esempio: le teorie economiche mainstream sono deprecabili perché non stanno in alcun modo in piedi; il loro problema è essere diventate un’ideologia di classe perché le si impone nonostante non abbiano alcuna validità scientifica. Se però riduciamo la scienza a opinione non è più possibile argomentare la loro fallibilità, perché la nostra argomentazione diventerebbe a sua volta una mera ideologia e quindi la decisione sarebbe alla fine delegata a meri rapporti di forza in cui lo strumento scientifico-razionale viene annullato (e questo per noi è una grande perdita, perché abbiamo una teoria migliore).
Se si intende dunque che la scienza è politica nel senso che si dà e non può che darsi in determinate forme, in determinate fasi storiche dello sviluppo umano, a un suo certo grado di sviluppo, ecc. ecc. va da sé che non può che essere così. Se invece si intende che il suo contenuto teorico-argomentativo è arbitrario perché legato a interessi politici di chi la fa (la cosa è ovviamente possibile ma a questo punto non è più scienza), qui si scade nell’ideologismo, una delle tante forme di pensiero reazionario, e ci si priva di un’arma efficace nella lotta politica, ma anche nella discussione pubblica.
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