Saturday, 27 September 2025
Il capitale di Marx oggi Roberto Fineschi
Materialismo Storico, n° 1/2025 (vol. XVIII) – E-ISSN 2531-9582
Relazione introduttiva tenuta alla presentazione urbinate del 7 marzo 2025 della nuova edizione del primo libro del Capitale per Einaudi editore.
Il capitale di Marx oggi
Roberto Fineschi
Buonasera a tutti. Grazie al prof. Azzarà per aver organizzato questo evento e a tutti i colleghi che si sono resi disponibili per venire a discuterne. Estendo i ringraziamenti ai presenti per la loro partecipazione.
Iniziamo dal feticcio: il libro è editorialmente bellissimo, arricchito da stampe di dipinti otto-novecenteschi sulla storia del lavoro. Una prima nota da mettere in evidenza è che il volume è uscito nei Millenni di Einaudi, vale a dire un classico che resiste al tempo e che dura nei secoli. Qualcuno potrebbe interpretarla come una sorta di imbalsamazione, il bel monumento… ai caduti. Invece, almeno per i contatti che ho avuto io con la casa editrice, mi è parso che ci fosse l’idea di un contenuto politico, di politica culturale. Come se ci fosse una sorta di malessere anche all’interno della cultura ufficiale “borghese” nei confronti delle teorie predominanti. Probabilmente anche una borghesia diciamo moderatamente progressista e di vedute più ampie si rende conto che certi paradigmi mainstream, ahimè spiegano sempre meno e che quindi una strumentazione che parta da un paradigma diverso, anche senza volerlo abbracciare ovviamente in toto, può essere presa in considerazione; forse certe categorie non sono da buttar via. C’era anche una dimensione culturale, di politica culturale, per dare degli spunti contenutistici anche a un possibile movimento progressista in senso lato.
Veniamo più concretamente all’edizione. Innanzitutto è una ritraduzione completa, non solo mia; diamo onore ai miei collaboratori che sono Stefano Breda, Gabriele Schimmenti e Giovanni Sgro’. Abbiamo diviso in quattro eque parti e poi chiaramente è stato rimesso insieme, omogeneizzato dal sottoscritto.
Perché una nuova edizione, esistendone già diverse, sia storiche che più recenti. Le più diffuse sono l’edizione Cantimori e l’edizione Maffi. C’è anche l’edizione Sbardella della Newton. Le edizioni Cantimori e Maffi in particolare sono buone. Quindi: perché farne una nuova? Principalmente per la MEGA, cioè la nuova, la Marx-Engels-Gesamtausgabe, la nuova edizione storico-critica delle opere di Marx ed Engels. In essa ora, sintetizzo per non stare ad annoiarvi troppo, Il capitale da tre volumi è passato a quindici se si includono i manoscritti che lo precedono e quelli successivi, su cui Engels poi ha curato l’edizione a stampa del secondo e del terzo. Uno dei manoscritti precedenti sono i famosi Grundrisse, ma in realtà di “Grundrisse” ce ne sono tre, tre corposi manoscritti in cui Marx ha riscritto più o meno tutto. Oltre a questi manoscritti hanno pubblicato anche le edizioni storiche, incluse le diverse edizioni che Marx ed Engels hanno pubblicato in vita del primo libro, l’unico che Marx ha effettivamente dato alle stampe. La prima volta nel 1867; una seconda edizione tedesca esce tra il 1872 e il 1873; l’edizione francese del 1872-75 , tutte approvate da Marx. E poi ci sono due ulteriori edizioni tedesche, del 1883, e del 1870, curate da Engels e un’edizione inglese, anch’essa curata da Engels del 1887. Tra queste edizioni ci sono moltissime varianti. Nella seconda edizione tedesca rispetto alla prima ci sono numerose varianti, viene addirittura cambiata l’intelaiatura del libro: da capitoli si passa a sezioni, ne vengono create di nuove, suddivisi i capitoli, ecc. Ha ripensato la struttura. Questo processo continua con l’edizione francese, tant’è che Marx stesso all’inizio del libro dice che è migliorativa rispetto alla seconda tedesca, al punto che anche il lettore tedesco doveva rifarsi a essa. Anche qui confrontando le varianti si capisce di che sta parlando: per esempio, sviluppa la parte sull’accumulazione in maniera sostanziale introducendo nuove categorie come composizione organica, distingue tra concentrazione e centralizzazione, ecc. Mette in due sezioni separate l’accumulazione cosiddetta originaria e quella propriamente capitalistica. Introduce il concetto di lavoratore complessivo, o collettivo anche come viene tradotto a volte, che per esempio è centrale anche in Gramsci. È insomma un’edizione che aggiunge molto. Marx non ha curato una terza edizione tedesca, che avrebbe rielaborato alla luce di quella francese, e questo ha creato tutta una serie di questioni editoriali che tuttora sono al centro della discussione. È per esempio uscita recentemente un’edizione inglese per Princeton University che adotta criteri diversi da quelli che abbiamo adottato noi. Perché? Cerco di spiegare il contesto. Qual è l’ultima versione che ha pubblicato Marx? La questione è che non c’è! Paradossalmente un libro che ha pubblicato tre volte in vita e che ha curato personalmente non ha una versione di ultima mano. Cronologicamente sarebbe la francese; ci sono delle migliorie, quindi perché non partire da quella? Perché non è una traduzione in senso moderno. Giusto per farvi l’esempio più clamoroso: non c’è “valorizzazione”. Non solo non c’è il termine valorizzazione, non c’è una traduzione coerente utilizzando coerentemente la stessa parola in tutto il volume. Chi ha un minimo di familiarità con la teoria del capitale sa che essa ne è proprio il cuore. Poi, per esempio, passi complessi vengono semplicemente omessi, mancano a volte righi interi. Soprattutto quello che viene meno è il lessico filosofico marxiano. La terminologia utilizzata in maniera massiccia da Marx nel tedesco, che ha insomma l’eredità storica della filosofia classica tedesca di Hegel e non solo, viene un po’ “annacquata”, appiattita. Ci sono motivi oggettivi insomma e anche molti studiosi francesi del dopoguerra hanno sollevato la questione concludendo che non si poteva considerarla una traduzione soddisfacente. In verità anche lo stesso Marx quando ha redatto dei progetti per la terza edizione tedesca non ha detto pubblichiamo la francese, ha indicato la seconda edizione tedesca e di modificare questo, quell’altro passaggio dalla francese; ci sono tre indici in cui lui dà delle indicazioni sui passaggi da sostituire. Poi ci sono le copie personali di Marx in cui pure aveva evidenziato dei passaggi. Nella terza edizione tedesca Engels, seguendo queste indicazioni, ha modificato il testo. Ora qual è il problema? È che non l’ha fatto completamente. Nella quarta edizione tedesca continua ad aggiungere altre cose che non aveva inserito nella terza, però di nuovo non lo fa completamente. Una delle cose che non ha fatto, ad esempio, è cambiare la struttura secondo cui Marx aveva risuddiviso l’edizione francese. La conseguenza è stata che chi studia Marx dal tedesco o dalle edizioni tradotte dal tedesco ha un indice; i francesi invece, siccome Marx aveva parlato bene dell’edizione di Roy, l’hanno riprodotta a oltranza con un indice diverso dalla tedesca. L’edizione inglese curata da Engels nel 1887 utilizza la struttura della francese, quindi l’edizione inglese ha l’indice della francese. Invece nella III e IV tedesca Engels ha mantenuto quello della seconda edizione. Insomma: francese e inglese hanno un indice diverso dalla tedesca e da chi ha tradotto da essa e quindi l’assurdo è che ai convegni citando ad es. il capitolo 17 non è detto che ci si riferisca allo stesso testo; bisogna chiarirsi su quale sia l’edizione di riferimento.
La nuova edizione Princeton, ma anche in passato quella messicana di Scaron che è una buona edizione, è basata sulla seconda edizione tedesca e rispetto a essa fornisce le varianti delle altre. Qual è il motivo di questa decisione? C’è una velata ideologia anti-engelsiana: dovendo scartare l’edizione francese per la traduzione, per averne una marxiana senza intervento engelsiano bisognava prendere la seconda tedesca. Quest’ultima edizione inglese per Princeton segue questo criterio. Si possono portare delle argomentazioni a favore di questa scelta, complessivamente ritengo però che sia sbagliata. Perché? Semplicemente perché abbiamo come varianti e non nel testo principale parti di testo che Marx non solo ha progettato, ma pubblicato nell’edizione francese come miglioramenti. Esse sono migliorative rispetto alla seconda edizione tedesca, ma il lettore che ha la seconda edizione tedesca se le trova come varianti e non nel testo principale.
I contenuti che un lettore trova nel testo pensa che costituiscano il pensiero più maturo dell’autore, non qualcosa di superato da miglioramenti successivi. Non è detto che il lettore generico vada a leggersi le varianti tanto meno che capisca che in esse si trovi il testo più maturo. Leggendo la seconda edizione tedesca non troviamo per es. la composizione organica. È una cosa incredibile. Diversi concetti fondamentali non li troverebbe solo perché sono stati inseriti nell’edizione francese. Partendo dalla seconda edizione tedesca li si colloca nelle varianti, quindi secondo me è una scelta scorretta nei confronti del lettore, perché il lettore, a meno che non sia un esperto, potrebbe non capire che nel testo principale trova delle categorie superate. Nella III e nella IV edizione c’è invece l’intervento di Engels. La soluzione perfetta non c’è a meno che non si faccia come nell’edizione critica in cui si pubblicano tutte le edizioni, operazione impensabile in traduzione.
Si trattava dunque di trovare una soluzione “diplomatica”, nella consapevolezza che quella perfetta non esiste. L’obiettivo era fornire una traduzione che rendesse il miglior Marx possibile e questo la seconda edizione tedesca non lo fa, perché appunto il testo più avanzato si trova nelle varianti. Per questa ragione abbiamo deciso di prendere come punto di riferimento la quarta edizione tedesca, cioè l’ultima curata da Engels dove più o meno è stato inserito quasi tutto, e rispetto ad essa abbiamo dato le principali varianti di tutte le edizioni precedenti: tre edizioni tedesche e l’edizione francese. Chiaramente, nell’introduzione si spiega quello che ho spiegato a voi, cioè che si tratta di una soluzione diplomatica e che il testo include l’intervento editoriale di Engels. Chi volesse leggere la seconda edizione tedesca, trova il testo nelle varianti.
Le varianti sono molte, da p. 770 fino a p. 1214. Oltre alle varianti in senso stretto, il testo include anche due manoscritti, uno ben noto, il cosiddetto Sesto capitolo inedito, che è stato ritradotto completamente seguendo gli stessi criteri di traduzione, e poi un manoscritto inedito, pubblicato per la prima volta nell’edizione critica, scritto da Marx tra il dicembre del 1871 gennaio del 1872, proprio nel corso della progettazione della seconda edizione tedesca, il primo capitolo in particolare, riscritto quasi completamente. Giusto per dare un’idea, nel primo capitolo del 1867 non c’è il paragrafo sul feticismo della merce, non uno a caso, uno dei capitoli più discussi nelle interpretazioni di Marx. In questo Manoscritto 1871-72 si vede letteralmente proprio la creazione del capitolo, come aggiunga dei paragrafi nuovi, poi inserisca il pezzo che nella prima edizione era a pagina x, ecc.; si vede proprio la costruzione. Anche per esempio per la forma di valore, che è uno dei temi più discussi nell’interpretazione, sempre in questo manoscritto c’è un ripensamento molto importante che getta luce anche su come leggere l’intera sezione. C’è una “divagazione” di 3-4 pagine in cui Marx riconsidera un po’ tutta la struttura della merce, della forma di valore eccetera e secondo me chiarisce in maniera netta come la pensa. Questi manoscritti sono inclusi in questo volume.
Il testo di riferimento è dunque la quarta edizione tedesca del primo libro del 1870 e include tutti i testi sopravvissuti che Marx ha vergato con l’intenzione di scrivere il primo libro, dunque a partire dal 1863 in poi, perché il progetto del capitale in tre libri viene sostanzialmente realizzato per la prima volta nel 1863-65. Prima il progetto si chiamava Per la critica dell’economia politica; adesso invece diventa sottotitolo. L’intenzione viene espressa nella famosa lettera a Kugelmann del dicembre del 1862. Nel manoscritto 1863-65 c’era una prima versione del primo libro del capitale, che però è andata perduta, a eccezione del cosiddetto sesto capitolo inedito.
Tutti questi testi sono stati tradotti con gli stessi criteri; questo è un grosso vantaggio dell’edizione. Alcuni di essi erano disponibili, però chiaramente non era la stessa traduzione di Cantimori, né di Maffi, quindi un confronto tra varianti era difficile da fare per uno che non potesse andarsi a vedere il tedesco, perché chiaramente ogni traduttore aveva adottato criteri diversi. Il vantaggio di questa edizione è che queste varianti sono
Thursday, 25 September 2025
Friday, 19 September 2025
Adriana Bernardeschi mi ha intervistato su Radio Grad sul mio libro Nel labirinto. Italo Calvino filosofo
Thursday, 18 September 2025
Presentazioni presso la Casa della cultura di Milano di Marx e Hegel. Fondamenti per una rilettura
Presentazioni presso la Casa della cultura di Milano di Marx e Hegel. Fondamenti per una rilettura, Napoli, La scuola di Pitagora, 2024.
Ne hanno discusso con l'autore Gennaro Imbriano e Vittorio Morfino.
Monday, 15 September 2025
NEL LABIRINTO Italo Calvino filosofo. Presentazione del libro di Roberto Fineschi
NEL LABIRINTO Italo Calvino filosofo
Sunday, 14 September 2025
AUTOGOVERNO E TIRANNIDE. L’idea dello stato: preliminari per un’analisi del potere presente, di Alessandro Mazzone
AUTOGOVERNO E TIRANNIDE
l’idea dello stato: preliminari per un’analisi del potere presente
Alessandro Mazzone
1. Perfino un liberale1 come Norberto Bobbio ha riconosciuto che l’attacco neoliberale ad ogni forma di socialismo è ormai, e sostanzialmente, un attacco alla democrazia tout court2. Ma per chi ritiene che gli ideologemi neoliberali siano piuttosto figure di superficie di un processo, in cui il capitalismo transnazionale tende fra l’altro ad abbattere quel poco o tanto di democrazia che si è depositata anche in istituzioni negli Stati del cosiddetto Occidente (e che in un Paese come il nostro è risultato delle lotte dei lavoratori durante quattro generazioni) - conviene riprendere la questione alla radice.
Friday, 12 September 2025
I promessi sposi e i rapporti di forza
I promessi sposi e i rapporti di forza
I Promessi sposi sono un testo troppo "scolarizzato" per essere letto con la stessa attitudine con cui si approccio un romanzo qualsiasi. È questa la celebre premessa del discorso di Sciascia che afferma di averlo letto prima di studiarlo a scuola e che ciò gli ha permesso di maturare un'idea che, di primo acchito, lascia un po' a bocca aperta: il vero "vincitore" della vicenda è Don Abbondio, l'unico che attraversa tutte le vicende e che resta al suo posto, andando in tasca ai promessi sposi, a Don Rodrigo, a Perpetua, alla peste, ai lanzichenecchi, al mondo intero. È una Provvidenza dunque ben miope a giudicare con gli occhi di chi vuole cercare qualche segnale di progresso nelle vicende umane.
In verità il romanzo finisce con Renzo e Lucia che un accomodamento progressivo lo trovano: Renzo diventa imprenditore/proprietario, Lucia addirittura riesce a dire la sua e a concordare il sugo della storia insieme al marito, i figlioletti imparano a leggere a scrivere, ecc. Certo... non è il paradiso in terra: il male è inevitabile e viene anche se non lo si cerca e spesso pare vincere, ma la fede permette di affrontarlo con più fermezza e quindi anche con qualche possibilità si scamparla in più.
I promessi sposi sono allora il romanzo della necessità storica, dei meccanismi storico-sociali sovradeterminanti e direzionanti all'interno dei quali l'azione umana è possibile e limitata; e soprattutto è efficace solo se quei meccanismi riesce a comprenderli e a inserirvisi in maniera ponderata e precisa. È il romanzo della frustrazione dell'azione umana che al di fuori di quei meccanismi cerca di porsi, di tutti coloro che non sanno muoversi conoscendo le regole del sistema e dei successi parziali di chi, in parte e limitatamente, quei meccanismi con l'esperienza (e sopravvivendo a quelle esperienze) impara a conoscere.
Almeno questa è la lettura che ne dà Italo Calvino all'inizio degli anni Settanta, uscendo da una lunga fase (progressivamente sempre più critica) di prassismo moderatamente ottimista, scottato dall'impasse storico-politica dell'ideologia in cui aveva creduto e per la quale aveva attivamente militato.
Non è un debacle della volontà, ma una presa di coscienza dell'assoluta urgenza di cogliere i rapporti di forza reali, non meramente contingenti ma legati alle tendenze epocali, con la consapevolezza dei limiti stringenti all'interno dei quali l'azione umana è possibile.
I promessi sposi diventano allora il romanzo del dramma storico dell'umanità che fa i conti con l'assoluto (non necessariamente trascedente), ovvero con quei processi che si può rinunciare a pensare (la "fortuna" machiavelliana se la vogliamo casuale o la "Provvidenza" cristiana se la vogliamo intelligente e direzionata ma incomprensibile) o che si può tentare di ricondurre a leggi di movimento (il materialismo storico marxiano).
I. Calvino, I Promessi Sposi: il romanzo dei rapporti di forza, in Una pietra sopra, ora in Saggi, a cura di M. Barenghi, Milano, Mondadori, 1991.
L. Sciascia, Goethe e Manzoni, in Cruciverba, ora in Opere. 1971-1983, a cura di C. Ambroise, Milano, Bompiani, 2001.
Tuesday, 9 September 2025
Genova per noi…
Genova per noi…
a e drammatica…
Spinto dalla curiosità compro un libro dal significativo titolo “Storia dei genovesi”. L’autore sa di che cosa parla, ma non sa che cosa significa storia e società e scrive un libro come non va scritto, se non cadendo nei luoghi comuni identitari (quelli che poi sfociano nel fascistoide).
Chi sono i “genovesi”, o i “senesi” o gli italiani e via dicendo? In base alla narrazione sostanzialmente evenemenziale, e solo rapsodicamente sostanziale, della vicenda si direbbe che sono le classi dirigenti.
È il tipo di identificazione che nasconde l’egemonia di siffatte classi che, grazie a tale etichettatura generale, riescono a coinvolgere i subalterni come se fossero accessori rispetto al ruolo e la funzione di leadership che esse hanno avuto.
Ovviamente in un certo senso è vero che tutti gli individui che hanno partecipato a quelle vicende storiche sono “genovesi”, ovvero tutti i membri di quel *sistema sociale* sono stati momenti di un processo in cui esistono ruoli e funzioni specifiche di cui le classi dirigenti hanno il ruolo apicale. Questi ruoli sono però ben diversi e conflittuali, non solo a livello infraclassista (questo lo considera anche il nostro autore) ma interclassista.
Ecco il meccanismo egemonico: nel sovrapporre genovesi e classi dirigenti di quel sistema genovese si crea un’egemonia e un’identificazione di tutti (subalterni inclusi) nella politica di chi quei processi ha gestito da posizione dominante.
È in sostanza il meccanismo fondamentale del nazionalismo, dell’identitarismo astratto per cui i contraddittori processi storici vengono ridotti a una matrice comune (non processuale ma “data”) il cui vero soggetto sono le classi dirigenti. Tifiamo così per la locale squadra di calcio, per la contrada, per la nazione, ecc., per la nostra *casa comune* in cui le classi dirigenti ci apparecchiano una giocosa subalternità. Anche nei libri di storia fatti male (o fatti ad hoc).
Monday, 1 September 2025
Misteri delle fede?
Misteri delle fede?
Il giochino del paese libero rispetto al dispotico comunismo non esiste più e la barzelletta dei paesi liberi e democratici contro la autocrazie ormai fa ridere anche chi finge di sostenerla.
Oltre a quella militare, c’è la questione finanziaria. Per quanto in misura ridotta rispetto a venti anni fa, il paese dipende per circa un quarto del proprio debito pubblico da finanziatori stranieri. È poco rispetto ad altri paesi europei, ma è comunque molto, abbastanza per avere le mani legate rispetto agli “investitori finanziari” che mirano a fare soldi ma che hanno anche un evidente orientamento geopolitico (se poi la BCE abbandona il quantitative easing, le cose rischiano di peggiorare rapidamente).
La risposta sovranista è impossibile nell’economia integrata mondiale. L’unica alternativa – in verità solo teorica - sarebbe cambiare alleanze geopolitiche, ma questo non sarà mai permesso (sarebbe tra l’altro un cattivo esempio da punire moooolto severamente). Non resta, “patriotticamente”, che andare con il cappello in mano a pietire trattamenti di favore… e dire signor sì anche di fronte alle peggiori nefandezze sponsorizzate a stelle e strisce, G4z4 docet.
Il capitalismo crepuscolare è violenza senza egemonia. Potrà durare?
Archeologia politica - Lo stato d'eccezione
Nelle Catilinarie, Cicerone teorizza esplicitamente lo Stato di eccezione.
Pretende di considerare giuridicamente legittima la repressione politica diretta in deroga alla legge vigente - la cui applicazione rigorosa teme evidentemente, come traspare dalle sue orazioni -, fino all'assassinio, saltando le tutele legali esistenti.
Ciò in virtù della condizione di "latrones", ovvero di sovversivi (terroristi!), attribuita a Catilina e accoliti che li priverebbe dello status di cittadini, trasformandoli in individui non soggetti - e dunque nemmeno tutelati - dalla legge.
Cicerone cerca di legittimarsi affermando che era una pratica politica consolidata: cita i Gracchi, Saturnino e tutti coloro che avevano proposto leggi agrarie e variamente "popolari" e che furono "giustamente" assassinati anche da semplici privati cittadini.
I tortelli reazionari che teorizzano l'uso esplicito della violenza contro i subalterni come arma legittima in deroga alle stesse leggi che in condizioni normali permettono loro di mantenere il potere non sono un'invenzione dei tempi moderni...
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Papa, papi e dottrina sociale della chiesa di Roberto Fineschi L’elezione di un nuovo papa suscita inevitabilmente grande interesse per il...
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The Marx-Engels-Gesamtausgabe (MEGA) Project ...
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Scuola amore mio. Crepuscoli programmati di Roberto Fineschi 1) “Classi” e scuole nel capitalismo crepuscolare A che cosa serve la scuola in...
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